I \^ — ^T^yp y^^=^i ,Tì6 ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI VoL. XXIV, Disp. 1*, 1888-89 Classe di Seienzc Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della B. Accademia delle ScienzA % *> >- CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI AL Adunanza del 18 Novemlbre 1888. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Soci: Lessona, Salvador!, Bruno, Berruti, Basso, Bizzozero, Ferraris, Naccari, Mosso, Spezia, Gibelli, Giacomini. H Presidente inaugura le tornate accademiche dando il ben- venuto ai Soci, e fa leggere Tatto verbale dell'adunanza prece- cedente, il quale viene approvato. Fra le pubblicazioni presentate in omaggio all'Accademia vengono segnalate le seguenti : 1° « Sui fenomeni elettrici provocati dalie radiazioni » , Memoria del Prof. Augusto Eighi, Socio Corrispondente della Classe, presentata dal Socio Segretario Prof. Giuseppe Basso ; 2° « Die hauptsàchlichsten Theorien der Geometrie in ihrer frUheren entwiclielung ; ecc. », libro del sig. Dott. Gino Loiua, Professore nella R. Università di Genova, presentato dal Socio Segretario Giuseppe Basso per incarico del Socio D'Ovidio, as- sente per ragioni d'ufficio. Questo libro è la traduzione tedesca fatta dal sig. Federico Schutte, della Monografia storica « lì passato e il presente delle principali teorie geometriche », del Alti li. Accad. - Parte Fisica — Voi. XXIV. 1 Prof. Gino Loria, che rAccademia accolse già nelle sue Memorie. Questa traduzione è preceduta da una prefazione del chiaro Geo- metra E. Stììrm, Professore a Miinster, nella quale sono messi in rilievo i pregi del lavoro e indicate le aggiunte che l'Autore vi ha recate in occasione della riproduzione di esso ; 3" « Eitratto in incisione del compianto Socio Quintino Sella », presentato dal Socio Mosso per incarico dell'Onorevole Filippo Makiotti, Sottosegretario di Stato per la Pubblica Istru- zione. Le letture e le comunicazioni si succedono nell'ordine se- guente : 1° « Commemorazione del Socio Corrispondente Ro- dolfo Clausius » ; del Socio Segretario Giuseppe Basso ; 2° « Geometria sulle curve ellittiche »; Nota del Dott. Guido Castelnuoyo , Assistente alla Cattedra di Algebra com- plementare e Geometria analitica nella R. Università di Torino; presentata dal Socio Cossa a nome del Socio D'Ovidio; 3° « Elettrometro ad emicicli , sua storia e sue appli- cazioni come ivattometro , amperometro e voltometro per cor- renti continue ed alternative »; dell'Ing. Ettore Morelli, As- sistente alla Scuola di Elettrotecnica presso il Museo Industriale di Torino ; Memoria presentata dal Socio Ferraris ; 4° « Effemeridi del Sole e della Luna per l'orizzonte di Torino e per Vanno 1889 », calcolate dal Dott. Fran- cesco Porro, incaricato della direzione dell'Osservatorio astrono- mico di Torino ; presentate dal Socio Naccaei. LETTURE In commemorazione di Rodolfo Clausius. Parole del Prof. G. Basso. Kodolfo Clausius, uno dei più eminenti fisici contemporanei, il quale l'Accademia nostra si onorava di avere a suo socio cor- rispondente dall'anno 1882, mancò ai vivi nella città di Bonn il 24 agosto ultimo scorso. Nato il 2 gennaio 1822 a Coslin in Pomerania, Clausius studiò successivamente a Stettin, a Berlino e a Halle, fino a che, ritornato a Berlino nel 1850, vi inaugurò la sua carriera d'insegnamento come libero docente all' Università, professando nello stesso tempo alla Scuola di Artiglieria e Genio. Chiamato poscia ad insegnare fisica nel Politecnico e nella Università di Zurigo, egli dimorò in questa città dal 1855 al 1867 ; fu in seguito professore per due anni nella Università di Wiirzburg; trasferitosi infine a Bonn, tenne in quella Università la cattedra di fisica fino ai suoi ultimi giorni. Troppo lunga sarebbe qui l'enumerazione, per quanto rapida, dei lavori scientifici di Clausius. Basti ricordare che , oltre a parecchie monografie sulla meteorologia ottica , sulla teoria del potenziale e sulla teoria dell' elasticità , la scienza deve a lui importantissimi studi sulla termologia in 'relazione colla mec- canica , i quali , pubblicati quasi tutti ed in epoche diverse negli Annali di Poggendorf, vennero poscia raccolti in due vo- lumi col titolo di Memorie sulla teoria mrccaniea del calorr. Gli scritti sulla fjrza motrice del calore e sue leggi, quelli sul secondo principio di termodinamica, i lavori sull'applicazione della teoria meccanica del calore alle macchine a vapore, sull'appli- cazione della stessa teoria ai fenomeni elettrici, sulla dottrina matematica dell'elettricità, sui movimenti molecolari in cui con- siste il calore e specialmente sulla teoria cinetica dei gas, pon- 4 GUIDO CASTELNUOVO gono indubitabilmente il loro Autore fra i precipui fondatori della termodinamica, ed il nome di Clausius sarà perpetuamente vincolato ad una delle maggiori conquiste della fisica moderna, qual'è il principio della conservazione dell'energia. Geometria sulle curve ellittiche ; Nota di Guido Castelnuovo Sopra una curva algebrica si trovi un sistema (serie) gj''^ di gruppi di n punti, tale che r punti dati ad arbitrio sulla curva appartengano ad un numero finito di gruppi del sistema; chiame- remo n l'ordine della serie, r la moìteplicità, o specie, o dimen- sione. Quando gli r punti individuano un gruppo, il sistema si dirà una involuzione !„ ^'\ I gruppi di una g„ ^''^ si potranno riferire univocamente ai punti di una varietà ad r dimensioni di uno spazio lineare ; ed i ca- ratteri invariantivi della varietà (il genere per r := 1) daranno i caratteri (il genere) di gj""^. Così diremo che gj''^ è razionale, quando i suoi gruppi si potranno riferire univocamente ai punti dello spazio lineare S^ ad r dimensioni. Le curve algebriche possono classificarsi a seconda delle serie razionali che esse contengono ; e poiché dall'esistenza di alcune serie segue l'esistenza di infinite altre, collocheremo in una stessa classe tutte le curve, per le quali il minimo ordine delle involu- zioni razionali di prima specie in esse contenute, è lo stesso. Cosi dopo le curve razionarli (involuzione minima d'ordine 1), si pre- sentano le curve iper ellittiche (invol. min. d'ord. 2), e così via. Ciascuna classe potrà dividersi in sottoclassi, tenendo conto del- l'involuzione di ordine più basso che giace sulla curva oltre all'in- voluzione minima. Per esempio le curve iperellittiche si dividono in curve ellittiche (una seconda involuzione quadratica) , curve di genere 2 (involuzione cubica) , . . • curve di genere r ( involu- zione d'ordine r-\-\). Due curve riferite univocamente appartengono sempre a una stessa suddivisione fondata su questo concetto. GEOMETKIA SULLE CURVE ELLITTICHE 5 Per le serie razionali di gruppi di punti vale l'importante teorema : Se sopra una curva C si trova una serie razionale r volte infinita di gruppi di n punti, nello spazio ad r dimensioni si può costruire una curva C' d'ordine n riferita univocamente a C(r>l) (1). I gruppi della serie gj''^ siano rappresentati dai punti dello spazio S^. Agli oo''~' grappi di gj''^ che contengono uno stesso punto M , corrispondono in S^ i punti di una varietà a r — 1 dimensioni F^_ , , imagine di M. Le oo' varietà corrispondenti ai punti di C formano un sistema tale, che per ogni punto di S^ pas- sano n varietà, ed r varietà F^_, hanno in comune (oltre ai punti fissi) un numero finito (diverso da zero) di punti variabili Quindi il sistema lineare più basso di varietà che contiene le oo^ F^_, , sarà di molteplicità 5 > r. Si rappresentino le varietà di questo si- stema lineare sui punti dello spazio S^ ; alle 00^ V,. _ , corrispon- dono punti di una curva C" d'ordine n riferita univocamente a C. Ora se s=zr il teorema è dimostrato; se 5>r basta proiettare C" in S^ da uno spazio /^^_r_,. II caso 5 = r si presenta quando g,, ^'"^ è una involuzione, e solo allora. La g„ ^''^ involutoria sopra C" e determinata dagli spazi S^_^ àiS^; quindi: U involuzione razionale In'" sopra una curva ha le stesse proprietà dell'involuzione determinata sopra una curva d'ordine n di Sr dagli spazi Sr_ , , quando le due curve siano riferite univocamente. In particolare : / gruppi di n — p punti che insieme a p punti fissi danno gruppi di una I„ ^'^ razionale, appartengono ad una In_/'~^' razionale. Se r è la massima dimensione di una serie razionale d'ordine n giacente sopra una curva , non può essere s > r ; quindi : Se V è la massima dimensione di una serie razionale d'or- dine n giacente sopra una curva, questa serie è involutoria. Se r non è la massima dimensione, esiste una involuzione 7„^*' che contiene g}''K Un importante corollario del teorema fondamentale è il se- guente: Se tutti i gruppi di n punti di una curva formano una serie razionale, la curva è razionale. (*) Sono escluse quelle serie nelle quali un gruppo passante per r — 1 (0 meno) punti arbitrari è costretto a contenere altri punti della curva. GUIDO CASTELNUOVO Involuzioni razionali sopra le curve ellittiche. 1, Diciamo che una curva è ellittica o di genere 1, quando essa contiene due involuzioni minime razionali di prima specie^ d'ordine 2. Dalla definizione segue subito che ogni curva ellittica può ri- ferirsi univocamente ad una curva piana generale del terzo ordine. Infatti basta in un piano riferire proiettivamente due fasci di raggi T, T alle due involuzioni giacenti sulla curva, avendo cura che il raggio T T' rappresenti due coppie delle involuzioni con un punto comune. Ad ogni raggio del fascio T corrispondono due punti della curva, quindi due coppie della seconda involuzione e due raggi di T' . I fasci T, T^ sono in corrispondenza (2, 2) col rag- gio TT' unito, e la curva del terzo ordine generata dai fasci è riferita univocamente alla curva data. Le due involuzioni i., ^'^ giacenti sulla curva non possono avere una coppia comune, perchè altrimenti la curva del terzo or- dine acquisterebbe un punto doppio, e sulla curva si troverebbe una involuzione razionale di primo ordine contro l'ipotesi . Sopra una curva ellittica si trovano infinite involuzioni ra- zionali I, ^'^ non aventi a due a due coppie comuni (1). 2. Si può sempre costruire una curva ellittica d'ordine n + 1 che appartenga ad uno spazio a n dimensioni, e sia riferita univocamente ad una data curva ellittica. Il teorema sia vero per S^, e sia C"*"*"' una curva ellittica di questo spazio. Se rappresen- tiamo le coppie di punti di una I,,^'^ della curva sui punti di una retta g , non avente nessun punto comune con S,. , le rette che congiungono i punti di g alle coppie omologhe di punti della Jj'^ , formano una rigata d'ordine r + 3 contenuta in un /S"^^^ , colla di- rettrice g doppia. Uno spazio ^S^ + i che passi per una generatrice della rigata, senza contenerne altre, sega la rigata in una curva ellittica d'ordine r + 2, che non giace in un S^ , e quindi appar- tiene ad /S^^, ; questa curva è riferita univocamente a C'^'. (1) La definizione data di curva ellittica può essere sostituita da questa : È ellittica una curva che contenga due ij^*' razionali non aventi coppie co- muni. GEOMETRIA SULLE CURVE ELLITTICHE / Siccome n -\- 1 è il minimo ordine di una curva ellittica appartenente ad S„ , una tal curva si dirà curva ellittica nor- male di S„. 3. So2)ra una curva ellittica esistono oo^ involuzioni ra- zionali In^°~'^ , ciascuna individuata da uno dei suoi gruppi. Un gruppo di n punti della C"^' ellittica normale di S^ deter- mina un S„_^ che taglia ancora la curva in un punto. La stella di spazi S„_, avente in esso il centro, sega sulla curva la J,/"~''. Se due /,/"~'^ avessero un gruppo di n punti comune, n—2 di questi insieme coi gruppi di due Ij'' darebbero gruppi delle J„'"~'^; e queste due Jj'^ avrebbero una coppia comune, il che non può accadere. La serie delle lJ-° ~ '^ può riferirsi univocamente alla curva sostegno. Una Ij"'^ razionale sopra la 0°"^' normale ellittica deter- mina coi suoi gruppi infiniti spazi S„_, , i quali passano per uno stesso S„_,_, avente un punto comune con C""*"'. Infatti poiché la i,/'"^ è contenuta in una i,/"~'^, questi spazi passano per uno stesso punto della curva ; e ciascuno di essi è individuato da r dei suoi punti. Se sopra la curva ellittica normale C°'^' si trova una 1^'^ razionale (r , «], quindi ogni corrispondenza di 2^ specie trasforma una corrispon- denza di 2* specie in se stessa. Il prodotto di pili corrispondenze di 2^ specie è una cor- rispondenza di 2* specie, e gode la proprietà commutativa, ossia è indipendente dall'ordine in cui si combinano le corrispondenze proposte. Come definizione di prodotto serve Vuguaglianza [a, h\ [h, e] [e, d] . . . [?, m] = [a, m] ; (1) L'ultimo teorema si trova nel lavoro del sig. Segre, Sur ìes transforma- tions des courhes elliptiques (Math. Ann., Bd. 27). (2) Weyr, Ueber eindeutige Bcziehungen (Wien, Sitzb., Bd. 87). (3) KuppER, Ueber die Steinerschen Polygone (Math. Ann., Bd, 24). 10 GUIDO CASTELNUOVO si ha poi [a, h] [h, a] = identità = 1 (definizione). Se a, b ed a', b' sono due coppie di una \^^^ razionale il prodotto delle due corrispondenze [a, a'] , [b, b] è la identità. 7. Se due spazi Sn_, di S„ segano la curva ellittica nor- male 0°"^* nei gruppi (aj , a, . . . a„^_i) , (a^', 2i^ . . . a'„+i) , il prodotto delle corrispondenze [a^, a'J, [a, , a'^] . . . [a^^.!, a'^^J è Videntità. Infatti lo spazio {a^ a,-, . . . a„_i a'„_^i) incontri ancora C„_^_^ in iz„ ; se il teorema vale per una curva ellittica normale d'or- dine n (la proiezione di C"'^^ da a'„+i in un S„_i) , si ha [aj , «/] [«2 , «' J . . . [a„_, , a'„_i] [«„ , a'„] = 1 ; e d'altra parte per il lemma precedente [o« , «J [«,.+1 , a'n+i] = 1 • Moltiplicando le due identità, poiché [«„, rt'J [a„, a"J = [«„, «'„] , si ottiene [a^, a\] [«2, «,'] . . . [a„+i, a'„+i]= 1 . Ora partendo dal lemma precedente si può dimostrare con analogo procedimento che il teorema vale per w = 2 ; quindi è vero qualunque sia l'intero n. Reciprocamente: Se sopra una curva ellittica normale C""^' le n corrispondenze [apa'J, [a,, a',].. . [a„,a'„] danno per pro- dotto la identità, gli spazi (a^ a.,. . . a„ ) , (a'j a'^. . . a'„) incon- trano ancora G"'^^ in uno stesso punto. Questo teorema fondamentale può enunciarsi così: La con- dizione necessaria e sufficiente affinchè due gruppi di n punti (aj a.,. . .a„), (a'j a'g. . . a'„) sopra una curva ellittica apparten- gano ad una stessa I„ "~^' è che le corrispondenze [a^ , a^'], [ag, a',]. . . [a„, a'„] diano per prodotto l'identità (1). (1) Fissato un punto o (origine) sulla curva, si chiami parametro di un punto a della curva la corrispondenza [o, a \, e alla parola prodotto (di cor- rispondenze) si sostituisca la parola somma (di parametri); e sia 0 il parametro GEOMETRIA SULLE CURVE ELLITTICHE 11 Involuzioni ellittiche. 8. Sopra una curva generale del terzo ordine sia data una involuzione J„ di ordine n, semplicemente infinita. Proiettandone i gruppi da un punto 8 della curva, si ottiene un sistema di oo^ gruppi di n raggi; ed ogni gruppo di J,^ determina un gruppo del fascio S. Ora possono presentarsi due casi. 0 esiste un punto S , dal quale due qualisivogliauo gruppi distinti di // (w) notiamcf che se i^ , i sono due punti di iperosculazione della C ellittica normale, la trasformazione [/^, i] dine n, ellittica, il cui sostegno è J,,. Da ciò il teorema: Se due curve ellit- tiche C, C' sono così riferite che ad ogni punto di C corrispondano n punti di C", ma ad ogni punto di C" un solo punto di C, allora le due curve si pos.^'ono anche riferire in guisa che ad ogni punto di C" corrispondano n punti di C, ma ad ogni punto di G un solo punto di C". (1) Clebsch-Lindemann, Vorlesungen iiber Geometrie, pag. 616. 14 GUIDO CASTELNUOVO è primitiva o per 1' ordine n, o per un divisore di n. E reci- procamente ogni trasformazione primitiva il cui ordine sia n, o un divisore di m, muta un punto di iperosculazione in un altro punto di iperosculazione. E poiché i punti di iperosculazione sono n^ — 1 oltre ad i^ , si ha : dove la somma si estende a tutti i divisori è di n , n incluso. Di qui e dal paragrafo precedente, sia direttamente, sia appro- fittando di una osservazione di Dirichlet (1) , si deduce subito ^(„)=„^(i_^)(i_^)(i_i,)..., e quindi: ^(„)=„(i+±) (1+1)^1 + 1)... numero totale delle involuzioni semplici, distinte J„, che si tro- vano sopra una curva ellittica. 13. Sopra una C" ellittica normale si trovi una J„ , e sia E una trasformazione primitiva di questa J„. Per la E ad n punti «p òj . . . /j di C" situati in uno spazio >S'„_2 corrispon- dono Il punti «Q, ò., . .. /, , di un nuovo /S'„_2 , perchè il prodotto delle corrispondenze \a^ , a,] , [b^ , b^\ . . .[l^, /,] è Tidentità [7]. Quindi [5] la corrispondenza E determina in S„_i una col- lineazione, che muta ogni punto della curva nel suo corrispon- dente. Ogni involuzione ellittica d'ordine n sopra una curva ellit- tica normale di Sn_i determina in questo spazio oj {n) collineazioni cicliche d'ordine n, ciascuna delle quali trasforma in se stesso ogni gruppo delV involuzione. Una curva ellittica normale di >§'„_, è trasformata in se stessa da ^{n) collineazioni cicliche d'ordine n di S„__^ (2). Siano «j , «g . . . a„ ì punti di C" che si trovano in uno spazio unito della collineazione ; essi devono formare un gruppo di J„. (1) Dirichlet, Teoria dei numeri, appendice VII. (2) Una collineazione che trasformi C" in se stessa è ciclica secondo un di- visore di n (n incluso), oppure è una delle vfi involuzioni relative a corrispon- denze di 1* specie. (Su queste vedi Segre. Sur les transformations des courbes elUptiques). GEOMETRIA SULLE CURVE ELLITTICHE 15 Sia «j il punto in cui lo spazio S„_, osculatore in a^ sega di nuovo C" (il tangenziale di a^). Allora il prodotto K' «J K' s] ••• K' «"] [«1' «i] = [«i^ «2] ' bx^ «il dà la identità. Perciò se n è dispari , c/.^ coincide con a^ , e se n e pari [a^ , a^J-^ident. Dunque: Per n dispari ciascuno degli n spasi uniti di una collinea- zione ciclica d'ordine n che muti C° in se stessa, sega C° in n punti di iperosculazione. Per n |)ar/ ogni punto di C° giacente in uno spazio unito ed il punto tangenziale danno una coppia di una Jg sulla curva. In una J„ sopra la C" normale si trovano n gruppi situati in spazi /S'„_, ; quindi : Gli spazi S„_^ contenenti i gruppi di una J^ sopra la C""^* ellittica normale formano un fascio ellittico d'ordine n-\-\. 14. Fra le involuzioni ellittiche composte noteremo quella ^„2 d'ordine n~ , i cui gruppi sono costituiti dai punti n . upli delle oc' 7„^"~^' giacenti sopra la curva ellittica. Se questa è la C"^^ normale di S„ , ogni gruppo di H,i è dato dai punti di con- tatto degli spazi ^S'„_, osculatori condotti per un punto della curva. I gruppi della H„2 si possono riferire univocamente ai punti della curva; ogni gruppo è costituito da n gruppi di ciascuna delle J^ giacenti sulla curva ; questi n gruppi ap- partengono ad una stessa Ij'"~^^ razionale. Ogni corrispondenza univoca sulla curva muta la H^^ in se stessa. Ogni trasformazione collineare della C'^^ normale ellittica in se stessa trasforma ciascun gruppo della H^2 in se stesso (proprietà caratteristica). 15. Studiate le involuzioni ad una dimensione , dovremmo occuparci delle involuzioni non razionali a più dimensioni. Il se- guente teorema ce ne dispensa. Per le involuzioni d'ordine n ad r dimensioni Jj''^ qui con- siderate, ammetteremo che i gruppi di n — i punti che con i (<)•) punti fissi della curva danno gruppi di Jj^''\ formino una J„_i^''~'^ {coniugata ai punti fissi), e che due involuzioni con- iugate a due gruppi indipendenti di i punti, siano distinte. Con queste restrizioni vale il teorema: Una involuzione d'ordine n ad r dimensioni sopra una curva ellittica è razionale, quando n > r > 1 . 1 6 GUIDO CASTELNUOYO Il teorema sia vero per le involuzioni ad r— 1 dimensioni; la curva sostegno sia la C""^' normale ellittica. Ad un punto A' della curva è coniugata nella JJ-''^ una t7/ razionale , i cui ^ (h 1) gruppi, insieme con A', determinano spazi S„_-i passanti per un S'„_r\ questo sega C""^* in A' e in un secondo punto B' [3]. Così a un nuovo punto A" di C"'"^* corrisponderà un S"„_^^ secante la curva in A" e in un secondo punto B\ I gruppi della J„_y~^^ coniugata alla coppia A', A", determinano con questa coppia spazi >S'„_, passanti per uno stesso S„_^_^_^ , il quale con- tiene S'„_^, S"„_^. Dunque gli oo^ /S„_^ relativi ai punti A di C""*"* giacciono a due a due in un >S'„_^^i, e quindi o giacciono tutti in uno stesso S„_^^i^ o passano tutti per uno stesso S„_^_i . Il primo caso contraddice le restrizioni fatte. Nel secondo caso in ogni S„_^ passante per S„_^_i si trova un gruppo di J„^''\ e reciprocamente; perciò la Jj''^ è razionale, e S„_^_i sega 0''''''in un punto [3]. La dimostrazione qui data vale anche per r =2 , perchè le J„_/'^ coniugate ai punti della curva non pos- sono essere ellittiche in virtù delle restrizioni fatte (1). Alcune serie non involutorie. 16, Ci proponiamo di cercare una varietà ad n dimensioni contenuta in uno spazio lineare, i cui punti rappresentino uni- vocamente i gruppi di n punti di una curva ellittica. Per n = 2 la questione è già risoluta ; una osservazione del signor Segre (2) permette di affermare che le coppie di punti di una curva ellittica si possono rappresentare sui imnii di una ri- gata ellittica riferita univocamente alla curva. I raggi della ri- gata rappresentano le oo^ /,,'') razionali sulla curva C. E se la ri- gata è d'ordine dispari 2 /i; + 1, appartenente a ^S'^y^, della specie più generale (queste rigate indicheremo nel seguito con r,"*"^'), cia- scuna delle oc} curve minime d'ordine A + 1 rappresenta un punto di C (o meglio quelle coppie che contengono quel punto). (1) Come conseguenza dei paragrafi precedenti e in particolare della nota al n" 10, diamo qui il seguente teorema: Le curve ellittiche semplici di una ri- gata ellittica che segano n volte i raggi della rigata, possono dividersi in Y(«) famiglie; due curve di una stessa famiglia possono riferirsi univocamente. (2) Ricerche stelle rigate ellittiche, n° 19 (Atti dell'Acc. delle Se. di Torino, V. XXI). GEOMETRIA SULLE CURVE ELLITTICHE 17 Questa proprietà si estende facilmente. I gruppi di n punti di Mia curva ellittica possono rap- presentarsi sui punti di ima varietà ad n dimensioni composta di una serie oo^ ellittica di spazi S„_^ , riferita univocamente alla curva. Ogni spazio S,^.^ della serie rappresenta una I„'"'^^ della curva ellittica. Dimostriamo il teorema per la varietà normale l\,"'^^ com- posta di c>o' S„_^ in S„f^ {k qualunque); di questa sola varietà parleremo nel seguito. Nella r,/'*+^ della specie più generale, k elementi S„_^.^ de- terminano uno spazio S„^_^ , il quale sega ulteriormente la varietà in una analoga varietà r„_j ("-i)*+i di >S',„_j)^; ed ogni S„^_^ pas- sante per un tale S(^„_^^/. contiene k elementi della varietà pri- mitiva. La varietà primitiva contiene oo^ di queste r„_j'"~'^ ''^^, le quali formano una serie ellittica riferita univocamente alla proposta, e tale che per ogni punto di F,"'^"'"^ passano n varietà F '^~ ^ , ed n tali varietà, scelte ad arbitrio, si segano in un punto. Se quindi ai punti della curva ellittica si fanno corrispondere le varietà r„_j^"~^^ '■'^^ di r,"'^"^' , ogni gruppo di n punti di C ha per iniagine un punto di r,,"^^^ e reciprocamente. 17. Sopra una curva ellittica C sia data una serie g,^ ^''a una dimensione. Molte proprietà della gj'^ dipendono da due numeri (indici), il primo dei quali i ci dice quanti gruppi della r/,, ^'^ contengono un punto arbitrario di C, il secondo j quanti gruppi della - y-^( y. - -^' ) - c^, - n')( ''s'- -^2 - ) Nei limiti di approssimazione fra i quali si può ammettere che e sia costante, questa relazione ci dimostra che J/ si mantiene costante mentre 0 varia, cioè che in tutte le posizioni che l'ago prende ruotando, rimane sollecitato sempre da una stessa coppia il cui momento costante il/ ha l'espressione ora scritta; ne segue che lago girerà finché la torsions della sospensione dia luogo ad una coppia antagonista di momento M: ammessa la proporzio- nalità fra 0 ed il momento di torsione, si può esprimere questo momento con Iìq dove Z.' è una costante relativa alla sospensione; si concluderà -che l'ago ruoterà di quell'angolo (5 per cui 3I = kd cioè, ponendo jfiT^rr -= costante, che: (2) Ò = K iv.~y.^(v,-^]^iv;-K)iv'-I^) Nell'elettrometro descrittoi quattro quadranti non sono isolati, come supponemmo finora, ma 2 ed 1' sono riuniti fra loro, ed 1.2' pure, cioè Perciò : o"=A^ cioè (3) V = v' '^2 — '^1 '% ELETTR031ETK0 AD EMICICLI 25 È questa la forinola fondamentale per la teoria e per l'uso del- l'apparecchio. Appare ora evidente come fondendo assieme i qua- dranti contigui 1.2' e 2 l' in due scatole semicircolari, ed allar- gando l'ago nel senso normale all'asse maggiore di simmetria, si migliori l'apparecchio; inquantochè sopprimendo alcuni orli ed allontanando i rimanenti , sono certo con maggiore approssi- mazione verificate le ipot-'si relative alle distribuzioni regolare ed irregolare dell'elettricità che hanno servito di base a questa teoria. Xe segue che si avrà una maggiore approssimazione am- mettendo per l'elettrometro a emicicli la q = K{V^'-V2){V^—V^'), di quella che si abbia ammettendo questa formola per l'elettro- metro a quadranti modificato secondo la (fig. 1), oppure ammet- tendo, come si suole, la nota relazione per l'elettrometro a quadranti ordinario. La modificazione deirelettrometro a quadranti di cui abbiamo parlato, riguarda le parti essenziali dell'apparecchio e quindi ne cambia le proprietà fondamentali ; è indipendente dalla costru- zione di tutti i particolari relativi all'intelajatura, alla sospen- sione, allo spegnitore, alla lettura delle deviazioni ; pei'ciò essa è applicabile a tutte le forme dell'elettrometro a quadranti. 2. — La teoria esposta rende conto delle proprietà essenziali dell' apparecchio, ma, per le ragioni indicate, essa è soltanto approssimata. È possibile fare una teoria piii completa proce- dendo in modo analogo a quanto fece il signor Gouy in una sua pregevole memoria relativa all'elettrometro a quadranti [Jonr- naì de Physique, Mars 1888). Consideriamo l'elettrometro ad emicicli sotto la forma indi- cata dalla fig. 1, e supponiamo per ora isolati i quattro qua- dranti. I due quadranti contigui 1, 2 unitamente alla parte 3 dell'ago, formano un mezzo elettrometro a quadranti a cui pos- siamo applicare, con piccole modificazioni, i risultati della teoria del signor Gouy ; le forze elettriche le quali agiscono sulla parte 3 dell'ago tendendo a farla girare attorno all'asse verticale di rotazione, si riducono a due ; i loro momenti rispetto a questo asse, sono espressi da Gè G^d dove : 26 ETTORE MORELLI In queste espressioni, a, [5, y, v, /, a, indicano delle costanti caratteristiche dell' apparecchio, le quali si riferiscono ai qua- dranti 1, 2 ed alla parte 3 dell'ago, anziché alle due coppie di quadranti opposti ed all'ago intiero. Lo stesso si può dire per la coppia 1' 2' di quadranti con- tigui e per la parte 3' dell'ago; anzi è evidente che le costanti a, |3, 7, V, /, p-, sono uguali nei due casi ; sulla parte 3' del- l'ago agiscono adunque tendendo a farla girare, due forze i cui momenti sono uguali a G' e G'(ì dove: Queste quattro forze agenti sull'ago, si compongono in due forze le quali tendono a deviare la sospensione dalla direzione verticale, ed in due coppie di momenti G-\-G' e {G^+G'^)è; queste ultime soltanto, si hanno a considerare rispetto alla ro- tazione dell'ago; ora, se si suppongono riuniti i quadranti con- tigui 1, 2' ed r 2, cioè: V^'=V^ e Fj=F'o si ricava: ( G+G'=iJ.{r-V,){V^-V^) (4)... G^ + G>a(F,^+F/)+2x(F,^+F/) ( +2.(F^+n)(F3+n') + 4/5^in- La coppia di momento G-\- G' è indipendente da (5, e tende a deviare l'ago nel verso dei 0 positivi se (t+G'>>0, nel senso contrario se G-\-G'0. È questa la coppia direttrice elettrica che si unisce alla coppia direttrice dovuta alla sospen- sione, complicando notevolmente l'equazione di equilibrio del- l'ago; di essa non si tiene conto nella teoria elementare prima esposta. — Le considerazioni fatte dal signor Gouy per conclu- dere che sensibilmente : a = u =: 0 ; / = — |3 : l = — p- ELETTROMETRO AD EMICICLI 27 sono applicabili qui, allo stesso titolo; si ricavano adunque le espressioni approssimate seguenti : (5). . . ; Indichiamo con Lo il momento della coppia direttrice dovuta alla sospensione; Tago sarà in equilibrio per quel valore di ^ per cui la somma dei momenti delle coppie direttrici è uguale al momento della coppia deviatrice ; cioè pel valore di ^ dato dalla : kà-{G^ + G^)ò=G+G' giacché è G^-\- G\<.0 quando la coppia direttrice elettrica co- spira con quella di torsione per ricondurre l'ago allo zero. Am- messe le considerazioni relative ai coefficienti a, |3, y, y, v, ^., si deduce adunque da questa teoria che l'equazione di equilibrio dell'ago è : Queste formolo dimostrano che la coppia deviatrice G -\- G' ha ancora la stessa espressione data dalla teoria elementare ; ma che la coppia direttrice elettrica modifica notevolmente la for- mola di equilibrio quando la coppia direttrice della sospensione non è abbastanza grande per renderla trascurabile. I risultati di questa teoria possono essere controllati coll'espe- rienza, nel modo seguente. Le espressioni generali (4) di G + G' e G^ + G^ per F3 rt= Fg'^ 0 e V^ = --V^ danno G+G' = 0 Gj + (tj' = 4 V-^ (z ~ 1^ ) cioè approssimativamente G + 6r' = 0 e G^i4-<3^i' = 8 / V^ . In una prima esperienza si riducono gli spe- gnimenti per quanto è possibile, tenendo ago ed emicicli a terra, e si misura la durata Q^^ di una oscillazione semplice dell'ago sog- getto così all'azione della sola sospensione. Quindi in una serie di esperienze, facendo ancora F, = V'^=Q , si caricano i due emi- cicli simmetricamente con una pila di un numero variabile n di elementi, e si misura ad ogni volta il valore 0 della durata del- l'oscillazione semplice. Il momento della coppia direttrice elettrica è proporzionale ad tó — ttt, ; quindi se è vero quanto si deduce 28 ETTORE MORELLI dalla teoria precedente, cioè che la coppia direttrice elettrica è proporzionale al quadrato di n, deve risultare che: 1 / 1 1 \ — 2 ( Ti — ~ ) ^^ ^*^^^' — Altre verifiche si possono fare con esperienze di deviazione; si tiene costante V^— F'g e si caricano simmetricamente i due emicicli con un numero n variabile di elementi; ricorrendo a sospensioni per le quali il momento di torsione ìc non sia trascurabile , si deve trovare che è è propor- . ^ n zionale ad ^ --r dove ^==cost. 1 + An- Neir elettrometro ad emicicli sotto la forma indicata dalla fig. 3, l'ago è allargato molto di più di ciò che sia nell' elet- trometro a quadranti, inoltre sono soppressi gli orli contigui dei quadranti 1, 2' ed l', 2; perciò si può con maggiore appros- simazione di quella relativa all'elettrometro a quadranti, ammet- tere che siano a = f-j = '/^ = v = 0 e p.= —y , cioè che sia : e quindi che i risultati delle due teorie siano concordanti. Applicazioni. — Il vantaggio principale che presenta l'elet- trometro a emicicli sotto Tuna o l'altra delle due forme descritte, e per raggiungere il quale esso venne ideato, è quello di poter servire direttamente come ivattometro-eìettrostaUco per correnti continue ed alternative , ì. — Nel caso di correnti continue si ricorre alla disposi- zione di circuiti indicata dalla fig. 4 ; detti V^.Vg .V^. Vi i potenziali nei punti A.B .a .1 , si ha una deviazione : ù=K{r,-r,){v^~r,) = x{v,-r,)ir=Kr,v, dove K':=Kr=^ cosi. La deviazione ^ è proporzionale all'energia tv sviluppata nel- Tunità di tempo fra i punti A . B del circuito percorso dalla corrente i. La costante K' può determinarsi, per esempio, at- taccando i quattro fili provenienti dai morsetti III, IH' ed I, II, ELETTROMETRO AD EMICICLI 29 ai due poli di una pila, campione di forza elettromotrice nota e; si ha una deviazione è'z=K(r epperciò si ricava: 0 , à r K= — s- , cioè K = — ^ . e e~ Nel caso di corrente alternativa sinussoidale i =■ I sen -— - t , si ricorre alla stessa disposizione di circuiti (fig, 4) prendendo per r una resistenza senza self-induzione. Consideriamo un de- terminato istante del periodo T e diciamo ìii il momento della coppia che sollecita l'ago in quell'istante, v^.Vg.v„.Vi, i poten- ziali nei punti A.B.a.h nell'istante stesso; si lia : m=zK{v^—Vs){v^-v^). Detto i il valore dell'intensità della corrente variabile nel- l'istante considerato, si ha v^ — v^^^iir ^ giacché ;• è senza self- induzione; perciò: m = K {vj— Vg) ir=: K' {v^ — v^) i = K'iv dove K' = Kr = cost. In ogni istante del periodo T, adunque, il momento della coppia agente è proporzionale all'energia tv sviluppata nell'unità di tempo nella parte AB di circuito Se ne conclude che, se T è molto piccolo di fronte alla durata delle oscillazioni dell'ago, questo tende a rotare come se su di esso agisse una coppia costante con momento proporzionale al valor medio ^i r {■Va - Vb) i' ctf. Ora, poiché le condizioni deirapparecchio sono tali che la lettura à è proporzionale al momento della coppia di rotazione, si ha : dove /.■ è una costante dipendente dalla costruzione dello stru- mento, e W l'energia media sviluppata nell'unità di tempo du- rante il periodo. Attualmente per la misura di W si ricorre spesso all'im- piego di wattometri elettrodinamici ; a questi metodi nelle misure 30 ETTOEE MORELLI esatte si muovono appunti. Anzitutto l'inserzione del wattometro altera le condizioni del circuito e quindi varia la quantità che si vuole misurare. Inoltre nel caso di correnti alternative sinus- soidali si ha che: W= J . V. COS. — — - y. , essendo J l'intensità media nel tratto considerato, V la diffe- renza di potenziali media ai due estremi di esso, -— - il valore angolare della differenza di fase fra J e F. D'altra parte la deviazione A al wattometro elettro -dinamico di cui si vuole avere W, è data da : A = KJ. J' COS. — — - a , T dove K è una costante, J l'intensità media nel tratto di circuito considerato e nella spirale amperometrica fissa, J' 1" intensità media della corrente nella spirale voltometrica mobile dovuta . . . 2;: , alla differenza di potenziali F, infine — - a , la differenza di fase fra J ed J' . La spirale mobile voltometrica ha sempre una self-induzione non trascurabile nelle misure esatte, e quindi esiste sempre una differenza di fase fra la corrente che la per- corre e la differenza di potenziali a cui questa è dovuta; cioè la 2;: , . .. , differenza di fase -— - (/. fra le correnti di valori medii J . J , è T 2n sempre diversa dalla differenza -— a ira. J e V ; perciò A, che 2 noi' è proporzionale ad JJ cos. — — - , non riesce più proporzionale 2na ad J V cos -y-;- , cioè alla W che si vuole misurare, ed am- mettendo questa proporzionalità si fa un errore. Sono quindi migliori, specialmente nel caso di correnti alter- native, i metodi basati sulTimpiego dell "elettrometro a quadranti, per i quali evidentemente questi inconvenienti non esistono ; sono tali i metodi di Potter e di Ayrton e Perry. Il primo di questi però, richiede due letture successive, perciò oltre alla compii- ELETTROMETRO AD EMICICLI 31 cazione, introduce errore nei risultati di quelle misure dove la simultaneità delle osservazioni sopra diversi apparecchi ha grande importanza. 11 secondo esige una sola lettura airelettrometro, ma richiede o di trascurare un termine che figura nella formola del metodo, oppure di determinarne il valore con misure secondarie. L'impiego dell'elettrometro a emicicli, appunto perchè con- duce ad un metodo elettrometrico, ovvia agli inconvenienti accen- nati relativi ai wattometri elettro-dinamici e condivide tutti i pregi dei metodi di Ayrton e Perry e di Potier ; siccome poi esige la lettura di una sola deviazione la quale è direttamente proporzionale all'energia che si vuole misurare, evita completa- mente le difficoltà indicate relativamente a questi metodi elet- trometrici. 2. — L'apparecchio può servire come voltometro ed ampero- metro per correnti continue. Si ricorrerà alla disposizione di circuiti indicata dalla fig. 5 ; e rappresenta una pila costante , la quale può essere anche una semplice pila di Volta senza de- polarizzante ; si ha una deviazione : ^ = K{V^-V,)c = K'{V^-V,) ; d = K'ri = K"i , dove l K' = Kc = GOèt. I K"=K'r= Gor,t. La deviazione ^ è proporzionale alla differenza di potenziali Va — F^ od alle intensità i che si vuole misurare, e per la mi- sura occorre una sola lettura L'elettrometro a emicicli, per il caso delle correnti continue, presenta adunque un vantaggio su quello a quadranti ; questo infatti si suole adoperare o col metodo di Thomson, o con quello di Joubert, o con quello di Mascart; il 1" richiede un poten- ziale elevato e costante per l'ago e quindi accessorii che com- plicano notevolmente l'apparecchio, cioè la bottiglia di Leida, la, jauge , ed il rep)ìenisher ; il 2° conduce a poca sensibilità nel caso di correnti debolissime, perchè o risulta in esso pro- porzionale al quadrato della quantità V„ — F^ od i che si mi- sura; il 3° richiede due letture successive e due potenziali uguali e contrari per le due coppie di quadranti opposti e quindi com- 32 ETTORE MORELLI plica la misura, introduce errori nei casi dove importa la simul- taneità delle osservazioni sopra diversi apparecchi, ed esige una prova preliminare sulla pila che serve ad elettrizzare le due coppie di quadranti. Il metodo a cui conduce l'impiego dell'elet- trometro a emicicli, non richiede accessorii che complichino l'ap- parecchio , si basa sulla proporzionalità della deviazione alla 1* potenza della quantità che si misura, richiede una sola let- tura, ed esige semplicemente di avere due potenziali differenti d'una quantità costante evitando così una prova preliminare ed una causa di errori. 3. — L'apparecchio può servire infine come voltometro ed am- perometro per correnti alternative sinussoidaìi. Si ricorrerà alla disposizione di circuiti indicata dalla fig. 6 , dove r indica nel caso dell'amperometro una resistenza senza self-induzione. Con- sideriamo un istante determinato del periodo T della corrente 2 7r . . . ' ^=/sen— -^, e diciamo m il momento della coppia dovuta alle forze elettriche e che sollecita Tago in questo istante, v^—v^ la differenza di potenziali fra i punti a.h nell'istante stesso; si ha; m=-K{v^—v^'. Questa relazione sussiste per ogni istante del periodo, perciò se T è molto grande di fronte alla durata delle oscillazioni dell'ago, questo tende a rotare come se su di esso agisse una coppia costante con momento proporzionale al valor 1 T medio — - \ {y>a ~ '^bY (^ ^ '•> ora, poiché 0 è proporzionale al mo- mento della coppia di rotazione, si ha : à = k-^({Va-V,T'dt=r--kV, dove /.; è una costante e F il valor medio della differenza di potenziali (v^ — Vi). — Dunque r} è proporzionale al valor medio V della differenza di potenziali fra a e b che si vuole misurare. Se r è senza self-induzione, si ha V=Jr, essendo J" l'intensità media della corrente i che si vuole misurare; cioè ò = k'Jàoye Jc =Jcr^= cosi. Dunque è è proporzionale al valor medio J che si vuole avere della intensità della corrente che percorre il tratto AahB di circuito. 4. ~ Cerchiamo infine quale sia la sensibilità dell'elettrometro a emicicli rispetto a quella dell'elettrometro a quadranti nelle diverse ELETTROMETRO AD EMICICLI 33 sue applicazioni come wattometro, voltometro ed amperometro. Supponiamo di avere un elettrometro a quadranti ordinario ed un altro elettrometro identico a questo per forma e dimensioni, in cui però sia stata fatta la modificazione indicata dalla fig. 1 relativamente alle comunicazioni fra i quadranti ed alla sepa- razione delle due parti dell'ago; le equazioni di equilibrio del- l'ago pei due elettrometri si deducono dalla eq. (2) supponendo rispettivamente: V^==V^' ; V.^-V.^ \ V^=rJ e V^=V^\ ^2=^1'' esse sono perciò : Nella r* equazione Fj . V^. V^ sono i potenziali delle due coppie di quadranti opposti e dell'ago, e nella 2% Fj . F, . F3. Fg' sono i potenziali delle due coppie di quadranti contigui e delle due parti dell'ago; K è nei due casi una stessa costante K=—- , tv giacche nelTipotesi fatta, e . /<■ sono due costanti inerenti alla forma e dimensioni dei quadranti ed alla sospensione, che sono uguali nei due casi. Orbene supponiamo di applicare il 1" elettrometro alla misura dell'energia tv sviluppata in ogni unità di tempo in un tratto AB di un circuito percorso da una corrente continua od alter- nativa; facendo uso del metodo di Potier si disporrà in serie ad A'B una resistenza nota AB=r, senza self-induzione nel caso di correnti alternative ; si uniranno le due coppie di qua- dranti opposti rispettivamente in A.B e l'ago successivamente in A'.B' facendo due letture a, |6. Si dimostra che e/.— (i =i2I\'r . tu — K'tv dove K'=2Kr=:cos,t. Applichiamo il 2" elettrometro alla misura della stessa energia IV , secondo quanto indica la fig. 4 , facendo uso di un'uguale y o resistenza r; avremo una deviazione: ò=Kr.iv. Dunque ^=- — - cioè la sensibilità è uguale alla metà. Per applicare il 1" elettrometro col metodo di Thomson, alla misura di una differenza di potenziali Fj— F, , si farà Fg ele- vatissimo, tanto elevato che si possa scrivere con approssima- zione sufficiente, che Oj = 2A'(Fj— F,) Fg. Misurando la stessa dif- ferenza Fj— Fg col 2" elettrometro , nel modo indicato dalla Atti R. Accad. - Parte Fisica — Voi. XXIV. 3 34 ETTOEE MOKELLl fig. 5, si avrà: ^o^^ -^ i^i ~ ^2) i^s" ^!^) • ^® adunque si sup- pongono uguali le differenze ausiliarie V^~ 0, Fg— F^'di cui si fa uso nei due casi, si ha 0^=-*- . Volendo misurare una differenza di potenziali F^— Fg'col 1° elet- trometro adoperato col metodo di Mascari, si farà Fj =: — F, , e si faranno due letture ò^, 0^' ; si avrà d^—è^'=^2K{V^—V^){V^—V^). Misurando la stessa differenza Fg — F^' col 2° elettrometro nel modo indicato dalla fig. 5, si ha ancora ù^=K{V^—V^){V^~V^'); quindi se si suppone uguale nei due casi la differenza di poten- ziali costante F — F„ , si ha ^., = — ^ . Infine, se si adopera il 1" elettrometro col metodo di Joubert per misurare una differenza Fj — F, , si ha ò^ = K{V^— F,) ; col 2" elettrometro adoperato come vuole la figura 6 , si ha ^2=£"(F, — Fg)^=^, , cioè una sensibilità uguale. Si deduce che a parità di forma e dimensioni di tutte le parti dell'apparecchio, ed a parità di potenziali ausiliarii di cui si fa uso, i metodi di misura relativi all'impiego dell'elettro- metro ad emicicli conducono ad una sensibilità uguale 0 metà di quella dei metodi corrispondenti lelativi all'elettrometro a quadranti. L'elettrometro ad emicicli, adunque, si presta a tutti gli usi come wattometro, voltometro ed amperometro per coirenti continue ed alternative a cui serve l'elettrometro a quadranti , rappresentandone un'utile modificazione. Esperienze. — Queste considerazioni mi hanno indotto a far costruire un apparecchio di prova ; in un elettrometro a qua- dranti di Mascart costrutto dal Carpentier, ho sostituito all'ago ordinario un ago diviso in due parti isolate fornitomi dal Tecno- masio Italiano; messe in comunicazione con due morsetti esterni III . Ili' le due parti dell'ago, mediante due appendici che pe- scano in due recipienti contenenti acido solforico puro, ho col- legato i quattro quadranti fra di loro in modo da formarne due coppie di quadranti contigui 1 . II comunicanti mediante fili iso- lati con altri due morsetti esterni I, IL Per mettere in stazione l'apparecchio, si è girato il sostegno della sospensione sino a disporre approssimativamente Lasse mag- giore di simmetria dell'ago, parallelo alla linea di separazione delle due coppie di quadranti contigui; quindi si è collocato sulla Tav. I. F,q. .1 H // Fiq.2. F,g. 5. FJj. G. ELETTROMETRO AD EMICICLI 35 scatola cilindrica il coperchio che sostiene i quadranti e la so- spensione, volgendo lo specchio verso la finestra appositamente praticata nella scatola, cioè verso la scala trasparente. In se- guito, collo scopo di verificare esattamente la condizione anzi- detta del parallelismo, si sono elettrizzate successivamente le due parti 3,3' dell'ago, e le due coppie 1.2 di quadranti, con una serie di 100 elementi Leclanché; e si è girato l'ago rispetto ai quadranti fino ad ottenere nei due casi una deviazione nulla, come vuole la d = K{V^- V^) {V^- V^' ) per F^ - F, > 0 , Fg-Fg'^O, e per V^-V, = 0, V^-V^^O. Con questo apparecchio così disposto ho fatto la seguente serie di esperienze. Mi sono servito di quattro serie di 10. 30, 30. 30 ele- menti Leclanché, ed ho verificata anzitutto l'uguaglianza appros- simativa delle differenze di potenziali ai morsetti delle tre ultime; a quest'uopo le due parti dell'ago sono state elettrizzate colla V serie, e le due coppie di quadranti contigui successivamente colle altre tre, trovando per le tre deviazioni valori medii uguali nelle unità. Dopo questa esperienza preliminare , lio fatto la serie di osservazioni indicate dalla tabella ; le differenze di potenziali sono espresse prendendo per unità quella ai morsetti di un ele- mento Leclanché in circuito aperto ; ogni deviazione indicata poi, è la media di quattro letture fatte invertendo ad ogni esperienza le comunicazioni fra le pile e le parti corrispondenti dell'elet- trometro : Fj-F,= 30 1 ) « = 60 1 « = 90 Si ha ^ì come vuole la F3-F3' = 10 ; ^1 = 15, 75 « =10 ; ò^=n,2^ = 10 ; ^3 = 46, 75 ^j :^2 :^3 = 30 : 60 : 90 Fj-F,= F3-F'3=10 ; o\' = 5,5 = 30 ; a,' =50 « « =60 ; a. ' = 200,50 36 FRANCESCO POEEO Si ha: come vuole la ò=K {V^~ V^)~; le piccole differenze sono do- vute essenzialmente all'imperfezione dello strumento di prova, quindi all' ineguaglianza delle tre ultime serie di pile, agli errori di lettura per deviazioni cosi disparate ed alle divergenze previste fra i risultati delle esperienze e quelli dedotti dalla teoria ap- prossimata che abbiamo esposto. Queste esperienze di orientamento, eseguite sopra un primo abbozzo dell'apparecchio descritto, hanno avuto il solo scopo di dimostrare che è effettivamente possibile il costrurre ed ado- perare questo elettrometro colla stessa facilità con cui si co- struisce ed adopera l'elettrometro a quadranti ordinario, Torino, novembre 1888. Effemeridi del Sole e della Luna xìcr l'orizzonte di Torino e per Vanno 1889 ; calcolate da Francesco Porro Neirintrai>rendere per il prossimo anno la compilazione delle Effemeridi Astronomiche relative all' orizzonte di Torino, io mi sono proposto di restringermi ai dati che più facilmente si pre- sentano nella pratica applicazione, fuori dell'Osservatorio, repu- tando di favorire il divulgarsi di questo modesto lavoro fra co- loro che ne possono abbisognare, coll'omettere le nozioni di mero interesse scientifico, e quelle che mediante calcoli elementari si possono, per l'uso della specola, dedurre dagli annuarii di Greenwich, di Parigi o di Berlino. Il lavoro si trova quindi ri- dotto ad un Calendario Astronomico, che noi abbiamo calco- lato in base ai dati della Connaissance des Temps e del Nau- tical Almanac, attenendoci strettamente alle Istruzioni compilate per l'Osservatorio di Milano, quali risultano da un ottimo opu- scolo del Dr. Michele Rajna (Milano, Hoepli, 1887). In parti- colare si è seguito il metodo svolto a pagina 37 e seguenti delle EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LT^NA 37 citate Istruzioni, per calcolare il nascere ed il tramontare del Sole, ed il metodo indiretto (pag. 47 e successive) per gli analo- ghi calcoli relativi alla Luna. Non credo fuori di proposito aggiungere per quest'anno le tavole ausiliarie preparate per questi calcoli, nella forma identica a quelle che per Milano si trovano nel citato opuscolo del dottore Kajna, Esse potranno servire ad agevolare la compilazione di consimili Effemeridi negli anni venturi, e sono ridotte in forma assai comoda, e tale da evitare per lo più le interpolazioni. Debbo da ultimo avvertire che nel calcolo delle Effemeridi fui validamente aiutato dal signor ingegnere Tomaso Aschieri , assistente all'Osservatorio. 38 FRANCESCO PORRO Gennaio 1889 GIORNO 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 TEMPO MEDIO DI ROMA Il SOIiE passa ce al tramonta ! meridiano ni h 111 h ni 59 12 23 4 46 59 23 47 59 24 48 59 24 49 59 25 50 59 25 51 59 26 52 59 26 53 58 27 55 58 27 56 58 27 57 57 28 58 ' 57 28 -59 56 28 5 1 56 29 2 55 29 3 54 29 4 54 30 6 53 30 7 53 30 8 1 52 31 10 51 31 11 50 31 12 49 31 14 48 32 15 47 32 16 46 32 18 45 32 19 44 32 21 43 33 22 42 33 24 liB lill^A nasce passa al meridiano tramonta II tn 7 25''. 8 28 9 22 10 5 10 40 11 9 11 36 12 iP- 12 25 12 48 1 14 1 43 2 15 2 54 3 39 4 30 5 27 6 29 / 34 8 40 9 49 10 58 12 9a. 1 21 2 36 3 50 5 3 6 9 7 7 7 55 11 1 2 2 3 4 5 6 6 57 ip. 2 59 51 40 26 9 52 7 35 8 18 9 3 9 49 10 37 11 27 12 17p- 8 58 47 35 22 9 58 50 42 8 39 9 33 10 41 11 42 12 41 4 31/5. 5 35 6 46 7 59 9 10 10 19 11 24 12 28p. 1 30 2 31 3 32 4 31 5 29 6 25 7 16 8 2 8 42 9 18 9 48 10 17 10 44 11 10 11 38 12 8p. 12 43 1 24 2 14 3 14 4 20 5 32 a 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 1 FASI DELLA LONA 1 Luna nuova 9' 58"^^om. 9 Primo quarto 1 30 ani. 17 Luna piena 6 27 ant. 14 Ultimo quarto 4 47 pom. 31 Luna nuova 59 ant. Il giorno nel mese cresce di 0^ 55"* 12 La Luna è in Apogeo 6'i pom. 28 Id. Perigeo 8 pom. Il Sole entra nel segno Acquario il giorno 19 ad ore 8 m. 28 ^jom. EFFEMERIDI DEL SOLE fi DELLA LUNA 39 rel)braio 1889 GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA a! 5 ■ 1 SOLE li» LU.\A o a a < 03 ai ' ^~~- passa "*— ~ ""*■ passa ,,^.^ . -e —; nasce al tramonta nasce al tramonta '^ 1 nBLLV auova LUIVA 10' 50°' pom. Il giorno nel mese cresce di 1' i38™ 9 ] ^rimo quarto 6 49 pom. 9 La Luna è in Apogeo iì^ aìit. 17 ] 24 1 ^una Jltimc )iena quarto 12 37 7 44 pom. ant. 21 I Il Sole er d. Perigeo 1 ant. tra nel segno Arie te il di ì -lUna auova 12 27 pom. giorno 20 ad ore 11 m. i e int. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 41 Aprile 1889 GIORNO TEMPO MEDIO DI KOMA e3 a a _2 • o ■ 1 SOLE La LUX A e a C9 OD 0) "^^ 1 '^^ "3 <. S passa I passa TS ^ nasce al tramonta nasce j al tramonta -sJ "ai 13 meridiano 1 meridiano ! s h m li m h ni h m 1 h m h m 91 1 6 1 12 23 6 45 6 52a. 1 1 15 7 49/?. 2 92 2 5 59 23 46 7 16 1 59 8 53 3 93 3 57 22 . 48 7 42 1 2 44 9 56 4 94 4 56 22 49 8 10 3 29 10 57 5 95 5 54 22 50 8 42 4 15 11 56 6 96 6 52 21 52 9 19 5 3 7 97 7 50 21 53 10 2 5 52 12 52a. 8 98 8 48 21 54 10 50 6 41 1 43 9 99 9 46 21 55 11 45 7 31 2 29 10 100 10 45 20 57 12 46p. 1 8 20 3 10 11 101 11 43 20 58 1 51 ' 9 10 3 46 12 102 12 41 20 59 2 59 ! 9 59 4 17 13 103 13 39 19 7 0 4 9 10 48 4 46 14 104 14 38 19 2 5 23 1 11 38 5 14 15 105 15 36 19 3 6 38 1 5 42 16 106 16 34 19 4 7 54 12 29a. 6 10 17 107 17 33 18 6 9 13 1 12 6 41 18 108 18 31 18 7 10 31 2 18 7 16 19 109 19 29 18 8 11 44 3 17 7 59 20 HO 20 27 18 9 4 17 8 49 21 111 21 25 17 11 12 49a. 5 18 9 47 22 112 22 23 17 12 1 45 6 17 10 52 23 113 23 22 17 13 2 31 7 14 12 2p. 24 114 24 21 17 14 3 9 1 8 7 1 11 25 115 25 19 17 15 3 40 1 8 56 2 20 26 116 26 17 17 17 4 7 9 43 3 28 27 117 27 16 16 18 4 32 10 38 4 34 28 118 28 14 16 19 4 56 11 12 5 38 29 119 29 13 16 20 5 20 11 55 6 43 30 120 30 11 16 22 5 44 12 39p. 7 46 1 8 FA Primo SI DELLA quarto LUNA 2h 37ni pom. Il giorno nel mese cresce di 1 1 30" 6 La Luna è in Apogeo O^» ant. || 15 22 liuna Ultim( piena D quarto 11 8 pom. 2 46 pom. 18 Id. Perigeo 3 ant. 1 II Sole entra nel segno Toro il || 30 1 l h m h ni 121 1 5 10 12 16 7 23 6 Ha. 1 24^. 8 47p. 2 122 2 8 16 24 6 41 2 10 9 48 3 123 3 7 16 25 7 16 2 57 10 45 4 124 4 5 16 27 7 56 3 46 11 38 5 125 5 4 16 28 8 42 4 35 6 126 6 3 15 29 9 35 5 24 12 26a. 7 127 7 1 15 30 10 32 6 13 1 9 8 128 8 0 15 31 11 34 7 1 1 46 9 129 9 4 59 15 33 12 39p. 7 49 2 18 10 130 10 57 15 34 1 47 8 37 2 47 11 131 11 56 15 35 2 58 9 25 3 14 12 132 12 55 15 36 4 11 10 15 3 40 13 133 13 53 15 37 5 27 11 7 4 7 14 134 14 52 15 38 6 46 4 36 15 135 15 51 15 40 8 5 12 2a. 5 10 16 13(5 IG 50 15 41 9 24 1 0 5 49 17 137 17 49 15 42 10 37 2 2 6 37 18 138 18 48 15 43 11 39 3 5 7 33 19 139 19 47 15 44 4 8 8 39 20 140 20 46 15 45 12 30a. 5 7 9 49 21 141 21 45 15 46 1 11 6 3 11 1 22 142 22 44 15 47 1 44 6 54 12 iip. 23 143 23 43 16 48 2 13 7 42 1 20 24 144 24 42 16 49 2 38 8 28 2 26 25 145 25 41 16 50 3 2 9 11 3 31 26 140 26 40 16 51 3 25 9 54 4 34 27 147 27 40 16 52 3 49 10 37 5 37 28 148 28 39 16 53 4 14 11 21 6 39 29 149 29 39 16 54 4 43 12 7 7 41 1 150 30 38 • 16 55 5 16 12 54p. 8 39 2 151 31 37 16 56 5 54 1 42 9 33 3 8 FA ■'rimo SI DELLA quarto LONA 7b 32I DELLA quarto LUNA 8h 50'» pom. Il giorno nel mese cresce di C )h2°' 13 La Luna è in Apogeo 5 pom. \\ 13 I 20 l ^una Jltimc 3Ìena quarto 2 48 8 25 pom. ant. 27 1< ì. Perigeo 10 ant. ) I! Sole entra nel segno Cancro il || 28 I juna Quova 9 43 giorno 21 ad ore 7 va. 0 a' nt. 44 FRANCESCO PORRO Luglio 1889 GIORNO Tl':MrO MEDIO DI ROMA CS a 3 11 SOI.C 1.» IjU^A o a ^ ■ — - — ■ - — — - — ^^ — ^ ■ ^ < passa passa "3 9^ nasce al Iraiuonfa nasce al tramonta .Ci OJ "3 'a meridiano meridiano W h m h m h m h m h m h m 182 1 4 37 12 23 8 8 7 17f7. 2 54/j. 10 22p. 4 183 2 38 23 8 8 19 3 41 10 53 5 184 3 38 23 7 9 23 4 27 11 20 6 185 4 39 23 7 10 28 5 12 11 45 7 186 5 40 23 7 11 35 5 58 8 187 6 40 24 7 12 45jD. 6 45 12 9a. 9 188 7 41 24 6 1 56 7 36 12 37 10 189 8 42 24 6 3 10 8 26 1 3 11 190 9 42 24 5 4 28 9 23 1 34 12 191 10 43 24 5 5 45 10 23 2 12 13 192 11 44 24 4 6 58 11 27 2 58 14 193 12 45 24 3 8 10 3 55 15 194 13 46 24 3 8 56 12 32a 5 4 16 195 14 47 25 2 9 40 1 35 6 18 17 196 15 48 25 1 10 15 2 33 7 34 18 197 16 48 25 1 1 10 44 3 28 8 49 19 198 17 49 25 0 11 10 4 18 10 1 20 199 18 50 25 7 59 11 35 5 5 11 10 21 200 19 51 25 58 11 58 5 50 12 16^ 22 201 20 52 25 57 6 34 1 21 23 202 21 53 25 56 12 22^. 7 18 2 24 24 203 22 54 25 55 12 49 8 2 3 25 25 204 23 55 25 54 1 20 8 48 4 26 26 205 24 56 25 53 1 54 9 35 5 23 27 206 25 57 25 52 2 33 10 23 6 16 28 207 26 59 25 51 3 20 11 13 7 5 29 208 27 5 0 25 50 4 12 12 2». 7 41 30 209 28 1 25 49 5 10 12 51 8 25 1 210 29 2 25 48 6 11 1 39 8 56 2 211 30 3 25 47 7 16 2 25 9 25 3 212 31 4 25 45 8 21 3 11 9 50 4 FA SI DELU i LUNA Il giorno nel naese diminuisce di 0*» 6 Primo quarto Qh 49ni ant. 50». 12 La Luna è in Perigeo 3 ant. || 12 Luna 19 Ultira piena 0 quarto 9 52 8 35 pom. pom. 24 d. Apogeo 5 poni. Il Sole entra nel segno Leone il || 28 Luna nuova 12 50 ani. giorno 22 ad ore 5 m. 55 pom. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 45 Agosto 1889 GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA a 3 Il $i<>I.E lia liT.^A o 0 « . — - — ____ _ — - _rt passa passa 01 nasce ili IramoDta nasce al tranioiita .CJ "a! T3 "3 13 meridiano meridiano (S h m li m Il m h ni Il m h m 213 1 5 5 12 25 7 44 9 28«. 3 57/j. 10 15/;. 5 214 2 6 25 43 10 35 4 42 10 39 6 215 3 7 25 41 11 44 5 29 11 4 7 216 4 9 25 40 12 56/). 6 19 11 34 8 217 5 10 25 38 2 10 7 12 9 218 6 11 25 37 3 24 8 9 12 %a. 10 219 7 12 25 36 4 38 9 9 12 48 U 220 8 13 24 35 5 45 10 12 1 39 12 221 9 15 24 33 6 43 11 15 2 40 13 222 10 16 24 32 7 31 3 51 14 223 11 17 24 30 8 9 12 16a. 5 7 15 224 12 18 24 28 8 42 1 13 6 24 16 225 13 19 24 27 9 10 2 6 7 39 17 226 14 20 23 25 9 36 2 55 8 51 18 227 15 22 23 24 10 0 3 42 10 0 19 228 16 23 23 22 10 24 4 28 11 7 20 229 17 24 23 20 10 50 5 12 12 {2p. 21 230 18 25 23 19 11 19 6 17 1 15 22 231 19 26 22 17 11 52 6 43 2 17 23 232 20 28 22 16 7 30 3 16 24 233 21 29 22 14 12 30a. 8 18 4 10 25 234 22 30 22 12 1 14 9 7 5 0 26 235 23 31 21 11 2 4 9 56 5 45 27 236 24 32 21 9 3 0 10 46 6 24 28 237 25 34 21 7 4 1 11 34 6 58 29 238 26 35 21 6 5 6 12 12p. 7 27 1 239 27 36 20 4 6 12 1 9 7 54 2 240 28 37 20 2 7 19 1 55 8 19 3 241 29 38 20 6 0 8 27 2 41 8 44 4 242 30 40 19 58 9 37 3 28 9 9 5 243 31 41 19 57 10 47 4 16 9 37 6 FA SI DELLA LUNA Il giorno nel mese t iniiuuisce di Ih 4 Pi'iino quaito 2h 170. pnm. 25'". 9 La Luna è in ! erigeo 8^ ant. Il Luna piena 5 33 ant. 21 IH. A pogeo 8 ant. 18 Ulti ni 3 quarto 11 41 ant. Il Sole entra nel s€ gno Vergi ne il 26 Luna nuova 2 50 poni. giorno 23 ad oi-e 12 ra. 44 ant. 46 FRANCESCO PORRO Settembre 1889 GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA S o Il SOLE L.a L.U.\\4 a a < passa passa nasce al tramonta nasce al tramonta "& -a "3 meridiano meridiano h m h m h m b m h m b m 244 1 5 42 12 19 6 55 10 Ort. 5 Sp. 10 8/). 7 245 2 43 18 53 1 13 6 2 10 46 8 246 3 44 18 51 2 26 7 0 11 32 9 247 4 46 18 49 3 33 8 0 10 248 5 47 17 47 4 33 9 1 12 27'/. 11 249 6 48 17 45 5 23 10 1 1 32 12 250 7 49 17 44 6 5 10 59 2 44 13 251 8 50 16 42 6 39 11 53 4 0 14 252 9 52 16 40 7 8 5 16 15 253 10 53 16 39 7 35 12 44a. 6 28 16 254 11 54 15 36 7 59 1 32 7 40 17 255 12 55 15 34 8 24 2 19 8 49 18 256 13 56 15 32 8 50 3 4 9 56 19 257 14 58 14 30 9 18 3 50 11 1 20 258 15 59 14 28 9 49 4 36 12 kp. 21 259 16 6 0 14 27 10 25 5 23 1 5 22 260 17 1 13 25 11 7 5 11 2 3 23 261 18 2 13 23 11 55 7 0 2 55 24 262 19 4 13 21 7 49 3 41 25 263 20 5 12 19 12 496/ 8 38 4 22 26 264 21 6 12 17 1 48 9 27 4 57 27 265 22 7 12 15 2 51 10 15 5 29 28 266 23 8 11 13 3 57 il 2 5 56 29 267 24 10 11 11 5 5 11 49 6 22 30 268 25 11 11 9 6 14 12 36p. 6 47 1 269 26 12 10 8 7 25 1 23 7 12 2 270 27 13 10 6 8 36 2 12 7 39 3 271 28 14 10 4 9 50 3 4 8 9 4 272 29 16 9 2 11 5 3 58 8 45 5 273 30 17 9 0 12 16/^. 4 55 9 28 6 FASI DELLA LDNA Il giorno nel mese diminuisce di 1" 2 Primo quarto 8h 24"» pom. 33"'. 6 La Luna è in Perigeo 3'' ant. \ 9 Luna piena 17 Ultimo quarto 2 42 5 39 pom. ant. 18 I d. Apogeo 2 ant. Il Soie entra nel segno Libra il ( 25 ] juna Quova 3 32 ant. giorno 22 ad ore 9 m. 28 ; )om. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 47 Ottobre 1889 GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA 274 275 276 277 278 279 280 281 282 283 284 285 286 287 288 289 290 291 292 293 294 295 296 297 298 299 300 301 302 303 304 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 Il SOIiE nasce 18 19 21 23 24 25 26 27 28 29 31 32 33 34 36 37 39 40 41 43 44 45 47 48 49 51 52 54 55 56 58 passa al meridiano 12 9 tramonta 58 56 54 52 51 49 47 45 43 42 40 38 36 35 33 31 29 28 26 24 23 21 19 18 16 14 13 11 10 l.a E.U\A nasce 1 27/j. 2 29 3 21 passa al meridiano tramonta 4 4 4 40 5 10 5 36 6 1 6 25 6 50 7 16 7 46 8 20 8 59 9 45 10 37 11 33 12 34'/. 1 38 2 45 3 54 5 4 6 18 7 32 8 49 10 6 11 19 12 26/). 1 21 2 6 0 o4/). 6 54 7 53 8 50 9 44 10 37 11 23 12 10 12 56 1 42 2 28 3 15 4 3 4 52 5 41 6 30 7 19 8 7 8 53 9 40 10 27 11 14 12 3p. 12 55 1 49 2 47 3 47 4 49 5 49 6 46 10 20p 11 21 i2a 30 1 43 2 57 4 10 5 20 6 30 7 38 "^ 45 50 54 9 10 11 53 12 48/j 37 20 57 28 56 22 47 12 39 4 5 5 6 8 6 42 7 24 8 14 9 13 10 21 11 33 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 1 2 3 4 5 6 7 F4SI DELLA LUNA 2 Primo quaito 2*» 23" ant. 9 Luna piena 2 16 ant. 17 Ultimo quai to 1 27 ant. 24 Luna nuova 3 16 pom. 31 Primo quarto 9 20 ant. Il giorno nel mese diminuisce di l^ 34». 1 La Luna è in Perigeo ò^ pom. 15 Id. Apogeo 10 pom. 27 Id, Perigeo 5 pom^. Il Sole entra nel segno Scorpione il giorno 23 ad ore 5 m. 59 ant. 48 FRANCESCO PORRO Novembre 1889 GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA £3 3 Il SOLE li» Juvyi\ o a quarto nuova 3 48 pom. 1 42 pom. 23 I ci. Perigeo 3 i inf. Il Sole entra nel segno Capric orno 29 1 "'rimo quarto 6 6 ont. il giorn 0 21 ad or 3 3 m. 42 j oom. Atti R. Accad. - Parte Fisica Voi. XXIV. FRANCESCO PORRO ECCLISSI (1889) Gennaio 1. — Ecclisse totale di Sole invisibile a Torino. La zona eli totalità attraversa parte dell'Oceano Pa- cifico e dell'America Settentrionale. Gennaio 17. — Ecclisse parziale di Luna, visibile a Torino. Principio a S"" 48'" ant. Metà a 5 20 » Fine a ........ 6 49 » Grandezza dell'Ecclisse :rrO,70 del diametro lunare. Giugno 28. — Ecclisse annulare di Sole, invisibile a Torino ; visibile nell'Africa Meridionale , in parte dell'Arabia, dell'India, dell'Arcipelago Indiano e del Pacifico. Luglio 12. — Ecclisse parziale di Luna, visibile a Torino. Principio a 8'' 33"' pom. Metà a 9 44 » Fine 10 55 » Grandezza dell'Ecclisse =0,48 del diametro lunare. Dicembre 22. — Ecclisse totale di Sole invisibile a Torino; visibile in parte dell'America Meridionale, dell'Atlan- tico, dell'Africa e dell'Arabia. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 51 TAYOLA I. TAYOLA II. Quantità di cui l'arco semidinrno Per ridurre la culminazione della luna è aumentato per effetto della rifr?zione dal meridiano di Greenwich alla latitudine di 45" 4'. a quello di Torino (Rajna, pag. 72). Effetto lUtardo diurno Riduzione Declinazione della luna al meridiano della rifrazione rispetto al sole di Torino 0° (y m m 3,3 37,2 m 6 15 — 0,8 3,4 39,8 11 26 — 0,9 3,5 44,4 15 0 — 1,0 3,6 49,1 17 10 — 1,1 3,7 53,8 19 21 — 1,2 3,8 58,5 21 0 — 1,3 3,9 63,2 22 26 — U^ 4,0 67,8 23 51 . — i,^ 4,1 68,5 25 10 AUi della R. Accademia — Voi. XXIV. 52 FRANCESCO POKRO TAVOLA III. Per ridurre V equazione del tempo dal meridiano di Greenwich a quello di Torino (Eajna, pag. 55). NA Riduzione NA Riduzione NA 1 Riduzione 0,000 0,439 0,887 0,00 0,23 0,46 0,010 0,458 0,906 1 0,01 0,24 0,47 0,029 0,478 0,926 0,02 0,25 0,48 0,049 0,497 0,945 0,03 0,26 0,49 0,068 0,517 0,965 0,04 0,27 0,50 0,088 0,536 0,984 0,05 0,28 0,51 0,107 0,556 1,004 0,06 0,29 0,52 0,127 0,575 1,023 0,07 0,30 0,53 0,146 0,595 1,043 0,08 0,31 0,54 0,166 0,614 1,062 0,09 0,32 0,55 0,185 0,634 1,082 0,10 0,33 0,56 0,205 0,653 1,101 0,11 0,34 0,57 0,224 0,673 1,121 0,12 0,35 0,58 0,244 0,692 1,140 0,13 0,36 0,59 0,263 0,712 1,160 0,14 0,37 0,60 0,283 0,731 1,179 0,15 0,38 0,61 0,302 0,751 1,199 0,16 0,39 0,62 0,322 0,770 1,218 0,17 0,40 0,63 0,341 0,790 1,238 0,18 0,41 0,64 0,361 0,809 1,257 0,19 0,42 0,65 0,380 0,828 1,277 0,20 0,43 0,66 0,400 0,848 1,296 0,21 0,44 0,67 0,419 0,22 0,867 0,45 1,316 0,439 0,887 1 EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 53 TAYOLA IV. Archi semidiurni degli Astri fra — 30'^ e -\-30° alla latitudine di Torino =+45° 4'. s iper 5<0 iper S>0 S 0 & t per S -^ 0 fper S>0 s i per 5 ^ 0 i per S i. 0 h m h ra h m h ra h m h m 12°0^ 4 10,8 7 49,2 ^ 16" 0^ 4 53,2 7 6,8 8 20» 0' 4 34,4 4 34,4 8 26,4 8 27,2 10 10,1 49,9 ' 50,6 10 52,4 10 33,6 20 9,4 20 51,7 8,3' 20 32,8 8 8 8 30 8,6 51,4^ 30 50,9 10,6 8 11,4^ 30 32,0 28,0 9 28,9 8 29,7 8 08,5^ 21,4 8 32,2 8 33,0 9 33,9 8 34,7 40 7,9 52,1 [ 40 50,1 40 314 50 7,2 52,8^ 50 49,4 50 30,3 13 0 6,5 53,5 8 54,3^ 17 0 48,6 21 0 29,5 10 5,7 10 47,8 12,2 _ 10 28,6 20 5,0 55,0^ 20 47,1 12,9 8 13,7 8 14,5^ 20 27,8 30 4,3 55,7^ 30 46,3 30 27,0 40 3,6 56,4 ' 8 57,2 40 45,5 40 26,1 50 2,8 50 44,8 15,2 50 25,3 7 8 9 14 0 .2,1 57,9 7 18 0 44,0 16,0 8 22 0 24,4 35,6 8 10 1,4 58,6 7 10 43,2 16,8 8 10 23,6 36,4 9 20 5 0,6 6 59,4 7 20 42,4 "'\ 20 22,7 37,3 8 30 4 59,9 7 0,1 30 41,6 18,4 8 30 21,9 38,1 9 40 59,2 '\ 40 40,8 19,2 8 40 21,0 39,0 9 50 58,4 1,6^ 50 40,0 20,0 8 20,8 50 20,1 39,9 8 40,7 15 0 57,7 2,3' 19 0 39,2 23 0 19,3 8 8 9 10 56,9 ^'S 10 38,4 21,6 8 22,4 10 18,4 41,6 9 42,5 20 56,2 3,8 ' 20 37,6 20 17,5 8 8 9 30 55,4 4,6 7 30 36,8 23,2 8 30 16,6 43,4 8 40 54,7 5,3 8 40 36,0 24,0 8 40 15,8 44,2 9 50 53,9 6,1 7 1 50 35,2 24,8 8 50 14,9 45,1 9 EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 55 Segue TAYOLA IV. Archi semidiurni degli Astri fra — 30° e -+-30" alla latitudine di Torino =4-45° 4'. s tper*<^0 ^per 4>0 « fper 5<0 /perS>0 S " ! 1 3 35 + 41m 5 24 + 25^ 7 31 + 9 3 41 + 40 5 32 + 24 7 38 + 8 3 47 + 39 5 39 + 23 7 45 + 7 3 53 + 38 5 47 + 22 1 7 52 + 6 3 59 + 37 5 55 + 21 7 59 + 5 4 5 + 36 6 3 + 20 8 6 + 4 4 11 + 35 6 11 + 19 8 13 + 3 4 18 + 34 6 19 + 18 8 19 + 2 4 24 + 33 6 28 + 17 8 25 + 1 4 31 + 32 6 36 + 16 8 31 :+: 0 4 38 + 31 6 44 + 15 8 37 — 1 4 46 + 30 6 52 + 14 \ 8 43 — 2 4 53 + 29 7 0 + 13 8 49 — 3 5 1 + 28 7 8 + 12 8 54 — 4 5 8 + 27 7 16 + 11 — 5 5 16 + 26 7 23 + 10 L'Accademico Segretario Giuseppe Basso. Torino, Stamperia Reale della Ditta G. B. Paravia e C. 2511 (150) 9 1-89. SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del 18 Novembre 1888 Pag. 1 Basso — Commemorazione di Rodolfo Clausius » H Castelnuovo — Geometria sulle curve ellittiche » '* Morelli — Elettrometro ad emicicli - Teoria ed applicazioni come wattometro, voltometro ed amperometro per correnti continue . » 22 Porro — Effemeridi del Sole e della Luna > Hfi ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI VoL. XXIV, Disp. 2*, 1888-89 Classe di Scienze Fisiche, Nateiualiclie e Morali TORINO ERMANNO LOESOHER Libraio della R. Accademia della Scienz« 59 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 2 Dicembre 1888. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, Lessona , Salvadori , Bruno, Berruti, Basso, D'Ovidio, Bizzozero, Ferraris, Naccari. : Letto ed approvato l'atto verbale dell'adunanza precedente, il Presidente commemora alla Classe la morte del Socio nazio- nale, non residente, Conte Paolo Ballada di Saint-Eobert, av- venuta il giorno 21 dello scorso novembre, e con parole di vivo rimpianto ne ricorda le alte benemerenze scientifiche. Incarica il Socio Basso di redigerne una Commemorazione da leggersi in una prossima adunanza, e nello stesso tempo incarica il Socio Cossa di elaborare il discorso commemorativo per il compianto Socio e Segretario perpetuo della Classe Ascanio Sobrero. Si legge una lettera del Segretario del E. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, nella quale si esprimono all'Accademia i sensi di condoglianza dell'Istituto stesso per la perdita del Socio Saint-Eobert. Le letture e le comunicazioni si succedono nellordine se- guente; 1" « Sulle ghiandole tuhnlari delV intestino, e sui raj'pprti del loro epitelio coir epitelio di rivestimento » ; del Socio Biz- zozero. 2° « Sull'azione difensiva dei parafulmini » ; Nota del Socio Naccari. In quest'adunanza il Socio Basso è eletto alla carica trien- nale di Segretario della Classe, in sostituzione del compianto Socio Comm. Prof. Ascanio Sobrero. Atti R, Accad. - Parte Fisica — Voi. XXIV. 60 GIULIO BIZZOZERO LETTURE Sulle ghiandole hibulari del tubo gastro-enterico e sui rapporti del loro epitelio colVepitelio di rivestimento della mucosa Nota P - del Socio Prof. Giulio Bizzozero (Tav. Ili) In alcuni miei antecedenti lavori (1) io, notando come le cellule epiteliali in via di scissione cariocinetica siano numerose nelle ghiandole tubulari dell'intestino e nelle fossette gastriche, mentre mancano affatto nell'epitelio di rivestimento della corrispon- dente mucosa, era stato indotto a supporre che queste mitosi servis- sero, non già a compensare un eventuale consumo di cellule causato dalla loro attività funzionale, ma si invece a sostituire le cellule dell'epitelio continuamente desquamantisi. La rigenerazione di tale epitelio avrebbe, quindi, luogo non già nell'epitelio stesso, ma nelle ghiandole tubulari (rispettivamente : ghiandole di Galeati e fossette gastriche). Fin d'allora aveva raccolti dei dati atti a convalidare la mia supposizione. — Dopo d'allora ho continuato le mie indagini, estendendole a parecchie specie di ghiandole ; e siccome i risultati ottenuti sono pienamente concordanti fra loro, e d'altra parte sono venute in luce alcune nuove particolarità di costituzione chimica ed istologica di queste ghiandole, cosi reputo ora conveniente di dar comunicazione de' miei studi in alcune note che verrò presentando alla nostra Accademia. E comincierò, oggi, col descrivere le ghiandole tubulari del retto e del colon di coniglio, — Alla fine dirò brevemente dei metodi usati in queste indagini, ed esporrò alcune considerazioni generali sull'argomento. (1) Bizzozero e Vassale, Archivio -per le Scienze med., voi. XI, 1887, p. 248. — Bizzozero, Atti del Congresso medico di Pavia, 1887, voi. 1, p 134. — Gazzetta degli Ospitali, 1888, n. 36. SULLE GHIANDOLE TUBULARI 61 I. Ghiandole del retto di coniglio. Nella mucosa del retto le ghiandole sono corte, tutte press'a poco della stessa lunghezza , disposte a palizzata, terminanti il più delle volte con un solo fondo cieco, e collocate assai vicine l'una all'altra, sicché i loro sbocchi sono del pari vicinissimi, e di conseguenza la superficie libera della mucosa rettale è molto piccola ed ha la configurazione di una rete, le maglie della quale sono costituite appunto dagli sbocchi ghiandolari. Uepiteìio della superficie libera, esaminato in sezioni verticali di preparati induriti, appare di un solo strato, costituito d'alte cellule cilindriche, terminate nella estremità che guarda il lume intestinale da un orlo lucente, e finamente striato, simile a quello delle cellule del tenue, ma più sottile. L'altra loro estremità è pure tronca e s'impianta sulla mucosa. La linea di confine fra le cel- lule epiteliche e la mucosa è netta e spiccata, ed esclude qua- lunque idea di penetrazione di prolungamenti di quelle nello spessore di questa. Ciò appare specialmente nei preparati indu- riti nell'alcool e colorati con picrocarmino , poiché in questi il protoplasma giallognolo, granuloso dell'epitelio si vede cessare bru- scamente verso la mucosa, che è invece incolora e assai traspa- rente, essendo costituita d'un tessuto connettivo molto delicato, reticolare e spugnoso. — 11 nucleo è ovale, allungato nel senso stesso della cellula, ed è collocato un po' più vicino alla estre- mità libera che a quella d'impianto della cellula stessa sulla mucosa. Talora si osservano delle cellule contenenti due nuclei, od anche tre, l'uno addossato all'altro. — In alcune cellule, poi, si scorgono, immersi nel protoplasma, dei granuli pallidi, rotondi, di svariata grossezza (da meno di Ip, a 2/7. e più) , i quali si imbevono intensamente colle sostanze coloranti la cromatina nu- cleare. Questi granuli sono, come vedremo più tardi, in rapporto colla distruzione di una parte di quelle cellule amiboidi, che stanno nello spessore dello strato epiteliare, e che sono numerose tanto in quest'ultimo, quanto negli strati superficiali del connettivo della mucosa. In tutto il tubo gastro- enterico si vedono queste cellule amiboidi nell'epitelio. Quello che mi parve caratterizzi l'epitelio 62 GIULIO BIZZOZERO del retto di coniglio è, che vi sono frequenti le cellule amiboidi a protoplasma abbondante e a nucleo allungato e aggomitolato. Di queste cellule nessuno, trovandole nello spessore dello strato epiteliare, potrebbe credere che fossero cellule di ricambio (Er- satzzellen), tanto è facile, alla forma del loro nucleo, riconoscerne la natura. Fra le cellule cilindriche protoplasmatiche si trovano abba- stanza frequenti delle cellule contenenti muco. Ma di queste ci occuperemo più avanti. Nell'epitelio di rivestimento del retto, per quanto io variassi i metodi d'indagine, non ho mai trovato alcun indizio di mol- tiplicazione per cariocinesi. Debbo considerare come straordinarie eccezioni le due sole cellule in mitosi che vi osservai nel lungo corso delle mie indagini. E tuttavia anche normalmente ha luogo, in varia misura nei diversi animali, una esfogliazione cellulare. Come, adunque, queste cellule si riproducono? La risposta verrà data dallo studio delle ghiandole. Spetta a G. Kìose (1) , scolaro di Heidenhain, il merito di aver posto in evidenza la notevole differenza che passa fra le ghiandole tubulari del tenue e quelle del retto. Queste si distin- guono da quelle tanto per la natura del loro secreto, che è pre- valentemente mucoso, quanto per la costituzione del loro epitelio, nel quale predominano le cellule mucipare; nel coniglio, anzi, non ci sarebbero quasi che queste, mentre nel cane le cellule mucipare si alternano colle protoplasmatiche (2) È facile persuadersi dell'esattezza delle osservazioni di Kìose; ma, impiegando nello studio i nuovi metodi di ricerca introdotti nella scienza, è facile altresì riconoscere altri fatti sfuggiti alla sua accurata osservazione. Innanzi tutto, nei preparati colorati coll'ematossilina (3) si può constatare, che le ghiandole del retto di coniglio contengono un certo numero di cellule epiteliche in via di cariocinesi. Non (1) Klose, Beitrag zur Kenntniss der tubuìòsen DarmdriJsen. Diss.-Inaug. Breslau 1880. (2) Klose, l. e. pag, 17. (3) Si deve dare la preferenza all'einatossillna sulle altre sostanze colo- ranti i nuclei in mitosi, perchè queste ultime, come si vedrà, colorano assai fortemente il muco, 8 quindi le mitosi non si scorgono facilmente. SULLE GHIANDOLE TUBULARI 63 sono molto numerose, trovandosene 1 ali 'incirca ogni due o tre ghiandole; ma sono costanti anche nell'animale adulto o vecchio. Le mitosi stanno a preferenza in due punti: nel cui di sacco, e poco lontano dallo sbocco ghiandolare ; non mancano, però, nel resto del tubulo. - — 1 nuclei in mitosi, come nelle altre ghian- dole, si trovano anche in queste più vicini al lume ghiandolare che non i nuclei in riposo. Un secondo punto in cui debbo modificare la descrizione data da Kìose è questo, che, trattando i preparati con certe sostanze coloranti, le cellule ghiandolari non si comportano tutte allo stesso modo. Ciò sfuggì a Kìose, perchè egli usò colorare soltanto col picrocarmino, coll'ematossilina e col carmino allume (1. e. pag. 18), con sostanze, cioè, che rendono poco o nulla evidente il fatto di cui parlo. — Se, invece, una sezione verticale di mucosa ret- tale previamente indurita neìVaìcool assoluto, viene colorata colla vesuvina, poi, lavatala per qualche minuto nell'alcool assoluto, viene passata nell'olio di garofani e poi chiusa nella damar, si scorge (fig. 1^) che l'epitelio ghiandolare è costituito da due forme cellulari alternantisi fra loro dall'uno all'altro capo della ghian- dola ; nell'una il corpo della cellula è fortemente colorato, nel- laltra è rimasto incoloro. Questa differenza spicca, più che altrove, verso la metà del tubulo ; quivi le cellule colorate appaiono (quantunque la ghiandola sia stata sezionata parallelamente al suo asse maggiore) sotto forma di piramide, colla base alla periferia, e coll'apice, leggermente tronco, limitante il lume ghiandolare. Il loro nucleo è ovale , alquanto appiattito , e schiacciato al- l'esterno, contro la membrana ghiandolare. Il corpo cellulare è tutto occupato dalla sostanza colorata , in cui si scorgono nu- merosi vacuoli, sicché la sostanza stessa assume l'aspetto di re- ticolo a grosse trabecole (1). In moltissime cellule, poi, si può constatare come esse siano proprio cellule mucose secernenti ; ■ infatti nel lume ghiandolare si scorge un cordoncino irregolare, <;he offre le stesse reazioni del contenuto delle cellule anzidescritte (materiale mucoso secreto , raggrinzato dai liquidi che servirono per l'indurimento), e che è in connessione con esse per mezzo di un filuzzo di sostanza della stessa natura (fig 1). (1) Credo conveniente di notare che questa struttura reticolare si riferisce a preparati induriti nell'alcool. Nel fresco il corpo delle cellule in discorso è, come in tante altre cellule mucipare, a grossi granuli. 64 GIULIO BIZZOZERO Le cellule chiare occupano tutto lo spazio lasciato libero dalle precedenti, posseggono un nucleo ovale spinto verso la periferia, e la sostanza che costituisce il loro corpo si distingue, oltre che per la scarsa o nessuna affinità per la vesuvina, per essere pal- lida, omogenea, ed attraversata in tutto il suo spessore da un sottile reticolo. Una differenza di colore così bella come quella della vesuvina si ottiene col verde di metile, conservando, poi, i preparati in glicerina. La ottenni pure, ma un po' meno spiccata, col metodo all'acido cromico (1), colla fucsina, colla safranina e coU'ema- tossilina preparata secondo la formola che io ho dato nel mio Manuale di microscopia clinica (2) , mentre quella preparata secondo la formola di Stóhr colora meno il corpo cellulare e più i nuclei (3). Del resto, non c'è bisogno di colorazione per dimostrare la differenza che corre fra queste due specie di cellule ghiandolari ; si può giungere allo stesso scopo esaminando le sezioni, non co- lorate, nell'alcool assoluto. Col microtomo si fa una sezione sotti- lissima della mucosa inclusa in paraffina, e la si mette in poche goccie di trementina per liberarla dalla paraffina ; dopodiché la si lava nell'alcool assoluto, e la si esamina in una goccia pure di alcool. Appaiono bene le due specie di cellule: le une chiare, pallide, attraversate da un fino reticolo, le altre a forma di pi- ramide, e con un corpo incoloro, ma splendente e vacuolizzato. Se ora ad uno dei lati del coproggetti si depone una goccia d'acqua, 0 di soluzione di picrocarmino, si vede che, man mano che la soluzione penetra, tutte e due le specie di cellule si gonfiano, e, nel far ciò, quelle splendenti (mucose) dapprima diventano più omogenee, poi impallidiscono fortemente, e lascian vedere un re- ticolo a sottili trabecole che attraversa il loro corpo cellulare. A questo modo diventano quasi eguali alle cellule pallide, sicché solo un occhio che tenne dietro a questa loro trasformazione, può distinguerle ancora, perchè conservano ancora qualche accenno della (1) BizzozERo, Zeitschr. f. miss. Mikr., voi, IH, 1886, p. 24. (2) 3» ediz. italiana pag. 36. — 2» ediz. tedesca pag. 31. (3) Le tinture d'eniatossilina preparate con diverse formole hanno diversa affinità pel muco. Ciò spiega conae Klein colorasse coll'eraatossilina le cel- lule caliciformi, mentre Klose {l. e), meravigliandosi di ciò, dice che egli le ottenne sempre « hell und ungefàrbt. « St'LLE GHIANDOLE TCBULAEI 65 rifrangenza primitiva. Queste modificazioni dipendono puramente da ciò, che la sostanza mucosa cromatofila contenuta nelle cellule, a contatto dell'acqua o di soluzioni acquose, si gonfia ed impal- lidisce ; non è già conseguenza di una trasformazione chimica. Infatti, se ad un preparato cosi trattato si sostituisce di nuovo all'acqua una goccia d'alcool, il preparato, man mano che il primo scaccia la seconda, riacquista l'aspetto primitivo, e la dif- ferenza fra le due specie di cellule ritorna evidentissima. E così il giuoco si può ripetere parecchie volte. Oltre che coU'alcool, la differenza fra le due specie di cel- lule si dimostra anche coll'acido acetico. Questo quando agisca a forte concentrazione, mentre rende pallidissime e a poco a poco invisibili le cellule chiare e in genere tutti gli altri elementi del preparato, mentre fa impallidire, fin quasi a renderli invisibili, i nuclei delle cellule mucose, non altera la sostanza splendente contenuta in queste ultime; la quale, anzi, frammezzo al resto del tessuto impallidito appare più splendente e spiccata. — Questa reazione dell'acido acetico è di molta importanza, perchè ci di- mostra che il contenuto delle cellule splendenti è rappresentato da vera sostanza mucosa, com'è vero muco la sostanza cromatofila contenuta nel lume delle ghiandole; mentre le cellule incolore non danno traccia della reazione della mucina. Quanto finora dissi dell'epitelio ghiandolare si riferisce spe- cialmente a quello che si osserva verso il ferzo medio della ghiandola ; nel terzo esterno e nell'interno si notano delle diffe- renze di cui importa assai tener conto, quando si voglia ben co- noscere la vita delle cellule ghiandolari che stiamo esaminando. Nel terzo profondo^ vale a dire nel fondo cieco, mentre le cellule chiare hanno press' a poco lo stesso aspetto che nel terzo medio, le cellule cromatofile si distinguono dalle corrispondenti del terzo medio per una minore affinità per le sostanze coloranti. Se, p. es., osserviamo un preparato in vesuvina, vediamo che le cellule cromatofile, pur essendo tutte colorate, lo sono tanto meno intensamente quanto più ci avviciniamo all'apice del cui di sacco ; se invece il preparato è al verde di metile (fig. 3'), la colorazione diminuisce di tanto, che nel fondo cieco è appena sensibile, sicché qui le cellule cromatofile quasi non si distinguono dalle incolore. E parimenti, se trattiamo un preparato coU'alcool, ovvero col- l'acido acetico, troviamo che le cellule cromatofile, man mano ci avviciniamo all'apice del cui di sacco, diventano sempre meno 66 GIULIO BIZZOZERO splendenti. Kisultati consimili ci danno anche gli altri già men- zionati coloranti del muco. — Appare , quindi, evidente che le cellule cromatofile , procedendo dal fondo cieco verso il terzo medio della ghiandola, vanno man mano arricchendosi di quella sostanza mucosa che resiste all'acido acetico, ed a cui debbono la loro grande colorabilità. Nel terzo profondo delle ghiandole, come dissi, le mitosi sono relativamente frequenti. Se ne vedono in tutti gli stadi ; la massa nucleare filamentosa è relativamente piccola, il corpo cellulare è costituito da sostanza pallida ed omogenea, attraversata da un reticolo a sottili trabecole (fìg. 2"). Stante la poca differenza che qui c"è tra le due forme cellulari , non si saprebbe decidere se le mitosi appartengano piuttosto alle cellule chiare, alle cellule mucose o ad entrambe. Le cellule tappezzanti il ter^o superficiale delle ghiandole da una parte si continuano con quella del terzo medio , dall'altra trapassano nell'epitelio di rivestimento. Ne verso una parte, ne verso l'altra troviamo un limite netto ; gli elementi si modificano gradatamente , e la modificazione ha luogo in ambe le specie di cellule. Infatti, esaminando le cellule cromatofile in preparati induriti nell'alcool, sezionati di parafina, coloriti col verde di metile e conservati in glicerina (fig. 4 ') , si vede che il blocco piramidale di muco che le riempie nel terzo medio della ghiandola (fig. 4* a), quanto più si procede verso lo sbocco di essa diventa piccolo, si allontana dal nucleo e si porta verso 1' estremità interna della cellula {h) ; con altre parole, la cellula continua ad emetter muco senza produrne del nuovo. Tali cellule si riscontrano anche in corrispondenza dell'orificio ghiandolare ed al dintorno di esso nel- l'epitelio di rivestimento dell'intestino, ma sono molto modificate; esse sono allungate, compresse dalle cellule circonvicine (e) ; il loro nucleo, non più schiacciato dalla gocciola di muco, si è por- tato un po' più verso il mezzo della cellula, ove sta circondato da protoplasma granuloso, e, infine , il blocco di muco, assai ri- dotto in volume, occupa parte dell'estremità libera della cellula, e in parte sporge da essa, trovandosi cosi libero alla superficie della mucosa. Il blocco ha, a questo modo, la figura di un 8, e la strozzatura dell '8 corrisponde allo stretto orificio della cel- lula pel quale il muco sta passando. La cellula è cos'i diventata una cellula caliciforme dell'epitelio di rivestimento. — In un ul- SULLE GHIANDOLE TUBULARI 67 timo stadio, che si compie quando le cellule formano già parte dell'epitelio di rivestimento dell'intestino, le cellule possono svuo- tarsi di tutto il muco, ed allora , tanto pel nucleo quanto pel corpo, assomigliano alle cellule epiteliche comuni, salvo che man- cano di orlo lucente. Non ho potuto accertare se un certo nu- mero di esse possa, acquistando quest'orlo, trasformarsi in com- plete cellule protoplasmatiche. Figure assai istruttive di questo processo di evoluzione delle cellule mucipare si ottengono eziandio da pezzi induriti nei liquido di Flemminy, ridotti in paraffina in sezioni sottilissime, le quali vengono poi colorate colla safranina e conservate in dammar. E -con questo metodo che si ottenne la fig. 5* che rappresenta uno sbocco ghiandolare. La sostanza mucosa spicca assai perchè viene fortemente colorata dalla safranina; non presenta, però, evidente quella forma reticolare, ch'essa, invece , manifesta , come si disse, quando è indurita coiralcool. Il liquido di Flemming la rende di aspetto omogeneo ; soltanto coi migliori obbiettivi si può ac- ■certare che essa è attraversata da un fino reticolo. Nella figura è disegnata porzione del terzo superficiale della ghiandola. Nella sua parte inferiore si vede che le cellule hanno ancora forma piramidale, e che al loro sbocco nel lume ghiandolare presentano un piccolo zaffo di muco più intensamente colorato. An- dando verso lo sbocco della ghiandola, le cellule si impiccioliscono alquanto, e tendono a diventar sferiche ; il nucleo è sempre schiac- ciato alla periferia. In uno stadio più avanzato la cellula impiccio- lisce ancora, e quella parte in cui sta il nucleo tende, vista di col- tello, ad assumere forma triangolare, e s'imbibisce fortemente della ■sostanza colorante. — In corrispondenza dello sbocco ghiandolare le cellule, in conseguenza evidentemente della forte pressione che soffrono in quella loro metà che è fissata sulla mucosa, hanno già acquistato la forma di calice ; il muco, cioè, forma un globo nella metà superficiale della cellula, e in parte fuoresce da essa; la metà profonda dell'elemento invece è appiattita, è fortemente colorata colla safranina, e contiene un nucleo pure schiacchiato, e colorato con intensità anche maggiore. — In un ultimo periodo le cellule entrano a far parte dell'epitelio dell'intestino, e si distinguono dalle antecedenti soltanto per questo, che il globo di muco che contengono si è impicciolito ancora di più. Nello studiare le modificazioni di forma che presenta la metà profonda delle cellule è da tener presente, che la pressione che 68 GIULIO BIZZOZERO le determina non si esercita in tutte le direzioni ; la pressione viene esercitata dalle cellule che stanno nel lume ghiandolare verso le cellule dell' epitelio di rivestimento ; vale a dire nella direzione che assumerebbe il prolungamento dell' asse longitudi- nale della ghiandola s'esso si curvasse per decorrere parallelo alla superficie deirintestino. Ne consegue, che la metà profonda delle cellule caliciformi diventa appiattita ; sicché vista di coltello appare sottile col nucleo allungato, vista di fronte è larga, e pre- senta il nucleo di forma ovale. Ne consegue pure che le figure di coltello si hanno soltanto in quei punti della sezione in cui essa passa nel piano mediano longitudinale delle ghiandole (come nella più parte delle cellule della fig. 5*) , mentre negli altri punti si hanno figure di sbieco o di fronte {a della fig. 5^). Noteremo di passaggio che (come appare dalla stessa figura), nei preparati induriti col liquido di Flemming e colorati con safra- nina, l'intensità di colorazione del muco diminuisce gradatamente andando dalle cellule ghiandolari a quelle caliciformi dell'epitelio di rivestimento. In queste ultime , poi , neir interno del muco si scorgono dei corpicciuoli rotondi od ovali, intensamente colorati. — Noteremo ancora , che anche nei preparati induriti nel liquido di Flemming le cellule mucose si imbevono assai intensamente colla vesuvina ; quest' ultima , anzi , è preferibile alla safranina quando si vogliano far spiccar le cellule caliciformi deHepitelio di rivestimento. Anche le cellule chiare si modificano procedendo verso lo sbocco ghiandolare. Già ad una notevole distanza da questo il reticolo che attraversa il corpo cellulare va facendosi sempre più fitto, mentre progressivamente la sostanza omogenea che sta fra le sue maglie diminuisce ; la cellula impicciolisce di alquanto, e, pel continuo impicciolirsi delle maglie del reticolo, alfine acquista aspetto granuloso, simile a quello dell'epitelio di rivestimento ; al par di questo , eziandio , acquista la proprietà di colorarsi in giallognolo col picrocarmino, mentre prima vi rimaneva incolora. Il nucleo, dapprima schiacciato all'estremità profonda del corpo cellulare, si dispone col suo asse più lungo parallelo a quello della cellula, e s'avanza fino a trovarsi nella metà superficiale del corpo di questa. Infine a non grande distanza dallo sbocco la linea limi- tante la estremità libera delle cellule, dapprima sottile e liscia, va diventando un po' più grossa e finamente striata, e, così, in corri- spondenza deirorificio della ghiandola arriva a presentare l'aspetto SULLE GHIANDOLE TUBULART 69 dell'orlo lucente e striato proprio dell'epitelio di rivestimento. — Dopo questa descrizione, che ho dato, dell'epitelio delle ghian- dole rettali parmi si possa dare una risposta alla domanda: come si rigenera l'epitelio dell'intestino? E non credo che la risposta possa essere altra che questa : esso non si rigenera per moltipli- cazione de' suoi propri elementi ; la sua continuità è conservata dal successivo e proporzionato trasformarsi in cellule epiteliche superficiali delle cellule rivestenti le ghiandole tubolari. — Infatti : 1" nell'epitelio di rivestimento non esistono cellule in mitosi, mentre esse esistono costantemente in quello delle ghiandole ; 2° tra l'uno e l'altro epitelio non esiste un limite netto; c'è un passaggio graduato dall'epitelio ghiandolare a quello della super- ficie libera ; 3° trattandosi di ghiandole adulte, le mitosi del loro epitelio, se non servissero alla conservazione dell'epitelio di rive- stimento, dovrebbero necessariamente servire a sostituire cellule ghiandolari distruggentisi durante la secrezione. Ora, in nessuno de' miei numerosissimi preparati io ho trovato la traccia di ele- menti in distruzione né nell'epitelio secernente, né nel lume ghian- dolare ; e si noti che questo lume é piccolo , e quindi sarebbe facile la constatazione del fatto ; 4° il variare dell'aspetto delle cellule mucose a seconda del punto della ghiandola in cui si considerano dimostra che , non solo le mitosi vicine all' orificio, ma s'i ancora quelle residenti nel fondo cieco contribuiscono a conservare l'integrità dell'epitelio di rivestimento. E per vero, noi abbiamo veduto che, di queste cellule, alcune sono distese da molto muco poco colorabile, altre sono distese da un blocco piramidale di muco molto colorabile , altre , infine , hanno buona parte del loro corpo di natura protoplasmatica , e non contengono più che un piccolo blocco di muco, di cui sono prossime a svuotarsi del tutto. Ora, questi diversi aspetti delle cellule cromatofile non possono corrispondere a diversi stadi della loro attività funzio- nale, perchè, se così fosse, cellule con l'uno o l'altro di questi aspetti dovrebbero indifferentemente trovarsi in qualsivoglia punto della ghiandola; e, invece, ciò non s'osserva mai, giacché, come dissi, le cellule a muco poco colorabile sono tutte nel terzo profondo, le cellule piramidali nel terzo medio, e le cellule caliciformi nel terzo superficiale della ghiandola. E neppure si può accogliere la sup- posizione che ogni ghiandola sia costituita da tre porzioni, aventi ciascuna cellule mucose proprie e particolari, giacché feci già notare che dalle cellule cromatofile a muco quasi non colorabile 7Ò GIULIO BIZZOZERO le quali stanno nel fondo cieco , si passa , per una serie gra- duata di cellule a muco sempre più colorabile, alle cellule pira- midali, intensamente colorate del terzo medio della ghiandola ; e da queste, pure per gradazioni successive , alle cellule in via di svuotarsi di tutto il loro muco che stanno all' orificio della ghiandola e nell' epitelio intestinale che lo circonda. Tutto ciò non si può spiegare che ammettendo : 1° che i diversi aspetti delle cellule cromatofile corrispondono a diversi stadi della loro vita ; 2" che le cellule cromatofile più giovani stanno nel fondo cieco, mentre le più vecchie risiedono all'orificio della ghian- dola e nell'epitelio di rivestimento dell' intestino. Ammesso ciò, si deve ammettere implicitamente, che le cellule più profonde delle ghiandole, spostandosi gradatamente dal basso all'alto, vengono in ultimo a formar parte dell'epitelio di rivestimento dell'intestino. Mi sono occupato anche di indagare qual rapporto esista fra le cellule cromatofile e le cellule chiare. La loro diversa costi- tuzione e il diverso aspetto sono forse dovuti al fatto che le cellule, pur essendo tutte della stessa natura, sono in diverso stadio funzionale? La cellula chiara è forse una cellula già svuo- tatasi del muco secreto, mentre la cellula cromatofila che le sta vicina è ancora carica di muco ; sicché nel periodo immediata- mente successivo quella, producendo nuovo muco, diventerà cro- matofila, mentre questa, svuotandosi del suo, apparirà come cel- lula chiara, e così di seguito? Debbo confessare che questa fu -la mia prima supposizione; e che furono i fatti che mi persua- sero a concludere in modo diverso. Se la supposizione fosse vera, noi dovremmo trovare tutte le forme di passaggio fra l'una e l'altra specie di cellule; come si trovano in tutte quelle ghiandole (salivari , gastriche, pancreati- che, ecc.) in cui l'osservazione anatomica dimostrò variazioni isto- logiche corrispondenti ai diversi stadi di attività funzionale ; do- vremmo vedere, cioè, cellule chiare con poco muco, altre che ne contengono di più, e così, progredendo, altre in cui il muco riempie quasi tutta la cellula , fino ad arrivare alle cellule cromatofile tipiche. Invece, nulla di tutto ciò. Se noi consideriamo un tratto del tubulo in cui ambe le specie di cellule sono nel loro pieno -sviluppo, cioè il terzo medio della ghiandola, vediamo che le cel- ;lule cròmatofile sono sempre fortemente distese dal muco, mentre le chiare non presentano neppur traccia di questa sostanza; fra quelle e queste, anziché forme di passaggio, c'è un vivo e spio*- SULLE GHIANDOLE TUBULARI 71 cato contrasto. Le due forme cellulari, adunque, debbonsi con- siderare come appartenenti a due specie distinte di elementi. Ciò non consuona coi risultati ottenuti da Klose (1) e con- fermati da Heidenhain (2). Sottomettendo i conigli all'azione- della pilocarpina, in modo da eccitare fortemente l'attività se-. cretoria dell'intestino, essi videro succedere profonde modificazioni nelle cellule mucose delle ghiandole tubulari del coniglio; infatti, il muco ne esce, fino a non rimanerne più traccia, il nucleo s'ar- rotonda e si allontana dall' estremità della cellula , portandosi- verso il mezzo di questa ; il muco uscito viene sostituito da una: sostanza granulosa, ricca di albumina, che si colora intensamente; in rosso col carmino; in breve, le cellule diventano « vollkommen: àhnlich den Zellformen , welche die typische Auskleidung der: Dunndarmdriisen bilden (3). » Secondo questi osservatori, adunque,; le cellule mucose potrebbero, dopo un periodo di esagerata atti-!: vita, riacquistare i caratteri di cellule protoplasmatiche. Questi risultati m' hanno mosso a ricercare se per questa via. io potessi modificare le cellule cromatofìle in modo da renderle^ eguali alle cellule chiare. Kìose ed Heidenhain non potevano pen^ sare a ciò, perchè non riconoscevano nelle ghiandole che una sola forma cellulare; ma, una volta che fu dalle mie osservazioni- accertato, che le cellule appaiono sotto due forme, era logico sospettare, che se la differenza fra esse dipende da ciò che l'una è carica, l'altra è vuota di muco, era logico sospettare, dico, che ogni differenza dovesse scomparire quando, per mezzo della pilo- carpina, anche le cellule cromatofile si fossero liberate del loro, materiale di secrezione. A questo scopo produssi una profusa e prolungata secrezione delle ghiandole in conigli adulti del peso di 1800-2000 grammi, iniettando loro ipodermicamente in tre ore quattro siringhe di una soluzione di idroclorato di pilocarpina, in modo che in tutto. ricevessero g. 0,03 di sale, ed uccidendoli mezz'ora dopo l'ul- tima iniezione. Le iniezioni dovettero essere così ripetute perchè i loro effetti, benché intensi, sono passaggieri. La mucosa rettale venne indurita parte in alcool , parte nel liquido di Flemming. Le sezioni dei pezzi induriti dimostrano già ad un esame (1) Loc. e. p. 25. (2) Loc. e. p. 166. (3) Heidenhain, l. e. p. 166. 72 GIULIO BIZZOZEHO superficiale notevoli modificazioni. Innanzi tutto le ghiandole sono un po' più sottili delle ghiandole normali; infatti, paragonando quelle a queste in pezzi induriti collo stesso processo nel liquido di Flemming si trova che le prime hanno verso la metà della loro lunghezza una grossezza media di 44,25 //,, mentre le se- conde misurano 52 jU, Questa piccola diminuzione è imputabile specialmente all'epitelio ghiandolare, poiché non mi parve che il lume fosse apprezzabilmente impicciolito. Ciò, però, che più spicca, è la modificazione delle cellule mucipare. La sostanza cromato- fila che contenevano, in alcune (e sono le più numerose) è scom- parsa del tutto, nelle altre è in via di scomparire. Nei preparati induriti nell'alcool e colorati con vesuvina è facile vedere come ciò succeda : le trabecole del reticolo formato dalla sostanza cro- matofila (fig. 7^) vanno facendosi sempre più sottili, poi diventano interrotte, ed alla fine si sottraggono alla vista. 11 corpo della cellula, però , impicciolisce , come s'è detto , di poco , perchè il posto delle trabecole scomparse viene occupato dal crescere della sostanza incolora che riempiva i vacuoli da esse limitati. Com'era a supporsi, la sostanza cromatofila scompare per ultimo là dove essa era contenuta in maggior copia, cioè verso il mezzo della lunghezza della ghiandola. Noto di passaggio che il nucleo delle cellule , come già avevano osservato Kìose ed Heidenhain , si arrotonda, e si porta verso il mezzo della cellula. Aggiungo, poi, che anche negli alti gradi di pilocarpinizzazione le ghiandole pre- sentano delle mitosi, in un numero che non mi sembrò diverso dal normale. Ad un esame superficiale si può credere che , scomparsa la sostanza cromatofila, non ci sia più differenza fra le due specie di cellule ghiandolari ; ma nel fatto non è cos'i. 11 corpo delle cellule cromatofile, nei preparati induriti tanto in alcool quanto nel liquido di Flemming, e trattati sia colla vesuvina che colla safranina, si colora ancora, benché assai leggermente e in modo diffuso; mentre nelle cellule dell'altra specie si conserva incoloro. Questa differenza si avverte bene nel mezzo della ghiandola; poco spiccata è, invece, nel cui di sacco. Inoltre, le cellule cromato- file mantengono la loro forma piramidale, e la loro regolare base d'impianto sulla membrana ghiandolare, mentre le cellule incolore sono obbligate, come nello stato normale, ad occupare gl'inter- stizi lasciati da esse, ed hanno, quindi, una forma affatto irre- ' golare. Ciò appare chiaramente quando si esamini una ghiandola, SULLE GHIANDOLE TUBULARI 73 aggiustando il fuoco dell'obbiettiyo non sul piano mediano di essa, ma su di un piano tangenziale , in modo da vedere i contorni delle superficie d'impianto delle cellule sulla membrana anista, come venne rappresentata nella figura 6' ; nella quale a a sono le cellule mucipare svuotatesi del loro muco, b le cellule chiare interposte. Nelle cellule a a' il globo di muco non era ancora del tutto scomparso, e venne abbrunato dalla vesuvina; esso^^nella figura appare a contorni sfumati perchè sta nell'apice della cellula, in un piano inferiore a quello ove sta il nucleo , e quindi non si trova al fuoco deirobbiettivo. Interessante è, ancora, di studiare le alterazioni degli elementi nell'epitelio di rivestimento. Le cellule cilindriche protoplasmatiche vi appaiono con palese orlo lucente, piuttosto tumefatte, chiare, come fossero leggermente infiltrate di liquido sieroso. I loro nu- clei, come già osservò Klose, si sono spinti verso la estremità libera della cellula , talvolta fin quasi a toccare Torlo lucente. Quanto alle cellule mucipare non posso , per quanto riguarda il retto, sottoscrivere airopinione di Klose (1. e. pag. 27) che nei conigli pilocarpinizzati scompaiano (die Schleimzellen verschwinden vollstàndig). Forse egli non le potè dimostrare coi metodi da lui usati. Ma se, invece, l'intestino s'indura colla miscela di Flem- ming , e le sezioni si esaminano in glicerina, oppure, dopo averle colorate con buoni reagenti delle cellule mucipare, come la sa- franina e (ancor meglio ) la vesuvina , si osservano in vernice damar, non si dura fatica a riconoscerle. Ben poche di esse, però, contenendo ancora una piccola gocciola di muco, conservano la caratteristica forma di calice (fìg. 8^ a). Nella più parte la gocciola di muco è scomparsa, e il corpo della cellula è avvizzito, e fortemente schiacciato , sicché appare pallido e largo quando sia visto di fronte (e) , stretto e più colorato quando sia visto di profilo [d). Esso si colora abbastanza intensamente colla sa- franina e la vesuvina, e pare costituito da una sostanza vacuo- lizzata (ben palese nella fig. b). Il nucleo delle cellule è pure fortemente appiattito, e si distingue a prima giunta da quello delle comuni cellule epitelicbe , oltre che per questa sua forma e per la intensa colorazione, pel fatto che è collocato nella parte pro- fonda dello strato epiteliale, in vicinanza del punto d'impianto della cellula che lo contiene. In conclusione, abbiamo dinanzi a noi degli elementi avvizziti a cagione della esagerata secrezione in essi indotta dalla pilocarpina. 74 GIULIO BIZZOZERO Applicando questi risultati alla soluzione del quesito che ci era- yamo proposto, e ricordando specialmente, che le cellule mucipare neppur quando siano prive della loro gocciola di muco diventano, eguali alle cellule chiare interposte, abbiamo un nuovo argomento in mano per concludere, che le due forme cellulari rappresentano veramente specie diverse, non già due diversi stati funzionali di uno stesso elemento. Ciò vale per gli elementi adulti, per quelli, cioè, che troviamo verso il mezzo della ghiandola. Non oserei dire che valga anche per gli elementi del fondo cieco ; poiché qui le cellule mucipare presentano meno spiccati i loro caratteri diffe- renziali: contengono poco muco, trattengono assai meno vivace- mente le sostanze coloranti, assomigliano in una parola assai più alle cellule chiare che le circondano. Questa minore differenza può far supporre che alcune delle cellule contenute in questo tratto della ghiandola costituiscano come degli elementi indiffe- renti, che nel successivo sviluppo si avviino in due direzioni diver- genti, a capo delle quali stanno dall'una parte le cellule chiare, dall'altra le cellule mucipare. Lascio la soluzione del quesito (che non è facile, come non si trova facile quella che riguarda le due specie di cellule delle ghiandole del fondo gastrico) ad ulteriori ricerche. Quello che risulta dalle indagini che ho finora esposto si è : che non si possono spiegare le modificazioni graduate di forma e di costituzione chimica, che si osservano nelle cellule mucipare andando dal fondo cieco ghiandolare fino all'epitelio di rivesti- mento , se non ammettendo un'evoluzione progressiva ed uno spostaìuento dell e cellule stesse dal fondo cieco fino alla su- 'perficie libera della mucosa. E , adunque, nel fondo cieco che si trovano gli elementi mucipari più giovani , ed ivi ha luogo la loro moltiplicazione per mitosi. Quanto alle cellule chiare, esse devono naturalmente accompagnare le mucipare nella loro trasmigrazione ; la loro moltiplicazione per scissione indiretta , però, può aver luogo in tutta la lunghezza del tubulo ghian- dolare. Infatti, come dissi, sono frequenti le cellule chiare con nucleo in mitosi fin presso lo sbocco della ghiandola. Ciò spiega come nell'epitelio della superficie libera esse riescano ad essere assai più numerose delle cellule mucose. SULLE GHIANDOLE TUBULARI 75 II. Ghiandole del colon di coniglio. La mucosa del colon ha una superficie libera fittamente bernoccoluta, a cagione di numerose sporgenze a forma di ca- pezzolo o di cono die stanno disposte l'una vicina all'altra. Queste sporgenze o papille alla loro base hanno una larghezza di 0,6 — 0,8 mm. verso il principio del colon, e di 0,3— 0,4 mm. nel colon a circa 20 cm. di lontananza dal cieco. Si noti , però , che sono così strette una contro l'altra , che quando si esamina la superficie interna dell'intestino, non si può vedere che il loro apice ; giacché la superficie laterale di ogni papilla è per buona parte applicata contro le corrispondenti superficie laterali delle papille che immediatamente la circondano. Le ghiandole del colon sono tubulari. Ora, siccome al pari di quelle del retto sono disposte a palizzata, e vanno a termi- nare direttamente alla superficie della mucosa, così ne consegue che hanno diversa lunghezza (fig. 9'); le più lunghe sono quelle che vanno a sboccare all'apice delle papille , le più corte sono quelle che sboccano nel fornice fra una papilla e l'altra; quanto alle ghiandole che metton capo sulle superficie laterali delle pa- pille, esse sono tanto più lunghe* quanto più il loro sbocco è vicino al vertice di questa. Esse attraversano leggermente ondulose tutto lo spessore della mucosa, e terminano quasi a contatto della muscolaris mucosae, dalla quale non sono separate che da un sottilissimo strato con- nettivo. Di frequente, a poca distanza dalla loro terminazione, si biforcano, e danno origine così a due fondi ciechi. — Qua e là, poi, tra i fondi ciechi e la muscolaris mucosae si osser- vano degli accumuli di cellule linfatiche. Lo stroma della mucosa è rappresentato da scarso connet- tivo reticolare , spugnoso , attraversato da fibrocellule muscolari liscie, che tengono un decorso parallelo a quelle delle ghiandole, e vanno spesso a terminare con una loro estremità proprio sotto l'epitelio di rivestimento. Nel connettivo stanno numerose cel- lule in parte fusiformi, in parte (e sono le più numerose) coi caratteri di leucociti. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Voi. XXIV. 6 76 GIULIO BIZZOZERO L'epitelio di rivestimento della supeificie deirintestino è si- mile a quello del retto. Anche in esso si scorgono non rare le cellule con due o tre nuclei in riposo, e non si vedono mai cel- lule in mitosi. Esso pure è attraversato da numerosi leucociti, e nelle sue cellule (specialmente in quelle che rivestono il ver- tice delle papille) si notano non infrequenti quei granuli di so- stanza cromatofila che considero come avanzi di nuclei di leuco- citi in via di disaggregazione. — Nell'epitelio di rivestimento del colon non mancano le cellule caliciformi; ed è degno di nota che esse non vi sono sparse uniformemente, ma presentano no- tevoli differenze a seconda della porzione della papilla su cui stanno; infatti sono rare al vertice, e vanno sempre più cre- scendo di numero quanto più discendiamo sulle superficie late- rali , tantoché nei fornici fra due papille vicine sono in alcune porzioni del colon così copiose che eguagliano o superano di nu- mero le cellule protoplasmatiche interposte (fìg. 15^). Kelativa- mente , le cellule caliciformi sono più scarse al principio del colon , che in quella porzione di questo che si continua col retto. Studiamo, ora, la struttura delle ghiandole (1). — A questo riguardo anzitutto è da notare , che essa varia alquanto ,* come vedremo, a seconda del punto del colon che prendiamo a con- siderare. Supponiamo, adunque, che l'esame sia fatto sulla mu- cosa presa nella prima porzione del colon, a circa 5 cm. dal cieco. Se una sezione verticale di questo tratto d'intestino indurito nell'alcool vien colorato con picrocarmino ed esaminato in gli- cerina, la struttura delle ghiandole sembra semplicissima. 11 tu- bulo ghiandolare nei suoi due terzi profondi pare tappezzato da uno strato dì cellule epiteliari pavimentose tutte eguali fra loro ; nel terzo superficiale invece a queste cellule si sostituiscono a poco a poco delle cellule cilindriche simili a quelle dell'epitelio di rivestimento, colle quali vanno a continuarsi in corrispondenza dallo sbocco ghiandolare. Se, invece, l'intestino indurito nell'al- cool, ovvero (e ciò è meglio) fissato prima nel liquido di Flem- ming, poi indurito nell'alcool, viene colorato coi soliti colori d'a- nilina, si mettono in evidenza parecchie particolarità degne di (1) Le ghiandole del colon del coniglio sono sede prediletla dei psoroa- permi che arrivano proprio fino al loro fondo. SULLE GHIANDOLE TUBULARI 77 nota. Per meglio precisare i fatti supporremo che l'indurimento sia stato ottenuto col liquido di Flemming. Innanzi tutto si accerta che nell'epitelio ghiandolare sono in complesso piuttosto numerose le mitosi (fig. 12^ e 13*). Sono relativamente scarse nel terzo medio della ghiandola, e nel terzo esterno (fondo cieco), relativamente abbondanti nel terzo interno (colletto ghiandolare) ; qui quasi ogni ghiandola ha una mitosi, e non rare sono quelle che ne contengono 2-3 fino 5. Il metodo col liquido di Ehrlich e l'acido cromico che ho altrove descritto (1) mette in chiaro assai bene queste differenze. — Anche qui, come altrove, i nuclei in cariocinesi stanno più verso il lume della ghian- dola che quelli in riposo. In secondo luogo è facile riconoscere, come le cellule ghian- dolari siano di due specie, alternate fra loro, come nelle ghian- dole rettali. Ciò si dimostra già coi preparati colorati colla ve- suvina e la safranina, perche l'una specie di cellule si colora con discreta intensità, l'altra rimane scolorata ; ma appare ancor meglio colorando le sezioni, che devono esser sottilissime, con una diluzione acquosa del liquido raccomandato da Ehrlich per la colorazione dei leucociti (2), poiché con questo trattamento tutto il corpo delle cellule cromatofile si colora intensamente in rosso violetto, e neir interno delle cellule chiare (rimaste anche qui incolore) spicca il nucleo, ch'è colorato in rosso aranciato al pari degli altri nuclei del preparato. Le cellule cromatofile sono grossi elementi, di figura irrego- larmente cilindrica o piramidale, e coll'asse più lungo disposto perpendicolarmente all'asse della ghiandola; hanno il loro corpo attraversato da un reticolo a maglie piccole, e a trabecole sot- tili, e posseggono un nucleo fortemente colorabile e schiacciato e spinto contro quell' estremo della cellula che s'impianta sulla membrana propria ghiandolare. (1) BizzozERO, Zeilschr. f. voiss. Mikroskojne, voi. Ili, 1886, p. 24. (2) Ecco la costituzione del liquido di Ehrlich (Gliarité-Annalea IX, 1884, p. 107): Si mescolano 126 Ce. di soluzione satura di Grange G. e di soluzione satura acquoso-alcoolica (20 % di alcool) di fucsina acida (Sàurefuchsin), si aggiungono 75 Ce. di alcool assoluto, e poi a poco a poco rimestando, 125 Ce, di una soluzione acquosa satura di verde di metile. — Io solevo mescolare 1 goccia di questo liquido a 20 goccie di acqua distillata; in questa miscela lasciavo le sezioni per 10-15 minuti, poi le lavavo per 1 minuto nell'alcool assoluto , le rischiaravo «oll'olio di garofano e le chiudevo in damar. 78 GIULIO BIZZOZERO Le cellule chiare, rinserrate, come sono, fra le cellule del- l'altra specie, sono relativamente sottili e lunghe ; non di rado, però, la loro estremità che guarda verso il lume è alquanto in- grossata a clava, sia perchè per avventura si trova fra due cellule cromatofile piramidali , sia perchè sporge alquanto , li- bera, nel lume. Il loro corpo è assai trasparente e non vi si scorge che qualche accenno di granuli e di fine trabecole ; il nucleo è assai allungato, ovale, quasi a bastoncino, e disposto coll'asse più lungo perpendicolarmente all' asse maggiore della ghiandola. È di aspetto vescicolare, a contorno netto e continuo. I reciproci rapporti fra le due specie cellulari si vedono assai bene esaminando queste sia di profilo (fig. 10'), che di fronte (fig. 11') e si conservano inalterati press' a poco nei due terzi profondi della ghiandola. Avvicinandosi al colletto , invece, mu- tano rapidamente (fig. 13"). Le cellule chiare si fanno assai nu- merose , sicché, mentre prima non solo per volume , ma anche per numero erano inferiori alle cromatofile, nel colletto le superano per numero, e vanno eguagliandole per diametro. Esse acquistano una regolare forma cilindrica, il protoplasma si fa granuloso, e presenta alquanto maggiore affinità per le sostanze coloranti, il nucleo s'accorcia e diventa semplicemente ovale. — Un certo mi- mero di esse si presenta in processo di cariocinesi. — A poca distanza dallo sbocco la loro estremità libera , che s'era fatta regolarmente tronca , si vede limitata , vista di profilo , da una linea che va ingrossando, e che alla fine acquista l'aspetto del- l'orlo striato dell'epitelio di rivestimento, dalle cui cellule, a questo punto , le cellule chiare più non si saprebbero distin- guere. Notevoli sono pure le modificazioni delle cellule cromatofile. Già nel terzo medio della ghiandola il loro nucleo si gonfia, diventa rotondeggiante, ed assume meglio l'aspetto vescicolare; è segnato, cioè, da una linea di contorno continua, spiccata e re- golare, e presenta un contenuto chiaro, in cui si notano due o tre nucleoli, e numerosi fini granuli. — Nel terzo superficiale le cellule, strette dalle cellule chiare moltiplicatesi, si assottigliano, dando cos'i la figura di un cilindro allungato. 11 loro nucleo, pur conservandosi nella estremità d'impianto, acquista una forma ovale, allungata nel senso stesso della cellula. Quanto al proto- plasma, troviamo qui la stessa modificazione che nel retto ; si divide in due porzioni : una porzione granulosa, che si colora in- SULLE GHIANDOLE TUBULARI 79 teiisamente e che circonda il nucleo e si avanza nel terzo medio della cellula; ed una porzione più omogenea, che si colora un po' meno (ma pur sempre intensamente) ed occupa il terzo su- perficiale della cellula , e fuoresce alquanto dalla sua estre- mità. Con altre parole, l'elemento ha acquistato l'aspetto di cellula caliciforme. — Un passo ancora , e la cellula diventa una cellula caliciforme dell'epitelio di rivestimento. Se, ora, paragoniamo le ghiandole del colon di coniglio testé descritte a quelle dal retto, troviamo delle differenze. Lasciando da parte le minori , noteremo le due seguenti : innanzi tutto le ghiandole coliche sono più lunghe ; e questa loro maggior lun- ghezza si riflette specialmente su quella parte cui abbiamo dato il nome di colletto. Infatti, mentre nel retto l'epitelio ghiando- lare si cambia rapidamente in quello di rivestimento, nelle co- liche il passaggio è più graduato, sicché abbiamo un discreto tratto della ghiandola tappezzato da cellule che per la forma, pel nucleo , e per essere infiltrate di leucociti ricordano assai quelle della superficie libera dell'intestino. Poi, quantunque an- che nelle ghiandole coliche vi siano due specie di elementi, le cellule chiare e le cromatofile, queste seconde non presentano le stesse reazioni che nelle ghiandole rettali. — Noi abbiamo, in- fatti, veduto che nei due terzi superficiali delle ghiandole rettali le cellule cromatofile contengono un blocco di sostanza d'appa- renza reticolata che é splendente nell'alcool, diventa ancora più splendente coll'acido acetico forte, e si colora intensamente col verde di metile, la vesuvina, la safranina, ecc. — Orbene, se noi facciamo una sezione di mucosa del colon indurita neìValcool (l'indurimento in altri liquidi altera la delicatezza delle reazioni), e la esaminiamo direttamente in questo liquido, vediamo che le cellule cromatofile hanno il loro corpo attraversato da un reti- colo, ma questo é a trabecole molto sottili, sicché relativamente copiosa è la sostanza omogenea disposta nelle sue maglie. E ben vero che coll'acqua distillata le cellule si gonfiano come le cel- lule mucipare rettali ; ma nelle coliche il rigonfiamento é minore, e, inoltre, aggiungendo acido acetico forte, il loro reticolo, an- ziché diventar più splendente, impallidisce fino a diventare ap- pena visibile coi migliori ingrandimenti. Per ultimo, esse sono insensibili al verde di metile ; giacché con questo reagente , anche prolungandone l'azione, si colorano leggermente soltanto quelle che sono vicine allo sbocco ghiandolare ; e del pari sono 80 GIULIO BIZZOZERO insensibili, o quasi ^ alla vesuvina, alla safranina , all'ematos- silina (1). Ad onta di queste differenze, io non dubito di ascrivere le cellule cromatofile delle ghiandole coliche alle mucipare. Il nome di muco comprende un complesso di sostanze la cui natura chi- mica non è ancora ben determinata, e di cui non sono fissati i ca- ratteri distintivi ; non credo ci sia nessuna reazione, neppure quella coll'acido acetico, che sia necessaria ed esclusiva delle sostanze mu- cose. Ora, il fatto che le cellule delle ghiandole coliche impal- lidiscono coir acido acetico non basta a farle dichiarare di na- tura non mucipara, perchè questa reazione manca in altre specie di muco (2). E, del pari, tanto questa reazione quanto l'affi- nità pei colori basici di anilina sono poco accentuati anche nelle cellule dei fondi ciechi delle ghiandole rettali, ad onta che tali cellule, mediante i loro passaggi graduati alle tipiche cellule mu- cose del terzo medio della ghiandola, dimostrino la loro natura prettamente mucipara. Si aggiunga, che le cellule delle ghiandole coliche, al pari delle vere cellule mucipare, offrono il nucleo schiacciato alla periferia, ed un reticolo che attraversa tutto il corpo cellulare ; si gonfiano nell'acqua; e, per ultimo, secernono una sostanza molto omogenea, che si gonfia pure nell'acqua e riempie il lume della ghiandola, a cominciare proprio dalla sua porzione che sta nel fondo cieco. Un'ulteriore conferma di ciò sta nel modo di comportarsi di questi elementi verso la safranina. Già Paneth (3) ha notato che questa sostanza impartisce al muco delle cellule mucipare del tritone , e talora anche del topo , un colore rosso-giallo. Io ho trovato accidentalmente questa reazione fin dal principio delle mie ricerche sulle ghiandole, ed ho studiato le condizioni più fa- vorevoli al suo manifestarsi. Ciò mi pareva importaiite, perchè la (1) La loro colorazione colla safranina e colla vesuvina, cui accennai più addietro, si ottiene nei pezzi induriti nel liquido di Flemming, ed è ben lontana dall'essere così intensa come quella delle ghiandole rettali. — Noto di passaggio che, trattando la mucosa colica, indurita nell'alcool, col liquido universale di Ehrlich, nelle cellule cromatofile, oltre al nucleo, si colora sol- tanto il loro sottile reticolo; la sostanza che sta nelle maglie di questo ri- mane scolorata. (2) Manca in quello dello stomaco (Heidenhain, Phys. der Absonderungs- vorgànge, p. 94. (3) Paneth, Arch. f. mikr. AnaL, voi. 31, fase. 2', p. 115. SULLE CHL-^NDOLE TUBULARI 81 reazione, quando riesce, è assai bella ed utile. Orbene, ho notato che la reazione in molte specie di cellule mucose non riesce, non già perchè manchi il coloramento giallo dato dalla safra- nina, ma perchè esso, pur essendosi prodotto, scompare per l'ul- teriore trattamento cui assoggettasi il preparato. Ciò succede, infatti, sia che aggiungasi glicerina per conserrare il preparato, oppure si tratti la sezione coll'alcool per disidratarla e conser- varla in damar. Con altre parole, la colorazione gialla prodotta dalla safranina , in alcune specie di cellule mucipare (come in quelle dello stomaco del cane) resiste alla successiva azione del- l'alcool, e rispettivamente della glicerina, in altre no (p. es. in quelle del crasso del cane). — Per ovviare a questo inconveniente ho trovato necessario di esaminare i preparati mentre si trovano nella safranina, anzi di tener dietro direttamente coli' occhio al microscopio all'azione di questa sostanza: le sezioni vengono de- poste sul portoggetti in una goccia d'alcool (giacché coll'alcool anche le sezioni più sottili stanno più facilmente distese, e il loro muco non è appiccaticcio), e coperte con un coproggetti che deve esser assai sottile, affinchè possa venir sollevato facilmente dai liquidi che devono bagnare il preparato; poi all'alcool si sosti- tuisce dell'acqua distillata che fa gonfiare gli elementi mucipari, ed all'acqua, infine, si sostituisce la soluzione di safranina (1). Per l'azione di questa i nuclei tutti del preparato acquistano un colore rosso tirante al giallo, e il protoplasma delle cellule epiteliche e il corpo delle fibro- cellule muscolari liscie diventa di colore rosso -fucsina; mentre le cellule mucose presentano il loro muco colorato in giallo. - 1 preparati, quindi, sono ele- gantissimi. Sfortunatamente, come dissi, la glicerina non li con- serva. Meglio di essa riesce una soluzione di acetato di potassa ; la quale mantiene bene il color giallo del muco, ma danneggia il preparato in questo senso, che il color rosso-fucsina dell'epi- telio, dei muscoli, ecc. diventa rosso-sporco sbiadito; e quindi diminuisce la vivacità del contrasto di colori. Se, ora, trattiamo colla safranina nel modo teste descritto una sezione di mucosa rettale, vediamo che tutte le cellule mu- cipare, fin quelle dei fondi ciechi, diventano gialle. — Se, in- vece, trattiamo allo stesso modo la mucosa colica, vediamo in- (1) Per questa non è necessaria una determinata concentrazione. Io usavo mescolare 3 goccie di una soluzione 0,5 "/o ^^ safranina con 0,5 Ce. d'acqua. 82 GIULIO BIZZOZERO giallire soltanto le cellule caliciformi cleirepitelio di rivestimento e quelle del colletto ghiandolare; mentre le cellule cromatofile delle ghiandole rimangono rosse. A prima giunta, adunque, par- rebbe che queste ultime dovessero essere di natura tutt' altro che mucosa. — Se, però, noi, mettendo il preparato in una ca- mera umida, lasciamo agire più a lungo la safranina, troviamo che dopo alcune ore la reazione si è prodotta anche in tutte le cellule cromatofile, con questa sola differenza che il loro giallo è un po' più pallido di quello delle cellule caliciformi del col- letto ghiandolare. È superfluo aggiungere che, anche dopo questo tempo, le cellule cilindriche e i muscoli conservano immutato il loro colore rosso -fucsina. L'ingiallire delle cellule cromatofile, poi, succede gradatamente ; dapprima ha luogo in quelle che stanno più vicine e più somigliano alle cellule mucipare del colletto; poi si estende man mano fino a quelle dei fondi ciechi. Io non ho alcun dato per poter spiegare questa interessante reazione; ma ne ho parlato un po' estesamente, perchè mi pare confermi la natura mucipara delle cellule in questione, e dimostri come esse pure, andando dal fondo cieco verso lo sbocco della ghiandola, oltre al modificarsi anatomicamente, si modificano e, per così dire, si maturano chimicamente. Del resto, che questa doppia modificazione veramente si ef- fettui è dimostrato ancor meglio dall'esame della mucosa colica presa in punti più vicini al retto, p. es. a 20 cm. dal cieco. Se pa- ragoniamo delle sezioni di questa a sezioni prese a 5 cm. dal cieco (quali erano quelle descritte finora), troviamo che nelle prime la mucosa è più sottile (ed ha quindi ghiandole più corte) e le sue sporgenze papillari sono più basse e non hanno forma conica, ma piuttosto rotondeggiante. Quanto alla costituzione delle ghian- dole, noi troviamo che le cellule cromatofile sono press'a poco eguali nelle due mucose quando si esaminino nella metà pro- fonda delle ghiandole. Se, invece, le esaminiamo nella metà su- perficiale, troviamo delle differenze degne di nota: mentre nella mucosa del principio del colon le cellule cromatofile andando nel colletto ghiandolare si allungano e diventano cilindriche, nella mucosa a 20 cm. del cieco esse, andando verso il colletto, di- ventano gradatamente sferiche (fig. 14^), e il loro nucleo viene schiacciato più fortemente alla periferia, si colora intensamente e perde l'aspetto vescicolare che aveva nei due terzi profondi della ghiandola; il contenuto delle cellule si rigonfia più fortemente SULLE GHIANDOLE TUBULARI 83 coir acqua, si colora intensamente colla vesuvina, ingiallisce rapi- damente colla soluzione di safranina, e si raggrinza e diventa più splendente coll'acido acetico forte; in breve, le cellule acquistano i caratteri delle cellule mucipare che nelle ghiandole rettali si trovano a poca distanza dallo sbocco. Come in queste, poi, in cor- rispondenza dello sbocco ghiandolare le cellule si allungano, si assottigliano e si trasformano nelle cellule caliciformi deirepitelio di rivestimento ; e, come in esse, il lume del colletto è occupato da una notevole quantità di muco identico per le reazioni a quello che è contenuto nelle cellule, col quale, per mezzo di pro- lungamenti laterali, si vede direttamente continuarsi. Come appare dal fin qui detto, le ghiandole coliche prese a 20 cm. dal cieco rappresentano come uno stadio di passaggio dalle ghiandole del principio del colon a quelle del retto; la loro metà profonda assomiglia di più a quella delle prime, la su- perficiale alla corrispondente delle seconde; e, andando dal retto verso l'intestino tenue , il muco secreto cambia gradata- mente di costituzione chimica. Kiassumendo gli studi fatti sulle ghiandole coliche e richia- mando i molti punti di somiglianza che hanno colle ghiandole rettali, dobbiamo anche per esse conchiudere, che non si possono spiegare le modificazioni graduate di forma e di costituzione chi- mica che si osservano nelle loro cellule mucipare andando dal fondo cieco ghiandolare fino all'epitelio dì rivestimento, se non ammettendo un'evoluzione ed uno spostamento delle cellule stesse dal fondo cieco fino alla superficie libera della mucosa. Nel fondo cieco specialmente ha luogo la loro moltiplicazione per mitosi (fig. 12'). — Nel colletto e nell'epitelio di rivestimento il rap- porto numerico fra cellule chiare e cellule mucipare è assai di- verso da quello che era nei due terzi profondi della ghiandola, giacche colà le cellule chiare sono assai più numerose dell'altre; ma ciò trova, come nel retto, la sua spiegazione nelle numerose mitosi che si osservano nelle cellule epiteliche chiare tappezzanti il colletto ghiandolare. 84 GIULIO BIZZOZERO SPIEGAZIONE DELLE FIGURE (I disegni vennero fatti con un microscopio di Zeiss) FiG. 1* Ghiandola del retto di coniglio adulto. Mucosa indurita coll'alcool, sezionata in paraffina. La sezione venne colorata in vesuvina e conservata in damar. Vi si vedono le cellule mucipare fortemente colorate ; la colorazione va gradatamente diminuendo in quelle del fondo cieco. Nel colletto ghiandolare le cellule mu- cipare si trasformano in cellule caliciformi. — 270 d. (Obb. D, oc. comp. 4). » 2* Da ghiandola del retto di coniglio, a poca distanza dal fondo cieco. Si vedono tre cellule mucipare ; una di esse in mitosi. In tutte ò visibile il reticolo del pro- toplasma. = Alcool, paraffina, ematossilina. — Obb. 1/15 imm. omog. di Keichert, Oc. comp. 4. » 3* Da ghiandola del retto di coniglio, verso la sua metà. La sezione, presa da pezzo indurito nell'alcool, venne colorata col verde metilico, e conservata in glicerina. Vedonsi quattro cellule mucipare con interposte delle cellule chiare. Il corpo delle prime è costituito da vacuoli chiari immersi in una sostanza che si colora fortemente in verde ; l'intensità di colorazione aumenta progressivamente dalle cellule che stanno più in basso a quelle più in alto (verso lo sbocco ghiandolare). = Apocr. 2 mm. N. A. 1,30, Oc. comp. 4 di Zeiss. » 4' Sbocco di una ghiandola del retto di coniglio. — Alcool, paraffina, verde metilico ; conservazione in glicerina. Vedesi come nel colletto ghiandolare le cellule chiare si facciano più numerose, e si trasformino nelle cel- lule dell'epitelio di rivestimento , e come le cellule mucipare, col loro muco fortemente colorato in verde, si trasformino in cellule caliciformi. — Apocr. 2 mm., Oc. comp. 4. Tav. Ili Firf. / //y 2. Fi = 2)J = (/", Jc).-, = {ak^faJ kj. Ci serviranno anche le note identità : (a by a^ b^. a^ by= kj /r/ --r^ {xyf, (« bf a,- b,~ = k/ kf + -^A {xyf ; {ab)WbJayb^=H.'H;- ^ k {xyf , {abfaJa;bJ=H,'H;+ -?- k {xyf ; {kk'fk,'k;^'=^^^^y' + \B{xyf, {k, à).^={k^fk/à/ = ^Bk, ikk!'f{l^k!Jk^k;^=\Bk:, f.k)^ = {akfa/k^ = 0 , {akfajk,= h{xy) , {akfaja^k^. = -h{xy}; {fJ).^ = {alfaJ=2A-\-^Ak, {akf{aìfa/kJ=l;{AA+Bk) ; {E, k).^ = {Hkf F/' /.-/= ^-fl-l^k^- {f,à).^={aàfajA/=hj-^Bf', (*) Clebscu, Theorie der bindren algebraischen Formen. Uordan-Kerschensteiner, Yorlesungen iiber Invarìantentheorie. 102 E. D'OVIDIO {H, ^),=:{HAfH/Aj=^AJ^-^-^^kA-lpl {*) CE = 2A- + lAk^ -h^kf- - fn ; 2 4 o o A queste aggiungiamo le seguenti, facili a trovare : p^%'Malfa,%'-\l{xy)\ pjp,'={akraja,'hj-^ l{xyf 3 (*) Questa sizigie e le due seguenti furono date dal sig. Stephanos nella Nota : Sur les relations qui existent entre les covariants et les invariants de la forme binaire du sixième ordre {Compt.es rendus, t. XC VI , p. 1564). Alla 3* noi eravamo giunti prima di aver sott'occhio quella Nota, col procedimento seguente : Si ha mp — [klf kj- {ah'f a^^h'^ — | j(^AO' {alf + 2 {ah) {ak') {kl) {h'I) j a^'k J k'/ = l^if,l)^ + (ah) {ah') {hi) {h'D a^' h^^ h\^ , {ah) {ah') {hi) {h'I) aj A^' h'/ — ^ j {ah)^ AV + {ah7 A/ - {khj a^^ { | {hi)' h\'+ {h'If h/-{h h'f l^ j a^* == 2 A {a h'f {h'I f aj + 1 {ah)^ aj hj. {k'if h\^ - 1 r{hlf {hh'f h\^ ~-\l{a hf {h hy a/ h\* + ^ {hhy fi ~lh{f,m), + lmp~-^^fn-'^^l\{f,^),^^^Bf\-^]^Bfl , IL COT AHI ANTE STE INERÌ ANO lOS 2» polare di f= Ij T/- - A,i{xy)' ; {akfaja^ ^'"=1^' W + 2 ^" '^^^^^ ' ed anche queste altre (sebbene non ci occorra adoperarle pel calcolo di S) : {E, H), = {HH'f HJH\' = ~g Af " ^ ^^^ " ^ ^^ ' II. Data una forma binaria di 5° ordine -F(^), e posto il discriminante di 2^ è -(«, «•)2-16(^•, t)2 . onde mp = ^ (/; l\+ k (/; m\-fn-l (/; a)2+ ^ 5/^ =r 2 4» + 1 a ^ a + ^ ^C/-^ + A^) _ fn (*) Di queste relazioni la 1* è del Clebsch. La 2' si può dedurre da quella dianzi riportata CE-=i . . . dello Stephanos e dalla seguente, dovuta allo stesso (e che del resto si trova senza difficoltà) : BH=k^ + ^Ak^ — fm-]-2lp. Ma la via più diretta per trovarla è quella che passiamo ad accennare: Si ha A,in= {IV f {abf a/ 6/ =: i (aZ) (bV) - [aV) (bl) {' aj 6/ =WJJ^'-2{al) {aV}ibl){bnaJbJ , ial){aV)ibl){bV)a/bJ - \ j i^^f K^+ iblf a^« - {a by IJ j I (aVr bj + [bVf a^* - [abf VJ j a^\bj . = ^r {alf {a Vf aj + | ^ /« + 1 (aZ)« (&//)' aj bj - l {alf {abf aj bj , 104 E. P'OVIDIO Nel caso attuale si ba i — [ahy a, &2 a^ 6 ^ = li^ kj — -- A {x zf , 2 7. 2 1 J (^„\2\ , ) 1 AI^At ^ A /^.\2( {i,i)^={h.^K\ Z,U-/),~2 jA:/ A/, -^(^^)2| + j -4M^ - A{xz) e però potremo già scrivere ^=i(^;- 16 (/, r). = Ì(A- i^A-^ - 16 (.•, r), . Si ha inoltre 1 3 '2 ^ = UrJn', JzJu')2 = {Px^PzPu^^ P^PzPu%+ -^A{ap)WPx^<^zPz+-^ = {Pp'ìWp'x^PzPz - o ^{('P)WPx^(^zPz+ w;:^' {ab)' ajbja.b. (alfialj a/ = 2i\l\-^t^A{k, I), = 2n-^Bl+^Am j poiché (a, i).^ = u — ^Bll {al}' {abf aj bj - 2 {f, a), + | A (/; k\ = AZ - .^ £/■+ 1 A^ ; onde 1 -2 . 1 Ali S= if, ^), + 3 Afin + ^Alp-2rn-^^kP . IL COVARIANTE STEINERIANO 105 11 2 la quale ultima, mediante le {PP')~Px¥x^PzP'z = {PP'fpJp'Jp'z^ - 2 (P^ P)i (^ ^)' ' (ai? )- ajpj a, p, = - {apYa/pJa,^+ ^ {^pfaJPxW- ^ (M^i^^)^ M ^xPx hP. = ^Px^P.^ - hPx^ hP. > a/ 7^ «j, /. = aj* l^aJ. — l. aj" a^ , LPx' l-Ah = \ IPx'P-^ +\pl?-\{h P\ ixzf , \l(»'x'a:^-\fV-\ 2 X 3 ' 2 - 2 diviene (ix Ix ^zP = o ^ «r* a/ + o /" ^'z — ò (/"' ^)2 i'^^f ' T = {pp'fp^^P:c^p? - - (p, p)^ {x2)~ --A [apf a.c^pj' a/ '"■"■" -\A(f,p),(..f+l-^ --^A(apfajp/p.^+ -,A(f,p\ {xzf +— A^H^'Il^ Quindi risulta {i, X\ = kj li.~ — jT ^ (^ ^?.\{V P'fPx^P'x^P'^} 1 + ^ k^- L- — -^ A {X2)-, - - {p, p)^ {xzf + 106 E. d'ovidio = ( Ap')^ {ppf Jcjpjp'..^- -A(j>,p)^--k(p, p)^ -^A {ahf {apf ajl-jp,' +^A' {f, p), -^A {apf{-kpfaj K'p.'+\AHf,p\ + ~ A^H, h\ Qui, oltre le {f, 1)^ , (/, 2^)2 > (H, ^Og che già conosciamo, si presentano le (/v,i9),, {f,p)^, {f^p)^^ {P, P)^. {P,P)2^ (f*''^)^ {apfajhjpj, {apT-aJk/pJ, {Jcp'fipp'rkr'p.'p'j, che ora ci procureremo {*). III. Si ha, sempre con l'aiuto delle identità notate al § I : {Jc,p),= {JcpnjpJ = (aAf {kJcfaJJ^J- ì U = - ^Jd-]-^^Bf . r {ahY{a^HJ^K^=^+^~Ak, if,p),= {ap)WPr'={ahY (amjJcJ- ^ {f, /),= _ 1 A + A Ak (") Veramente le espressioni di ìA;, p\ , (/^p\ e {Pi'p\ si trovano fra le molte date dallo Stephanos , cosicché, se avessimo potuto aver sott'occhio la sua Nota prima di fare i calcoli e di redigere il presente scritto , avremmo senza dubbio conseguito una ben maggiore brevità e nel lavoro e nella espo- sizione. Tuttavia non vi è danno a lasciar le cose come sono. IL COVARIANTE STEINERIANO 107 3" {ahf {ahf a^nj' kj = {H, k), + ^k'=~ (fi + k') , 10 15 0 5° {aby {akf {bkykJk•J={kkykJk:J+lA^=lBk + lA^ , ó ^ ó {a kf {apf kjpj = {a b)' {a kf {b k'f kj k'J - ^ (a kf- {a If aj kj o iP.P), = iPp'ìWp.' = {akf (apy k^'pj - ^ ihp), (A ^)^ = {a^Ya^HJ^ A,/= \ {abYialfbJ - \aI =-m . T {ah)^aAfaJbjAj={H,A)^ + hA = lkA-^-^Ak'-ljp, t di lo o " = /-(A A)^ + ^ ^ A _ 2 (a bf (aA)2 a/ b^' Aj ' =ÌA»-j^M-2(if,A).3 = ^fm-^kA-^AJ^-^Ìlp, 108 E. D'OVIDIO {ahf {hlcf {kk'f a,' bj = {aAf {b^faj hj '2' 2 9 3 + ~,BH 2- 9-'+3'^ + 3^^' ^U.-|.A-1^.^--Ì 15^^+3^^' {P,l>)2={c^k? {Wcijp.'- \ Ip = (aAf (&A)^a..^ b/- pp + l lp + -BH = \fn-\l^-\Ak^-lll, + \BH . 3 3 2 8° {h,p)^ = {alif {aJc'f k'J - ^ {Jc, l), = m - ^ m = -m . 9° (aìcf {bkf [b h'f a,' b/ JcJ = {p, p), + ^ Ip =.{aAf{hAfa,H.,'-\lp + \BH ^lf,,,^l,^,\An^^\lp + \BH, 3 {a7c)~ (ap)^ ttjc' JcJ pj^ = (ak)' {a]c')~ {bk')'^ a J b^^ hj — z^P = iaAr'{bAy'aJbJ-^^^ip + lBH = lOn-lkA-lAJ^^^lp-^lBH. 10" {apnkp)WkJ'pJ=\ \{apfkj + {kpfaj-{akfp/ \XW IL COYAKIANTE STEINERIANO 109 o o 4 9 13 2S '^ = -^ ^ (« A)' (ÌA) VJ/+ i i? ( 2 // + 1 i-') + ^ (T^L 1 .l,, H («c)'(i (ci)*»,'. (J/)' b,*+ {ocr (bcficW iWaJ bj+ 2 {ac}' (be) (bl) {chf (hi) aj bj i4«t i2. Accarf. - Parte Fisica — Voi. XXIV. Q no E. d'OY]D]0 = l («f )' iW {cW W «.' ^x'- \ A {(^W i^^T i^^y «x' &x^ {a^Y i^p)' a^'pj = {aAY {hhf [MY a./ b,' - | ? (A A), {ahy [kh'Y {Jc'pY ajpj = {aAY {àpY<^.'P.' + \^ (f^ P), M5^^+^^)+i^^-ro^^'' iW ih^'Y'PJp'J = («Af {JcJcY {k'pY ci.r'p.'- \ i ih Pio {¥r{pp')Wp'JV=l likpTpJ + ìppYK'- ìWp'.' \'p.rV 4 1, , > 1 , - 1 2 7k{P^P)4+^P{k,P)-7i {Wih^JPx^Pr^ Tenendo conto delle ora trovate espressioni di {k^p)^, {fiPÌ^i 6cc., la precedente espressione di (/, t),^ si trasforma senza difficoltà in 2 ^ 12 216 IL COVARIANTE STEINERIANO 111 IV. Sostituendo a (/, r)^ Tespressione ora ottenuta, la precedente espressione di S prende la forma + - Afm + (~A' + ^c\h- 2kP - 8mp . Possiamo diminuire il numero dei termini di questa formola ed eliminarne C e p , con l'aiuto delle espressioni di CH e mp date nel § I. Avremo così l'espressione desiderata dello Steineriano: 33^=- 3^53A^- 2.3\b^AhA - 3^5^'A;' -(2^3^^+ 2\3'B)fl+2'A^H+ 2\3'Afm + 2'\3' fn . E noto che l'annullarsi identicamente dello Steineriano co- stituisce il complesso delle condizioni necessarie e sufficienti perchè la forma proposta ammetta una radice tripla. Il Prof. Maisano ha mostrato che lo stesso ufficio compete all'annullarsi identi- camente del covariante 15;)^- 4^/, che è soltanto di 5" grado e di 2° ordine. Poiché l'occasione se ne presenta , diamo le espressioni dei discriminanti delle forme seconda, terza e quarta polare di una forma del 6° ordine f=aj^. V 11 discriminante della seconda polare a^'^a,', forma di 4' ordine in ^ , si esprime mediante il suo invariante qua- dratico {abYaJbJ = Jc e mediante il suo invariante cubico (a&f (ac)'(6c)'a,.'6^2^' 2, che equivale (come è noto) a -Af-p. 112 E. I) 'OVIDIO Esso è dunque (l^f-^J->- Il suo annullarsi identicamente porge le condizioni perchè la f abbia una radice quadrupla. Lo stesso esprime A = 0 . 2° Il discriminante della terza polare a^'a^ , forma di 3° ordine in ^ , è {ahncdf{ac){hd)aJh,h,H,^=yHc){Hd)E,'- ^ kc^.dj^{cdyc,^dj^ e sostituendo a {H, H)^ la espressione datane al § I , diviene Il suo annullarsi identicamente porge le condizioni per l'esi- stenza di una radice quintupla in /'. Lo stesso esprime {h = Q, A=0). 3" 11 discriminante della quarta polare a^a^^ forma di 2" ordine in ^, è 11 suo annullarsi identicamente porge le condizioni perchè la f sia una sesta potenza esatta. Viareggio, Luglio 1888. 113 Sulla misura diretta ed indiretta dei lati di una })oligonale topografica del Prof. N. Japanza Ci proponiamo in questa nota 1" di esaminare se sia più esatto nei rilievi topografici catastali misurare una distanza che non superi 200 metri colle canne o pure colla stadia. 2° di far vedere come si debbano nella pratica calcolare e compensare le poligonali che servono di base ai rilievi del dettaglio. Siccome i cultori della Geometria Pratica non sono tutti d'accordo spe- cialmente in ciò che riguarda la prima delle quistioni ora ac- cennate, così le nostre conclusioni le abbiamo volute dedurre dalla esperienza che è la sola guida sicura nelle scienze di os- servazione. I. Gli strumenti adoperati sono le canne della lunghezza di tre metri, un Tacheometro inglese di Simms ed un Cleps di V grandezza di Salmoiraghi. Le misure lineari sono state fatte in terreno perfettamente piano ed in terreno montuoso. Nel primo caso abbiamo misu- rato delle distanze di metri 75; 100; 150 ed ogni misura è stata ripetuta 10 volte tanto colle canne quanto col Cleps e col Tacheometro. 114 N. JADANZA Ecco i risultamenti ottenuti cogli errori medi rispettivi. Distanza approssimata = 75'". VALORI OTTENUTI col Cleps col Tacheometro colle Canne 74™8942 75^1000 75"'090 74. 9135 75 0054 060 75. 0644 74. 9022 085 74. 9121 75. 0758 080 74. 9671 74. 9746 068 75. 0101 75. 1144 075 74. 9546 75. 0520 067 74. 9816 75. 1000 070 75. 0259 75. 0550 065 75. 0270 75.0227 060 Jlfj=74. 9750 M,= lh. 0402 ilf3=:75. 072 Indicando con p,j , p.^ , [i^ gli errori medi di una misura fatta col Cleps, col Tacheometro e colle canne si ottiene: /jij=0,057, /7.2 = 0,066 , //3=:0,01 . Distanza approssimata =100"". VALORI OTTENUTI col Cleps col Tacheometro colle Canne 100"^3831 100'"5830 100"'690 4893 5485 610 4967 2744 625 4567 4530 605 4243 4061 660 4243 2778 580 1 4784 3798 780 3205 6763 570 2174 4548 700 5324 4081 600 Jfj = 100. 4223 ilf^rrr 100. 4462 71/3=100 642 lJ.^ — 0. 094 |y.2 = 0. 128 ,y.3 = 0. 065 MISURA DlliETTA ED INDIRETTA DI UNA POLIGONALE 11 Distanza approssimata =151' VALORI OTTENUTI col Cleps col Tacheometro colle Canne 151'"3414 15n826 151"'795 4312 5410 750 4060 4356 735 4435 4805 710 3846 4504 740 4115 5770 740 4345 5185 735 5130 1475 755 4756 3273 752 5861 4323 740 -¥■^ = 151. 4427 ^2=151. 4093 ilf3=:151. 7452 p.^ = 0. 069 IJ., = 0. 146 p.3 = 0.021 I risultamenti precedenti ci autorizzano a fare le seguenti riflessioni. Le misure di lunghezza fatte colle canne sono pochissimo discordanti tra loro , quindi anche l'error medio corrispondente è piccolo; però la differenza tra la media ottenuta colle canne e quella ottenuta colla stadia cresce col crescere la distanza. I due strumenti a cannocchiale diastimometrico, Cleps e Ta- cheometro sono d'accordo tra loro. L'error medio del Cleps è in- feriore a quello del Tacheometro, ciò che era da prevedersi in considerazione delle maggiori dimensioni del cannocchiale. Col cannocchiale del Cleps alla distanza di 150 metri la immagine del centimetro si vede sufficientemente grande da poterne stimare il decimo, mentre col Tacheometro ciò non è possibile. Nò vale adoperare oculari di maggiore ingrandimento, poiché verranno ad ingrandirsi proporzionalmente anche i fili del reticolo. Ben altrimenti succede in collina, ed in generale in terreno dove si trovano ostacoli. In un terreno coltivato a vigne la cui 116 N. JADANZA inclinazione media è del 34 per cento abbiamo ottenuto i se- guenti risultamenti : Distanza approssimata = 50"'. VALORI OTTENUTI col Cleps col Tacheometro colle Canne 49"'9266 49."'9579 50™670 9765 9456 960 9800 9164 465 9138 8916 670 9100 9937 520 9679 8896 595 9800 9102 530 9805 9920 600 9144 9348 587 8484 9611 599 Jfi = 49. 9398 ilf2=49. 9393 1/3 = 50. 6196 iy.^ = 0. 044 p.^=0. 038 ^.3=. 0.135 1 quali mostrano ad evidenza la convenienza di non usare le canne; giacche la differenza tra il risultamento ottenuto con esse e quello ottenuto coi due strumenti Cleps e Tacheometro è troppo grande perchè si possa indifferentemente accettare l'uno o l'altro dei due risultati. Anche l'error medio di una misura fatta colle canne cresce al crescere della distanza. Così p. e. in un terreno leggermente ondulato e della inclinazione media del 10 per cento si è ot- tenuto quanto segue. MISURA DIRETTA ED INDIRETTA DI UNA POLIGONALE 117 Misure fatte colle canne. ISG™. 800 690 580 820 480 815 315 500 805 415 M=15Q. 622 p.= 0. 188 Le misure precedenti non sono in numero tale da poter de- durne leggi sicure circa l'error medio di una misura in funzione della distanza ; però esse sono sufficienti a poter concludere : 1° 7w terreni piani, le distanze che non superano 150 metri possono essere misurate indifferentemente colle canne o colla stadia. 2° In terreni montuosi è più esatto adoperare la stadia anziché le canne. Lo stesso per terreni dove trovansi ostacoli. 3° Dei due strumenti che più sono in uso in Italia per la misura delle distanze , il Tacheometro ed il Cleps, qtiesto ìiltimo dà certamente risultamenti migliori ; amendue però possono essere adoperati egualmente a misurare distanze che non superano i 200 metri [*). (*) Qui noi intendiamo parlare del Cleps di 1* grandezza e del Tacheo- metro come quello di Simma avente l'obbiettivo del diametro di 45 milli- metri o poco meno. 118 N. JADANZA II. Del poligono di sei lati qui annesso A, A^ A.^ A^ A^ A^ abbiamo misurato gli angoli con tre istrumenti diversi : un Teodolite Breithaupt a microscopi a stima sul cui circolo orizzontale si leggono direttamente 12 secondi; un Cleps di V grandezza di Salmoiraghi con microscopi a stima avente cinque fili fissi e r approssimazione di un primo centesimale ad ogni filo; un Tacheometro di Simms a vernieri avente anche l'approssima- zione di un primo centesimale. Ciascun angolo è stato misurato 8 volte (quattro collo stru- mento nella posizione destra e quattro nella posizione sinistra) tanto col teodolite quanto col Tacheometro. Col Cleps invece si sono fatte soltanto quattro letture (due col cannocchiale a destra e due col cannocchiale a sinistra) ; ciascuna volta però si sono letti i cinque fili del reticolo. I lati del poligono sono stati misurati direttamente colle canne, ciascuno cinque volte, ed indirettamente colla stadia adoperando il Cleps ed il Tacheometro, ciascuno due volte [*). Ogni misura (*) Il terreno racchiuso nel poligono è alquanto ondulato ; la massima inclinazione appartiene al lato l^ , il lato ij è quasi in piano. MISURA DIRETTA ED INDIRETTA DI UNA POLIGONALE 1 1 9 col Cleps consisteva nel leggere le quattro coppie di fili corri- spondenti al rapporto diastimometrico 100 e le due coppie di fili corrispondenti al rapporto 5 0 ; ogni misura col Tacheometro consisteva nel leggere i quattro fili del reticolo, e quindi si ave- vano due coppie una corrispondente al rapporto 50 , l'altra al rapporto 100. Indicando con ?j , /,, /g, l^, /. , Zg , i lati e con A^ , A^, vl.^, -4^, -4^, Aq, gli angoli, ecco i risultamenti ottenuti. Misura diretta dei lati fatta colie canne. /j = 20"'565 /.,= 83'"000 Z.,= 51"^220 570 82". 880 310 570 910 225 575 880 275 -580 990 230 3fi=20.'"572 Jf2=82;"'932 iir3=51"'252 /4=52'"590 536 /- = 49"'870 715 Zg=45"'585 720 560 820 760 575 935 740. 570 785 630 i»f^ = 52:"56G2 Jf.=r49"'825 Jfg = 45.'"687 Indicando con p.^ , [;..,,... (j.^. gli errori medi di ciascun lato si ottiene 1^.1 = 0.0057, 1^.2 = 0.058, jy.3 = 0.039, p.^=: 0.020, p., = 0.083, p.,^= 0.0755, e quindi loga,^=log- = 5. 50515- 10 , ih loga/= log -=7.54033- 10 ; loga,3 = logi =7.18526-10 120 N. JADAN2A log/JL/=log- = 6.60423 -10 ; logp./— log- :r=7. 84273-10 ; log|ag' = log i = 7.75740 - 10 . Misura dei lati col Tacheometro. ?j = 20."^64855 62500 /2r=82"'5498 7182 Z3 = 50:"8854 5l'. 1827 ^^^=20"- 6368 Jf-82"'6340 M3=51"'0340 Z^=52'" 6240 4480 lf^=52"' 5360 L — 49'"4127 4882 iltf.= 49'"4504 Gli errori medi rispettivi sono : /g = 45:"3446 ' 6367 M.= 45"'4906 /;.j=0. 0168 ; p.2 = 0. 119; /y.g^O. 210; /^.^=0. 124; p.,=:0. 024 ; p.^ = 0. 206 ; e quindi log/7.;-=:log- = 6.44479 -10 ; Ioga/ =:log-=8. 15165 -10 ; Pi P-2 log p..3'=log- = 8.64507- 10 ; loga/=log- = 8. 18977 -10 ; log|y..-r=logÌ = 6. 76386-10 ; log /;./ = log- = 8.62974- 10 . P() Misura dei lati col Cleps. ?j = 20"' 550 575 72t=82;"4939 ' 5695 Z3=51'"0244 1425 3r=20"'5625 4 ilf2=82:"5317 3f3=5r."0834 MISURA DIRETTA ED INDIRETTA DI UNA POLIGONALE 121 Z^=52'"3783 4980 jr=52"M381 4 ^ = 49;"6585 6346 Jf.=r49"'6475 Z^,= 45.'" 176 434 ilf.= 45"' 307 0.^ = 0.0177; /a2r=0. 0534 ; /uig^O. 0834 ; ^.^=0.0844 jtji. = 0. 0537 ; [J.Q = 0. 185 ; Ioga ' = logÌ = 6. 49485-10 ; log a,'=log-=7. 45600-10; log a * = logÌ- = 7.84273 -10 ; log/;./=logÌ = 7.85321-10 ; log |y..- = log -=7.45939-10; Pi -^5 log a,- = log- = 8.53555 -10 Angoli misurati. Col Teodolite Col Cleps Col Tacheometro Angolo A 90° 36' 09. "00 1006'-6515 100f^6537 » A 144 16 31. 50 160. 3130 160. 3075 » A 123 30 25. 90 137. 2247 137. 2175 * A 54 06 44. 25 60. 1125 60. 1217 > A. 192 29 11. 25 213. 8667 213. 8769 » ^6 115 03 21. 00 127. 8560 127. 8470 Somma 720° 02' 22. "90 80 OS' 0244 800^'"0243 122 N. JADANZA Formole adoperate per la compensazione. Indicando con a^ , a, . . . . a„ i supplementi degli angoli A^ , ^, , . . . A„ di un poligono chiuso di n lati /j , /g • • • hi il metodo adoperato per la compensazione è quello che consiste nel compensare separatamente gli angoli ed i lati. Questo metodo già noto fu elegantemente esposto dal Prof. Slacci negli Atti della K. Accademia di Torino, voi. XXIII. Ponendo A« = 360° - («j + «2 + . ■ . + «„) la correzione da fare agli « misurati per avere i corretti è data da ««=^. . ...(1) n Se (pj è l'angolo che il lato /^ fa coli 'asse delle x, gli an- goli a^ , «Pg • • • fn che i lati l^ , ^3 • • • h fanno col medesimo asse sono nelle quali gli angoli e/, sono già corretti. Le equazioni di condizione da verificarsi sono le seguenti. (/j + a/j) cos (j>^ + (l, + aU cos '£, + ...+ (/„ + òì„) cos (p„ = 0 (?j + di;) sen (pj + (/g + àlj sen 5?., + . . . -|- (/„ + èl„) sen op„ = 0 insieme alla equazione del minimo Pi ^h^ +-^2 ^^'>~ + • • • ~^P-t ^h^ = minimum. Ponendo per brevità ri 1 IJ^ COS (u^ = Ax I ...(3) 1 1^ sen r^^—^y\ MISURA DIRETTA ED INDIRETTA DI UNA POLIGONALE 123 le equazioni correlate saranno : ^/j = — - (/cos (p^ + I/sen ip J Pi àl.^ = (7 cos ®„ + II sen a?.-,) Po ^ } ...(4) ^ln = (-f cos QP„ + II sen f„) Pn e le equazioni normali Pk Lj Pk 1 1 « n V-isengp,cos(p,^ ^ V^ sen- y, ^^ ^ ^ Lj Pk Z-i Pk (5) Le formole precedenti sono state adoperate per la compen- sazione delle tre poligonali, e per facilità abbiamo preso il lato /j come asse delle x ed il vertice A^ come origine delle coor- dinate. Angoli misurati col teodolite^ lati misurati colle canne. a corretti «1= 89''23' 51/00 «1= 89°24'14."82 «2= 35 43 28. 50 a,= 35 43 52. 32 «3= 56 29 34. 10 «3= 56 29 57. 92 a^= 125 53 15. 75 «4= 125 53 39.57 «. = -12 29 11. 25 «.=:-12 28 47. 44 ag= 64 56 39. 00 al= 64 57 02. 81 359° 57' 47."10 360° 00' 00. "00 Aa=142. "90 a« = ^^=23. 6 "817 124 N. JADANZA Essendo Tasse delle x coincidente col lato l^ sarà 9^ = 0, quindi ©2= 35° 43' 52". 32 0:3= 92 13 50 . 24 9^ = 218 07 29 . 81 ^.==205 38 42 . 37 (P. = 270 35 45 . 18 1 log cos f logi log sen y log i cos y log ^ sen -f l cos y ^sen y 0.00000 2.31327 1.31327 20.572 0.000 2 9.90943 1.91872 9.76640 1.82815 1.68512 67.321 48.431 3 8.59020n 1.70971 9.99967 0.29991 n 1.70938 — 1.995 51.213 4 9.89579W 1.72071 9.97055n 1.61650n 1.51126« —41.352 —32.453 5 9.95496n 1.69744 9.63628n 1.65240n 1.33372n —44.916 -21.563 6 8.01703 1.65979 9.99998n 9.67682 1.65977n 0.475 —45.685 Aj= +0.105 Af/=z— 0.057 1 2 , cos- 9 log / log / ,_sen?cosy cos'^f sen y cos y P y V 5.50515 - 10 7.35919 0.00003 0.00229 0.00000 0.00118 0.00000 0.00164 7.07313-10 7.21616—10 3 4.36566 7.18460 5.77513/1 0.00000 0.00153 —0.00006 4 6.39581 6.18533 0.29057 0.00025 0.00015 0.00020 5 7.74265 7.21529 7.43397 0.00553 0.00164 0.00272 6 3.79146 7.75736 5.7744 In 0.00000 0.00572 -0.00006 0.00810 0.01022 0.00444 MISURA DIRETTA ED INDIRETTA DI UNA POLIGONALE 125 Equazioni normali. 0. 00810/+0. 004447/= + 0. 105 0. 004447+0. 01022//=-0. 057. logici. 32247 , log//=l. 167G9W . Correzioni dei lati. ^/^ = _ 0.0007; a/,=r-0. 0294 ; a/3 = + 0.0238; ^/^=r + 0. 0029 , (J/. = + 0. 0876 ; Òl^ = ~-0. 0854. . Lati corretti. 7, = 20. -"5713 ; ?, = 82."^9026 ; 73= 51. '"2758 ; ^ = 52.'"5691; /_ = 49.'"91 26 ; L = 45. '"6016 Coi lati e gli angoli corretti si è fatto il seguente quadro per la verifica e per il calcolo delle coordinate dei diversi vertici. log i COS -^ log l sen -jj / COS 'V l sen 'f X y 1 1.31326 20.571 0.000 0.000 0.000 2 1.82800 1.68497 67.298 48.414 20.571 0.000 •?, 0.300 lOn 1.70958 — 1.996 51.237 87.869 48.414 4 1.61652n 1.51128n -41.354 — 32.455 85.873 99.651 5 l.n5317n 1.33449n — 44.995 — 21.602 44.519 67.196 6 9.67601 1.65896^1 + 0.474 — 45.600 - 0.476 45.594 — 0.002 — 0.006 i ktti R. Accad. - Parte Fisica — Voi. X\IV, 10 126 N. JADANZA Angoli e iati misurati col Tacheometro. A 5; =0^^0243 o«^0, 00405 a corretti a, = ^■2 «0 = o 99. 3504 39. 6966 62. 7866 a^== 139. 8823 4 13. 8729 72. 1570 ^= 39. 6966 953=102. 4832 (p\z=24:2. 3655 (p. = 228. 4926 c&^=300. 6496 1 o 400. 0000 1 log COS f \ogl logsen f loglaeuf log/senf Icoa y l sen f 0.00000 1.31464 1.31464 20.634 0.000 2 9.90946 1.91710 9.76636 1.82662 1.68352 67.084 48.253 3 8.59102n 1.70786 9.99967 0.29888« 1.70753 - 1.990 50.995 4 9.89577n 1.72046 9.97059n 1.61623/j 1.51 105m —41.327 —32.438 5 9.95497n 1.69417 9.63626 n 1.64914^ 1.33043M —44.580 -21.401 6 8.00876 1.65792 9.99998 9.66668 1.65790 A) 0.464 —45.488 Aa;=: +0.285 ^y=— 0.079 1 2 , coi- f log ^/ log / sen^cosf P P sen 9 COS f loe p P 6.44479-10 7.97057 0.00028 0.00934 0.00000 0.00483 0.00000 0.00672 7.68437—10 7.82747-10 3 5.82711 8.64441 7.23576n 0.00007 0.04410 0.00172 4 7.98131 7.77095 7.87613 0.00958 0.00590 0.00752 5 6.67380 6.03038 6.35509 0.00047 0.00011 0.00023 6 4.64726 8.62970 6.63748n 0.00000 0.04263 —0.00043 4-0.01974 +0.09757 +0.01232 MISURA DIRETTA ED INDIRETTA PI UNA POLIGONALE 127 Equazioni normali. 0. 01974/+0. 0123277=0. 285 0. 012327+0. 0975777=— 0. 079 log7=l. 21257 ; log 77=0. 45853n. Correzioni dei lati. ^Zj = -0. 0045 ; èl, = -0. 1640 ; ùl^ = + 0. 1549 ; ^/ = + 0.1712; ^/. = + 0. 0078; a/. = -0. 1296. Lati corretti. ?j = 20."'6323 ; /,= 82.'"4700 ; /g = 51."'1889 ; /^ = 52."'7072 ; /. = 49."'4582 ; 7^= 45.'"3610 . Calcolo delle coordinate. 1 2 3 4 5 6 log l COS a log i sen » / COS U l sen -j X y 1.31454 1.82576 0.30020n 1.61764n 1.64921 n 9.66544 1.68266 1.70885 1.51246n 1.330o0n 1.65666n 20.632 66.951 — 1.996 -41.461 — 44.587 + 0.463 0.000 48.157 51.151 — 32.543 — 21.404 — 45.359 0.000 20.632 87.583 85.5«7 44.126 — 0.461 0.000 0.000 48.157 99.308 66.765 45.361 + 0.002 + 0.002 128 N. JADANZA Angoli e iati misurati col Cìeps. Aa = 0s^0244 aa = 0 . 00406 e/, corretti a^= 99^^3526 «,= 39. G911 al— 62. 7794 «4= 139. 8916 «.= -13. 8627 a^= 72. 1480 400. 0000 ©,= 39. 6911 ©3=102. 4705 ©^ = 242. 3621 ©5=228. 4994 i«=300. 6474 I o 1 2 3 4 5 6 log cos » \ogl log/sea y log? cos ^ log ? sen y l cos y l sen f) 0.00000 1.31308 9.90948-10 1.91662 8.5891 2n 1.70828 9.89579n 1.71965 9.95494 it 1.69589 8.00733 1.65617 1.31308 1.82610 0.29740M 1.61544M 1.65083n 9.66350 1.68292 1.70795 1.51019n 1.33224n 1.65615n 20.562 67.004 — 1.983 — 41.252 — 44.754 — 0.460 0.000 48.186 51.045 — 32.374 — 21.490 — 45..305 9.76630 -10 9.99967 9.79G54n 9.63635 n 9.99998« Ax=: +0.037 Ai/z= +0.062 1 log / log p' , sen o .;op -f log 1 L P COS^-y p sen'y P seny cos y P 6.49485—10 0.00031 0.00000 0.00000 2 7.27496 6.98860—10 7.13178-10 0.00188 0.00097 0.00136 3 5.02097 7.84207 6;43152n 0.00001 0.00695 -0.00027 4 7.64479 7.43429 7.53954 0.00441 0.00272 0.00346 5 7.30927 6.73209 7.05068 0.00234 0.00054 0.00112 6 4.55921 8.53551 6.54286n 0.00000 0.03433 —0.00035 0.00895 0.04551 0.00532 MISURA DIRETTA ED INDIRETTA DI UNA POLIGONALE 129 Equazioni normali. 0. 00895J+0. 005327i=0. 037 0. 00532/+0. 04551 11=0. 062 loglio. 55298 ; log7/=9. 97531 a/j=-0. 0011 dl^ = -\-0. 0242 ?i = 20.'"5614 /^ = 52.'"4623 Correzioni dei Iati. rV,= -Q. 0099 ; tì% = -0. 0056 ; ^^ = + 0. 0105 Lati corretti. /,= 82."'5218 ; /- = 49."'6570 : ò/, = + 0. 0312 . /3 = 51.'"0778 ; /, = 45.'"3382 . Cai colo delle coordinate. 1 2 3 4 5 6 log i COS y log/senj» l COS -f l sen f X y 1.31303 1.82605 0.29735n 1.61564n 1.65092n 9.66379 1.68287 1.70790 1.51039n 1.33233n 1.65644n 20.561 66.996 - 1.983 -41.271 — 44.763 0.461 0.000 48.180 51.039 — 32.388 — 21.495 — 45.336 0.000 20.561 87.557 85.574 44.303 — 0.460 0.000 0.000 48.180 99.219 66.831 45.336 + 0.001 0.000 I tre esempi numerici precedenti fanno vedere che il Tacheo- metro ed il Cleps possono essere adoperati con successo a misurare gli angoli delle poligonali, essi mostrano anche la superiorità del Cleps riguardo alla misura delle distanze, essendosi avute cor- rezioni minime pei lati 130 N. JADANZA MISURA DIRETTA ED INDIRETTA ECC. Abbiamo voluto fare anche la compensazione della poligonale, ritenendo tutti i lati dello stesso peso. Colle misure dirette dei lati abbiamo ottenuto le seguenti correzioni ; d/j=r — 0. 0516 ; (5/2=- 0. 0174 ; òì.^= 0.0440; a?. 0.0147; òl= 0.0283: 5^^-0.0425. '4— -■ ' --5— • ■ ''6- le quali sono dello stesso ordine di quelle trovate col metodo più rigoroso. Però la correzione del primo lato è riuscita superiore di molto alla corrispondente ottenuta col primo metodo di compensazione, ciò che non dovrebbe essere essendo quel lato più corto di tutti e quasi in piano. Le coordinate dei vertici, in quest'ultima ipotesi, sono state le seguenti : x^ = 0 , a;2 = 20.'"520 ; a;3:=87."'827 ; x^^SÒ.'^SSO \ t/, = 0. y,= O.-O; y3 = 48."'421; f/,= 99.™678; t/. = 67.'"216; i/g = 45.'"640 ; L'area del poligono è stata calcolata con la formola : n 1 e si sono ottenuti i seguenti risultamenti : iLati misurati direttamente e non del medesimo peso Lati considerati dello stesso peso Lati misurati col Tacheometro Lati misurati col Cleps 4495.'"''-26 4495."''03 4467.'"'' 02 4458.""' 77 Come conclusione ci sembra poter affermare che il metodo precedente di compensazione, deducendo cioè i pesi dalle misure ripetute di uno stesso lato , senza dar luogo a calcoli troppo lunghi è molto conveniente per le poligonali topografiche, e che quando i lati della poligonale avessero tutti presso a poco la medesima lunghezza, la compensazione si può fare supponendoli dello stesso peso. Torino, Novembre 1888. 131 Azione delle scintille elettriche sui conduttori elettrizzati Nota del Socio Prof. A. Naccari 1. Kipetendo alcune esperienze sugli effetti elettrici delle va- riazioni ultraviolette mi avvenne di esaminare l'azione di piccole scintille d'induzione sopra conduttori isolati ed elettrizzati. Notai allora che una scintilla anche minima, come ad esem- pio quella dell' interruttore automatico d'una slitta del Du Bois- Keymond, può produrre degli effetti singolarmente intensi sopra un corpo conduttore elettrizzato ed isolato. Questi effetti consi- stono in un'accelerazione della dispersione clie si palesa tanto nel caso che il conduttore posseda elettricità positiva quanto nel caso opposto. Riferisco qui alcune esperienze che possono dare una idea della intensità del fenomeno. Una pallina di ottone del diametro di quattro centimetri fii sospesa mediante un filo di seta ad un bastone di ceralacca fissato ad un sostegno di ferro. Un filo isolato congiungeva la pallina all'ago d'un elettrometro del Mascart. Le due coppie di quadranti di questo erano rispettivamente congiunte ai due poli d'una pila di trenta coppie, il cui punto di mezzo era posto a terra. L'elettrometro ha specchietto concavo e T imagine della fessura illuminata si osserva sopra la scala collocata a un metro di distanza. Le divisioni della scala sono millimetri. L' elettro- metro era in condizioni di poca sensibilità. Una Danieli produceva una deviazione di quattro parti, A poca distanza dalla palla posi nelle prime esperienze una slitta del Du Bois-Reymond con l'interruttore volto verso la palla. La distanza fra T interruttore e la palla fu diversa nelle varie esperienze, e nelle tabelle seguenti è indicata con la lettera d. Io osservavo di tempo in tempo la posizione della striscia luminosa sulla scala. Lo zero di questa stava nel mezzo di essa. 132 ANDREA NACCARI Indico col segno + le letture fatte dalla parte corrispondente alla carica positiva della pallina, col segno — quelle fatte dalla parte opposta. Per lo più quando la palla era scarica, la striscia si portava esattamente allo zero. Nell'esperienze seguenti una sola coppia Bunsen era appli- cata alla slitta, ed era caricata con liquidi già adoperati più volte. Indico con un asterisco il tempo in cui si chiude il circuito della pila e quindi la scintilla comincia a scoccare, con due aste- rischi il tempo in cui il circuito viene aperto. La lettera t in- dica i tempi delle osservazioni, contati in minuti primi, la s le deviazioni osservate. 1' esperienza. d=z2cm. t s t 5 0 -212 **9 -75 *gm 205 * 10 75 *¥r 'J 116 ^^ Il 45 *8 116 12 45 2' esperienza. dz=4:cm. t s t s 0 -229 *9 - 138 ^5 220 10 108 ^*6 170 11 90 * 7 1 170 ** 12 -79 ^*8 138 16 79 AZIONE DELLE SCINTILLE ELETTRICHE 133 3* esperienza. d= lOcm. t s t s 0 - 191 * 20 -160 *5 189 ** 26 147 6 182 *34 143 ** 7 180 **43 129 *8 180 51 126 ** U 162 4' esperienza. d=2cm. t s t s 0 + 216 ** 4 + 54 *1 212 *5 54 ** 2 100 **Q 31 *3 100 7 31 5* esperienza. d = 4 cm. t s t s 0 + 222 *Q + 136 1 220 ** y 114 *2 196 *8 114 ** 3 167 ** 9 99 *4 169 10 99 ** 5 136 — — 134 ANDREA NACCARI 6* esperienza, ci =7 cm. t s t s 0 + 203 *9 + 163 1 200 ** 12 139 * 2 197 ! * 16 137 ** 5 166 ** 19 121 Queste esperienze non sono destinate a paragonare l'effetto prodotto dalla scintilla sulle cariche positive con quello prodotto sulle cariche negative. Esse valgono soltanto a dare un'idea della grandezza dell'effetto. Facendo scoccare le scintille quando la pallina era scarica, non si osservava alcun effetto. Con rocchetti d'induzione di dimensioni diverse, da uno che dà scintilla di qualche millimetro appena ad uno che può dare scintille di quarantacinque centimetri , ottenni effetti consimili , ma l'intensità di questi è bea lontana dal crescere nella stessa ragione della potenza dell'apparecchio d'induzione o della lun- ghezza della scintilla. 2. Il fatto che l'accelerazione nella dispersione avviene tanto per elettricità positiva, quanto per negativa, mi fece fin da prin- cipio ritenere che l'effetto non si dovesse attribuire alle varia- zioni ultraviolette. D'altra parte interponendo una lamina di quarzo o di gesso l'azione veniva immediatamente sospesa. Qualunque diaframma non traforato produceva il medesimo effetto. Esaminai se si po- tesse attribuire l'effetto alla causa stessa del fenomeno osservato dal Guthrie (1) nel 1873 ; il quale fenomeno consiste in ciò, che un corpo solido incandescente posto a poca distanza da un conduttore elettrizzato lo scarica, se è elettrizzato negativamente. Più tardi l'Elster e il Gei tei (2) osservarono che a poca di- (1) Guthrie, Phil. Magazine (4) XLVI (1873), Chem. News, XLV, 116. (2) Elster iì. Geitel, Wied. Ann. XXVI, p. 1. AZIONE DELLE SCINTILLE ELETTRICHE 135 stanza la dispersione avviene pressoché nella stessa misura anche se il corpo è caricato positivamente. Ma la spiegazione che so- lamente si può applicare a quei fenomeni si fonda sopra una azione elettrostatica fra il corpo caldo e il corpo elettrizzato. Ad una simile spiegazione converrebbe ricorrere se si vedesse nel fenomeno prodotto dalla scintilla una stretta affinità con i fatti descritti dal Koch (1) , dai quali risulta che 1' elettricità positiva esce da un corpo caldo più facilmente della negativa finche la temperatura non è molto alta. Per altissime tempera- ture le due elettricità pare che si disperdano con uguale rapidità. Nel caso delle mie esperienze, specialmente di quelle fatte con i rocchetti, ogni azione elettrostatica doveva essere esclusa, perchè io aveva interposto fra la scintilla e il conduttore elettrizzato un disco di tela metallica posto in comunicazione col suolo e m'ero accertato ch'esso arrestava affatto ogni azione di quel genere. Io aveva usato questo disco fin da principio neiresperienze con i rocchetti, perchè gli elettrodi di questi si comportano come corpi elettrizzati staticamente e possono agire fortemente come tali. Paragonai inoltre l'azione d'un corpo incandescente con quello della scintilla. La fiamma d'una candela anche a tre centimetri di distanza non produceva il minimo effetto sulla palla elettriz- zata quando fosse interposto un pezzo di tela metallica comu- nicante col suolo. Un filo di platino reso incandescente da una corrente fu parimenti inetto a produrre alterazione nella carica della palla quando questa era difesa dalla tela metallica. 3. Kestava da esaminare se l'aria circostante venisse dalla scintilla modificata in maniera da produrre l'effetto osservato. Disposi perciò l'esperienza in modo che un rocchetto producesse una scintilla a distanza abbastanza grande per non produrre effetto troppo forte sulla pallina elettrizzata. Una corrente d'aria ottenuta mediante un mantice e un tubo di gomma spingeva al momento opportuno e per l'intervallo di tempo convenienti l'aria prossima alla scintilla verso la palla. Era sempre interposto un disco di tela metallica di 35 centimetri di diametro posto in co- municazione col suolo. Il tubo di gomma ponevasi con la sua bocca al di sopra della scintilla in tal posizione che la scintilla non venisse spostata dalla corrente d'aria e avvicinata alla palla. ,1; Koch, Wied. Ann. XXXIII, 454. 136 ANDREA XACOAKI M'accertai con apposite esperienze che la corrente d'aria per se sola, cioè quando mancava la scintilla, non produceva effetto sensibile. Kiferisco i numeii spettanti ad alcune esperienze fatte in tali condizioni. Nelle tabelle che seguono indico con l la lun- ghezza della scintilla, con l'indice ' il tempo in cui la corrente d'aria comincia, con l'indice " quello in cui la corrente cessa. 1* esperienza. f7=2cm. /=:0,1 era. Canea negativa. t 5 t s 0 -236 4" 106 * 1 234 5 76 2 214 6' 46 3' 187 6," 5 10 2" esperienza. d=^2cm. Z-— 0,1 cm. Carica positiva. t 5 1 i ' s 0 + 192 3' + 144 ^ 1 183 4 28 2 164 5" 6 3* esperienza . 5 cm. 1 =zl cm. Carica negativa. t s t 5 0 -221 4' 188 *2 217 ** 5" 3 3 205 — AZIONE DELLE SCINTILLE ELETTRICHE 137 4* esperienza. d=\0 l = \ cm. Carica negativa. t s t s 0 -183 8' -152 *2 175 10" 131 4' 171 :k% 13 119 G" 157 15 116 5" esperienza. d=b 7 = 0,2 cm. t 5 t s 0 + 212 5' + 149 *1 210 6" 113 2 206 ìt^ ij^ 108 3' 198 8 106 4" 155 Se la palla era scarica, ogni effetto spariva. Queste esperienze mettono fuori di dubbio che la dispersione si accelera grandemente quando l'aria che sta intorno alla scin- tilla e che , come è noto , vi forma un' aureola luminosa , vien portata a contatto con la palla. Poiché l'effetto è lo stesso, o poco diverso, sull'una e sull'altra elettricità, sembra che in ge- nerale l'aria cosi modi^cata consenta più facilmente il passaggio alla elettricità. Devo notare che in più casi sperimentando senza corrente d'aria osservai che la elettricità positiva sfuggiva , a parità di condizioni, più facilmente dell'altra , ma non ho po- tuto peranco esaminare le particolarità di quelle esperienze. Per esaminare se la modificazione per cui l'aria acquista la maggiore conducibilità sia permanente o cessi al cessare della 138 A. NACCAKI - AZIONE DELLE SCINTILLE ELETTRICHE scintilla , eseguii l'esperienze seguenti. Feci scoccare la scintilla entro un globo di vetro che aveva quattro fori con tubi disposti in croce. Introdussi per due fori posti di fronte gli elettrodi facendoli passare attraverso tappi di sovero. Dopo aver fatto scoccare a lungo le scintille lì dentro, appena cessate le scintille, inviai l'aria interna sulla pallina mediante il mantice, giovan- domi degli altri due fori. Non ebbi cos'i effetto alcuno. Se invece il mantice agiva finché le scintille scoccavano , benché la di- stanza di queste dalla palla fosse di venti centimetri avveniva una rapida dispersione. Così venne posto in chiaro che l'aria perde dopo breve tempo la proprietà che acquista per effetto della scintilla. E chiaro che i fatti descritti in questa nota hanno affinità con quelli che vennero descritti dall'ARRHENius (1) e dallo ScHU- STER (2) e che si riferiscono alla conducibilità elettrica dell'aria rarefatta. Fra l'esperienze dello Schuster ve ne sono alcune fatte alla pressione ordinaria, che mi erano sfuggite dapprima ; però le altre condizioni delle mie esperienze sono diverse, sono pure in gran parte diversi gli effetti osservati e diversa è la spiegazione a cui fui condotto. Torino, 15 Dicembre 1888. (1) Arrhenius, Wied. Ann. XXXII, 55 (1887, III}, (2) ScHusTEB, Proc. R. Society, XLII, 371 (1887). L'Accademico Segretario Giuseppe Basso. Torino. — Stamperia Reale della Ditta G. B. Paravia e C. 2632 (150) 13-11-89 SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del 16 Dicembre 1888 Pag. 93 CosSA — Commemorazione di Ascanio Sobrero » 94 D'Ovidio — Il covariante Steineriano di una forma binaria di 6» ordine » 100 Jadanza - Sulla misura diretta ed indiretta dei lati di una poli- gonale topografica » 1|3 Naccari — Azione delle scintille elettriche sui conduttori elettriz- zati » 181 S^ NB. A questa dispensa va unita ìa Tavola III^ relativa alla Memoria del Prof. G. Bizzozeeo, sulle Ghiandole tubulari ecc. , pubblicata nella 2" Dispensa. — .-^.^. Torino - Tip. liealo-raravia. ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI VoL. XXIV, Disp. 4=" E 6^ 1888>89 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e IVatnrali. TORINO ERMANNO LOESOHER Libraio della R. Àccadumia delle ScienzA 13 9 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 30 Dicembre 1888. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTl VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, Lessona , Salvadori , Bruno, Berruti, Basso, D'Ovidio, Bizzozero, Giacomini. Letto ed approvato l'atto verbale dell'adunanza precedente, il Segretario comunica una lettera circolare del Ministero di Com- mercio e di Industria di Francia, annunziante un'esposizione re- trospettiva del lavoro e delle scienze antropologiche in occasione dell'Esposizione internazionale del 1889. Fra le pubblicazioni presentate in omaggio all'Accademia viene segnalata la seguente : « Cycìones et tromhes » , par le Prof. Jean LuviNi. Turin, 1888; 1 fase. in-8°. Il Socio Cossa, Direttore della Classe, fa verbalmente una comunicazione preventiva riguardo ad un suo studio, di cui pub- blicherà fra breve i risultati, sulla funzione chimica di un iso- mero del Sale verde di Magnus. Quest'isomero costituirebbe una nuova base ammoniacale del platino, la quale forma il primo termine della serie delle basi ammonico-platiniche studiate da Gros, Reiset, Gehrardt, Clève ed altri. Atti R. Accad. - Petite Fisica — Voi. XXIV. 11 140 Adunanza del ^3 Gennaio 1889. PRESIDENZA DEL SOJIO PROF. ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presentì i Soci: Cossa, Lessona, Salyadori , Basso, D'Ovidio, Bizzozero, Ferraris, Naccari, Mosso, Girelli, Gia- COMINI. Si legge l'atto verbale dell'adunanza precedente che è ap- provato. Tra le pubblicazioni presentate in omaggio airAccademia vengono segnalate le seguenti : « Annali del Musco civico di Storia naturale di Genova, »' pubblicati per cura di G. Boria e K. Gestro ; serie 2% voi. VI, presentato dal Socio Salvadori; « Bollettino dei Musei di Zoologia e di Anatomia com- parata della R. Università di Torino » (n. 35-52, voi. Ili, 1888); presentato dal Socio Basso. Si legge in seguito una lettera del primo Aiutante di campo del Ee, nella quale, per incarico di S. M., si porgono all'Ac- cademia ringraziamenti pel telegramma che esprimeva i suoi sensi di condoglianza per la deplorata morte di S. A. R. il Principe Eugenio di Savoia Carignano. Le letture e le comunicazioni si succedono quindi nell'or- dine che segue : 1. « Commemorazione del Conte Paolo Ballada er calcolare le posizioni successive di alfa della Croce e di Sirio nella serie dei secoli. Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino, voi. 1, 1866. •23 * lìésultats d' expériences faites à diverses haufeurs touchant la durée de combustion de la matière de la poudre. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol.l, 1866. 24 * Du travail mécanique dépensé dans la compression et du travail restitué par la detente d'un gaz permanent. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, voi. 1, 1866. COMMEM. DEL C. PAOLO BALLADA DI SAINT-EOBEET 149 25 Nota intorno alia Saxifraga flonilenta Moretti. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, voi. 1, 1866. 26 Intorno alla foriììola harometrica ed alla rifrazione at- mosferica. Atti della R. Accademia delle Scienze di To- rino, voi. 1, 1866. 27 ' Tahle hypsomctrique pour détcrminer rapidement sur place la différence de niveau de deux stati ons et pour rc'duire les indicafions du haromètre dans tnie station à ce gu'elles scraient dans une antre. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, voi. 1, 1866. 28 Sul vario significato di una terzina di Dante. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, voi. 1, 1866. 29 Gita al Monte Ciamarella nelle Alpi Graie. Bollettino trimestrale del Club Alpino Italiano, Torino, 1867. 30 * Bes changenients de temperature produits dans les corps solides de forme prismatique par une traction longitu- dinale. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, voi. 3°, 1867. 31 * Tableau graphique donnant à vueVaìtitude d'une station au ìììoyen de la seule ohservation du harowètre et du tlicrmomctre à cette méme station. Atti della R. Acca- demia delle Scienze di Torino, voi. 3, 1867 32 Sopra un Opera del prof. A. C avallerò intitolata : Corso di lezioni teoriche -normali sulle macchine motrici. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, voi. 3°, 1867. 33 Lettre au Directeur du « Spectateur Militaire » a Parigi. Estratto dal Giornale di Artiglieria, 1867. 34 Notice hiographique sur Sudi Carnof. Atti della R. Acca- demia delle Scienze di Torino, voi. 4", 1869. 35 Parere sul declinatore orario del prof. Foscolo, Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, voi. 4", 1869. 36 Sulla formola harometrica. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, voi. 5°, 1869-70. 37 Jules-Bohert Mayer ; Notice hiographique. Leipzig, tip. Teubner, 1870.' 38 Principes de thermodinamique ; 2' edizione, Leipzig, tip. Teubner, 1870. 39 Altezze sul livello del mare di alcuni punti dell'Alto Pie- monte determinate col barometro. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, voi. 6°, 1870-71. 150 GIUSEPPE BASSO - COMMEM. DEL C. PAOLO BALLADA ECC. 40 * De la résolution des certaines équations à tro/s variahles par le moyen cVune règie glissante. R. Accademia delle Scienze di Torino ; Atti, voi. 2°, e Memorie^ 2* serie, voi. XXV, 1871, 41 ' Notwelles tahles hypsométriqtics. R. Accademia delle Scienze di Torino ; Atti, voi. 2° e Memorie, 2" serie, voi. XXV, 1871. 42 * Determinazione delValtezsa di un monte inaccessibile col mezzo di un barometro e di uno strumento misuratore d'angoli. The alpine Journal, Londra, voi. VI, n. 44, 1871. 43 Gita al Gran Sasso d'Italia. Torino, tip. Bona, 1871. 44 ' Quest-ce qiie la force? Revue scientifique de la France et de l'étranger, Paris, 1872. 45 Una salita alla torre di Orvada, in collaborazione di M. Les- sona, G. Striiver e A. Gras. Torino, tip. Bocca, 1873. 46 * Les projectiles lenticulaires ; estratto dall'Opera: Mémoires scientifìqucs dello stesso Autore. Torino, tip. Bona, 1873. 47 ' Mémoires scientifìqucs réunis et mis en ordre ; tom. 1", Balistique, tom. 2**, Artillerie, tom. 3** Mécanique et Hypsométrie. Torino, tip. Bona, 1872-74. 48 Intorno al calore che deve prodursi nelV esperienza imma- ginata da Galileo per misurare la forza di percossa. Atti del Regio Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Milano, 1876. 49 Sul moto sferico del pendolo avuto riguardo alla resi- stenza dell'aria ed alla rotazione della terra. Napoli, Tip. della R. Accademia delle Scienze, 18 77 50 Sul pendolo di Leone Foucault. Stamperia Reale di Torino, 1878. 51 Foche parole intorno ad una Memoria del capitano F, Siacci sul pendolo di Leone Foucault. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, voi. 14", 1878; Risposta dello Siacci nello stesso volume. 52 Cannocchiale pensile per la misura degli angoli verticali ed orizzontali: con tre tavole litografate. Torino, 1878. 53 Du mouvement d'un pendute simple, suspendu dans une volture du chemin de fer. Roma, tip. Salviucci, 1879. 54 Perchè i ghiacciai si vadano ritirando. Roma, Atti della R. Accademia dei Lincei, 1884. 151 Nuove esperienze sulla eccitazione voltaica dei nervi; del Prof. E. Oehl t In una mia comunicazione al X° Congresso Generale dell'As- sociazione Medica Italiana, io proponeva una nuova esperienza di- mostrativa dell'assunto, primamente enunciato da Pflùger : che la eccitazione , cioè , del nervo motore , ha luogo al polo negativo (catode) all'atto della chiusura di un circuito voltaico, al polo positivo invece (anode) all'atto dell'apertura dello stesso circuito. Nella proposta esperienza si fissavano su piastra di vetro, alla distanza di circa 10 mill. l'uno dall'altro, due sottili reofori, met- tenti, colla interposizione di un invertitore, ad una piccola Grenet, ulteriormente sostituita, per la maggiore costanza, da un elemento Grove di 60 mm. di diametro. Fra questi due reofori se ne fis- savano due altri, alla distanza di circa 5 mm., mettenti ad un moltiplicatore abbastanza sensibile. Si isolava quindi, in una rana, l'ischiatico dalla sua origine coxale fino al poplite, con esporta- zione della coscia e con rimanenza della gamba e del piede. Si deponeva il nervo così isolato, trasversalmente sui quattro reo- fori, avvertendo che fossero tutti a contatto del nervo, e che Parto adagiato sulPasciutta piastra di vetro non toccasse alcuno di essi. Se in queste condizioni si apre e si chiude il circuito, e se per la recentissima preparazione il nervo sia molto eccita- bile, si hanno regolarmente e ripetutamente le contrazioni istan- tanee di chiusura ed apertura a qualunque direzione ascendente 0 discendente della corrente. E nello stesso tempo la deviazione e la restituzione dell'ago galvanometrico, indicano, rispettivamente, alla chiusura ed all'apertura, il passaggio e la cessazione della cor- rente stessa nel tratto interpolare del nervo. Se in allora con taglientissima forbicina si recide il nervo, senza spostarlo, fra i due reofori galvanometrici, e se ne avvicinano i monconi per modo che si contiguino soltanto colla loro superficie Ì52 E. OEHL di sezione, bene avvertendo che non siavi il benché menomo ac- cavallamento di fibre; ovvero, fra le due superficie di sezione dei monconi lievemente allontanati, s'insinui un esile filo di cotone inumidito, colla stessa avvertenza che non si accavalli sul nervo e che sia bene asciutta la sottostante piastra di vetro, in allora, si ha la contrazione dell'arto soltanto alla chiusura quando la corrente è discendente, soltanto all'apertura quando la cor- rente è ascendente, mentre ad ogni direzione della corrente il galvanometro ne indica sempre il passaggio alla chiusura, la ces- sazione all'apertura. Ciò pel motivo appunto, che il nervo essendo presumibilmente eccitato al catode nella chiusura, all'anode nell'apertura, questi due punti si trovano sul tratto di nervo in comunicazione col- l'arto, rispettivamente nelle correnti discendenti ed ascendenti , mentre invece per le correnti ascendenti e discendenti il ca- tode e l'anode rispettivamente eccitanti alla chiusura ed all'a- pertura, trovandosi sul moncone di nervo isolato dall'arto colla recisione, non ne determinano la contrazione. La determinereb- bero invece se la eccitazione in cui fu messo il moncone isolato, si potesse trasmettere (come da altre sperienze risulta non po- tersi trasmettere) attraverso la recisione ed anche attraverso una semplice strettura (che dà lo stesso risultato negativo) al tratto di nervo non isolato dall'arto. E se la eccitazione del nervo non fosse un'effetto dell'azione catodica di chiusura ed anodica di apertura, ma un puro e semplice effetto dell'insorgere e del ces- sare di una corrente trasmessa lungo il medesimo, in allora, anche quando il catode di chiusura e l'anode di apertura corrispondono al moncone isolato del nervo , la contrazione dovrebbe istessa- mente verificarsi, poiché gl'interposti reofori galvanometrici di- mostrano, che sia il nervo legato o reciso con diretta od indi- retta contiguazione dei monconi, mediante interposizione di cotone 0 di carta umida, la corrente si trasmette sempre e si manifesta al galvanometro nel senso della propria direzione. Questa esperienza tenderebbe quindi a confermare : 1" Che una corrente voltaica non eccita il nervo pel suo trasmettersi lungo il medesimo, ma soltanto pel suo insorgere (chiusura) lo eccita al polo negativo, pel suo cessare (apertura) lo eccita al polo positivo. 2" Che mentre la corrente si trasmette per via umida at- traverso un nervo legato ed attraverso i monconi contiguati diret- ECCITAZIONE VOLTAICA DEI NERVI 153 taraente o indirettamente di un nervo reciso , non si trasmette invece la eccitazione. Non riassunsi in allora questi corollari come nuovi, ma come confermati da una esperienza dimostrativa, la quale non mi ri- sultava fosse stata fatta prima d'allora. Qualche anno dopo accennava brevemente ad un'altra espe- rienza (1), che è una modificazione della precedente e che di- mostra il medesimo assunto in un modo più facile e più persuasivo. Sta essa nel sottoporre allo stesso appareccchio due arti , anziché uno solo, preparati nello stesso modo. Mentre infatti col- Tunico arto della esperienza precedente, a norma della direzione della corrente, si aveva la contrazione di chiusura o di apertura quando rispettivamente il catode o l'anode cadevano sul mon- cone muscolare del nervo reciso, contrazione che mancava (benché vi avesse passaggio e cessazione di corrente) quando questi due punti cadevano sul moncone isolato, con quest'altra esperienza invece, disponendo i nervi in modo, che le loro sezioni trasverse si contiguino fra i reofori galvanometrici, senza accavallamento di fibre, si ha la contrazione di chiusura nel solo arto a cui cor- risponde il catode, la contrazione di apertura nel solo arto a cui corrisponde l'anode ; ed invertendo colla direzione della corrente, la ubicazione dei poli, si ha pure un invertimento nella contrazione catodica ed anodica degli arti ; motivo per cui ad ogni chiusura ed apertura si ha la contrazione dell'uno o dell'altro dei due arti, a norma della direzione della corrente, la quale segna sempre al galvanometro il suo passaggio da un nervo all'altro, anche quando i due nervi non sieno contiguati direttamente, ma mediante la cauta interposizione di un filamento conduttore fra le due sezioni trasverse dei medesimi. Nella trattazione didattica dell'argomento fui tratto in que- st'anno a dimostrare lo stesso assunto con altra esperienza, che, se pur non m'inganno, ritrae il suo titolo di novità principal- mente dal modo in cui è preparata la rana. Non trattasi infatti, come nelle esperienze precedenti, di ecci- tare a determinata direzione di corrente il nervo ischiatico di un solo arto, o di applicare un elettrodo a ciascuno dei nervi ischia- tici direttamente od indirettamente contiguati di due arti, ma (1) Arch. Italien. de Biotoyie, t. IH, 1886. 154 E. OEHL trattasi invece di procedere a questa applicazione su ciascuno dei nervi ischiatici comunicanti per interposto midollo spinale con cui si trovano in continuazione. FlG. 1 Salve infatti le modificazioni che accenneremo pei singoli casi, la preparazione era in genere condotta come segue. Decortica- zione della rana: isolamento degli ischiatici dalle loro origini spinali fino alla coscia od al poplite : esportazione del bacino e di tutte le restanti parti del corpo, meno un più o men lungo tratto di colonna vertebrale, per modo che ne risulti un più o men lungo moncone vertebrale, dalle cui radici spinali si rias- ECCITAZIONE VOLTAICA DEI NERVI 155 sumono i nervi ischiatici isolati e portanti le gambe decorticate dalla coscia o dal poplite al piede. Sull'apparecchio tracciato nell'unito disegno (fig. 1) la rana così preparata, è disposta in guisa che i nervi ischiatici, in punti pressoché equidistanti dalla loro origine spinale alla immersione nella gamba o nella coscia, cadono sui reofori Mli' deirelettro- motore P, che può essere interrotto in C, ed invertito in /, mentre sul moncone vertebrale cadono alla lor volta i reofori SS' del circuito galvanometrico G interrompibile in e. In tale disposizione ambidue gli arti della rana recentissima- mente preparata si contraggono al chiudersi ed all'aprirsi di (7, mentre, a e chiuso, il galvanometro dà segno del passaggio della corrente da S verso S\ se la direzione della corrente eccitante era tale, da essere l'anode in R, da S' invece verso S, se per l'interposto invertitore l'anode fosse stato in IR' . Questa bilaterale contrazione di chiusura ed apertura può du- rare più 0 men tempo, ma è sempre transitoria e tanto più presto in genere dispare, dopo essersi molte volte verificata, quanto è più breve l'interposto moncone vertebre -midollare. La scomparsa della contrazione bilaterale è pure accelerata dalla frequenza con cui la si ridesta colla rapida successione delle aperture e chiusure del circuito , mentre una breve inversione del medesimo , ricondotto poi alla direzione primitiva, può re- stituirla, e più facilmente della contrazione bilaterale di apertura, restituisce quella di chiusura, mentre l'invertimento non resti- tuisce la bilaterale di apertura. Moltissime volte ha pur luogo una più transitoria contra- zione bilaterale, quando sieno contiguati direttamente, per inter- posizione umida , i due pezzi del moncone vertebrale longitudi- nalmente reciso e svuotato del midollo. Generalmente alla cessazione delle contrazioni bilaterali di chiusura ed apertura , tien dietro la contrazione unilaterale di chiusura nell'arto catodico, di apertura nell'arto anodico, non mai inversamente. Kipetendo però le esperienze, si può stabilire, che fra le due fasi di contrazione bi- ed unilaterale, vi sono delle fasi intermedie, che in mezzo alle molte variazioni si potrebbero riassumere come segue : 1 Contrazione bilaterale di chiusura ed apertura sensibil- mente eguale pei due arti nella intensità e nel tempo. Ani R. Accad. - Parte Fisica — Voi. XXIV. 12 156 E. OEHL 2° Contrazione bilaterale con sensibile maggiore intensità e precedenza di quella dell'arto catodico alla chiusura, dell'a- nodico all'apertura. 3° Contrazione bilaterale soltanto alla chiusura e contra- zione unilaterale dell'arto anodico all'apertura. 4" Contrazione unilaterale dell'arto catodico alla chiusura, dell'arto anodico all'apertura, non mai inversamente (1). 5° Breve persistenza di una sola contrazione unilaterale, che tanto può essere per l'arto catodico alla chiusura , quanto per l'arto anodico all'apertura. 6" Mancanza di ogni contrazione. Ripeto che nelle molte sperienze fatte e nelle non minori va- riazioni ottenute, non mai una sol volta avvenne che si con- traesse alla chiusura il solo arto anodico , o il solo arto catodico all'apertura, ma sempre avvenne, che nella contrazione unilate- rale si contraesse l' arto catodico alla chiusura , l' arto anodico all'apertura. Le relative sperienze furono fatte d'inverno, in ambiente a temperatura media di 15" C°, con igrometro fra 50" (medio) e 75" (umido), e coli 'avvertenza di cambiare spesso i preparati e di tenerli umettati per lenta imbibizione da spugnole intrise di acqua distillata alla stessa temperatura. La prima illazione da esse deducibile si è: che sebbene a modica e costante intensità della corrente eccitante, si avesse dap- prima la contrazione bilaterale, poi, dopo le varie indicate fasi, la unilaterale anodica e catodica, pure l'interposto galvanometro rivelava sempre una sensibilmente costante intensità di corrente derivata dal medesimo. A questa derivazione è condizionata la eccitazione e la con- seguente contrazione uni- o bilaterale, che manca, quando il tratto interpolare non si trovi sull'arco formato dai due ischiatici e dal- l'interposto moncone vertebrale. Catode ed anodo non hanno quindi valore eccitante se non in quanto sono tali, ovvero sia, se non in quanto sia chiuso od aperto su quest'arco il circuito, e stabilita quindi la insorgenza o la cessazione della corrente. Manca infatti ogni contrazione uni- (1) Ho molte volte osservato, che da questa quarta fase il nervo può es- sere ricondotto per breve tempo alla prima, quando si aumenti la intensità della eccitazione coH'aggiunta di un secondo elemento Grove, ECCITAZIONE VOLTAICA DEI NERVI 157 o bilaterale, se applicando gli elettrodi sulle due allontanate se- zioni dell'arco anzidetto, senza interposizione conduttrice, si renda impossibile la chiusura e conseguentemente anche l'apertura del circuito . Anche da queste sperienze quindi, come dalle precedenti no- stre e dalle primitive di Ptlilger, sembrerebbe confermato l'as- sunto di quest'ultimo autore: che a modica intensità di corrente, cioè, la eccitazione abbia luogo al polo negativo (catode) nella chiusura, al polo positivo (anode) nell'apertura del circuito. È noto che Ptluger deriva questa eccitazione dalla ipotetica insorgenza di una zona catelettrotonica nel primo caso, e dalla ipotetica scomparsa di una zona anelettrotonica nel secondo. E l'apparente conferma che alla primitiva indicazione di Pfluger de- riverebbe dalle mie triformi esperienze, sarebbe subordinata alla circostanza, che le da me osservate contrazioni dell'unico arto, sul cui moncone isolato cade il polo eccitante nella prima serie delle sperienze suddette : o le contrazioni bilaterali che dappi'in- cipio si osservarono nella seconda serie, fossero realmente devo- lute, come aveva sospettato prima d'intraprendere questa terza serie, alla eccitazione [paradossa] che si desta in un nervo dalla variazione elettrotonica di un contiguo nervo eccitato. A questo punto però devo richiamare l'attenzione sulla dif- ferenza che passa fra le primitive esperienze di Pfluger e le mie attuali. Applicando Pfluger gli elettrodi al moncone nervoso di un solo arto, lo trascorre nel tratto interpolare con correnti ascen- denti 0 discendenti a norma della ubicazione degli elettrodi, ot- tenendo la contrazione di chiusura e di apertura e desumendo la sede della eccitazione (catodica od anodica) dai seguenti princi- pali criteri: 1" Che a correnti ascendenti la contrazione di chiusura succede pili tardi alla chiusura, che non la contrazione di aper-- tura all'apertura, perchè il punto eccitato (catode) essendo più lontano dal muscolo, la eccitazione impiega maggior tempo a tra- smettersi a quest'ultimo. 2° Che recidendo rapidamente il nervo dopo la chiusura di correnti ascendenti si può eliminare la contrazione, poiché seb- bene, per la contiguità dei monconi, si trasmetta ancora la cor- rente nel tratto interpolare , come lo dimostra la possibilità di ottenere la successiva contrazione di apertura, pure, per l'avve- 158 E. OEHL nuta recisione, non si può trasmettere l'eccitazione dal catode al muscolo. 3" Che recidendo rapidamente il nervo nel tratto inter- polare ad incoato tetano di apertura, esso persiste quando la cor- rente è ascendente, perchè il punto eccitato (anode) cade al dis- sotto della recisione ; desiste invece a corrente discendente, poiché sebbene la corrente stessa possa ancora trasmettersi, pure, cadendo la eccitazione al disopra della recisione, non può trasmettersi oltre quest'ultima la eccitazione del nervo. Le così condotte sperienze di Plluger, non solo fissano quindi i punti di eccitazione, ma fissano anche il princìpio : non essere la trasmissione della corrente nel tratto interpolare, ma la tra- smissione in esso e lungo il nervo della eccitazione, quella che determina la contrazione del muscolo. Nella seconda e terza serie delle nostre sperienze invece, noi abbiamo agito rispettivamente sopra due arti, dei quali sieno con- tiguati i monconi nervosi, ovvero sopra due arti continui per in- terposto midollo spinale, e nel tratto interpolare facemmo cadere la contiguità nel primo caso, la continuità nel secondo. Omologando i due casi colla sezione longitudinale dell'inter- posto tratto vertebrale e coll'avvicinamento dei due monconi, do- vrebbe, in ordine alle risultanze di Pfliiger, avvenire, che costan- temente alla chiusura del circuito si contraesse il solo arto catodico, il solo arto anodico, invece, all'apertura; quando, bene inteso, sia assicurata la eliminazione di ogni corrente secondaria , che agisca come chiusura ed apertura accessoria sull'arto, che non do- vrebbe contrarsi alla chiusura od apertura della corrente principale. 11 fatto però non corrisponde alla premessa, dappoiché tanto nella seconda, quanto in quest'ultima serie delle mie sperienze, ho costantemente osservato, che quando si tratta di preparato fre- schissimo, le prime eccitazioni danno, nella massima parte dei casi, le contrazioni bilaterali, alle quali soltanto dopo varie prove, suc- cedono le unilaterali. Come dissi, avevo riferito il fatto alla possibilità che la va- riazione elettrotonica dell'arto eccitato alla chiusura o all'aper- tura, riescisse alla sua volta eccitatrice dell'altro arto. Questa eventualità, che non potrebbe essere notoriamente impugnata pel caso di accidentale sovrapposizione longitudinale di fibre nervose, potrebbe pur essere invocata per l'altro caso di apposizione delle loro sezioni trasverse, in base alla nota indicazione di Du Bois ECCITAZIONE VOLTAICA DEI NERVI 159 Keymond, che per esse, ogni punto più vicino alla sezione lon- gitudinale si comporta positivamente rispetto ad ogni altro punto più lontano da essa. Motivo per cui, anche nel caso in cui, re- ciso longitudinalmente il moncone vertebrale svuotato del midollo e contiguatine i pezzi, si ottiene a prima giunta la contrazione bilaterale, avrebbe potuto questa derivarsi, come nella eventua- lità di sovrapposizione longitudinale ed anche trasversale dei mon- coni nervosi, da alterna eccitatrice influenza che la scemata elet- tromotorietà del moncone eccitato esercita sul non eccitato, per eventuale contiguità delle sezioni trasverse delle radici nervose tut- tora esistenti nei fori intervertebrali. Non regge però al fatto questa interpretazione, quanto regge alla teoria, poiché se in detta esperienza fosse la variazione elet- trotonica del moncone eccitato, quella che eccita l'altro moncone, dovrebbe avvenire: che applicando i due elettrodi ad un nervo, longitudinalmente o trasversalmente contiguato ad altro nervo, si contraesse l'arto di questo secondo nervo ad ogni contrazione di chiusura ed apertura dell'altro per la sua eccitatrice variazione elettrotonica. Il che invece è ben lungi dall'avvenire; e se con relativa frequenza si verifica una lieve e fugace contrazione con- tiguando longitudinalmente i due nervi, non mai la vidi verifi- carsi contiguandoli trasversalmente, mentre invece, tanto nell'una, che nell'altra maniera di contiguazione diretta, quanto anche nella contiguazione indiretta, costantemente avviene, che si abbia per breve tempo la contrazione bilaterale quando la contiguazione cada nel tratto interpolare. Per l'antagonismo esistente fra questa costanza e la quasi accidentale riuscita dell'esperienza precedente, non si può quindi logicamente ritrarre la spiegazione della contrazione bilaterale da eccitante variazione elettrotonica del nervo eccitato ed è a questo proposito appunto, che devo formalmente ricredermi dal sospetto esternato in accennati scritti precedenti: che, cioè, la iniziale con- trazione di chiusura ed apertura dell'unico arto a nervo reciso e monconi contigui; o la pure iniziale contrazione bilaterale di due arti a nervi contiguati, possa dipendere dalla eccitazione del- l'un moncone per variazione elettrotonica dell'altro. Se si pensi però all'altro costante fatto, che a nervi continui nel midollo spinale, si ha pure dapprincipio la contrazione bi- laterale, si potrebbe supporre per un momento, che alla chiusura avvenisse la contrazione dell'arto anodico per trasmissione bila- terale della eccitazione catodica e viceversa. 160 E. OEHL Prescindendo però dai dubbi, dei quali è forse ancora pas- sibile una trasmissione bilaterale della eccitazione, non si può essa invocare a spiegazione del fatto, pel motivo principalissimo : che se si eccita, cioè, bipolarmente il nervo di un arto della rana preparata nel modo anzidetto , con corrente voltaica, si ottiene bensì la contrazione di apertura e chiusura nell'arto corrispon- dente, ma non la si ottiene nell'arto opposto ; indizio quindi che la eccitazione insorta nel nervo eccitato non si è trasmessa at- traverso il midollo spinale al nervo dell'altro arto. Che se anche volessimo trascurare l'eloquente risultato di questa esperienza ed ammettere la trasmissione bilaterale come un fatto incontestabile, non si potrebbe essa invocare nel caso concreto, pel motivo, che come più sopra dicemmo, la contra- zione bilaterale si ha dapprincipio costantemente, a nervi recen- tissimi, anche quando essi non sieno continui nel midollo spinale, ma soltanto contigui colle sezioni ossee dello sparato moncone ver- tebrale, ed eventualmente colle sezioni trasverse delle loro radici nerYose. Ne si vorrà credere, come io dubitai per un momento, che la contrazione bilaterale a tratto vertebrale integro, possa dipen- dere da riflessione nervosa. L'esclusione di questa possibilità mi aperse l'adito ad un'altra serie di esperienze, che qui non è op- portuno di riferire, ma che tutte collimano a dimostrare il pre- cedente assunto: non mai ottenersi, cioè, nel nostro preparato, la contrazione di uno degli arti, quando la si determini con ec- citazione bipolare voltaica nell'arto opposto, contrazione, che ine- rendo alla eccitazione anodica e catodica dei due nervi, do- vrebbe a fortiori avvenire, se il preparato fosse suscettibile di riflessione nervosa. Non posso quindi altrimenti spiegare il costante fatto della iniziale contrazione bilaterale del preparato medesimo, se non am- mettendo, che ad un primo grado di squisita freschezza dei due nervi sieno essi amendue eccitabili tanto alla chiusura , quanto aU'apertua del circuito. E siccome su ciascuno di essi cade in- differentemente, collo stesso effetto della contrazione bilaterale, o il solo catode o il solo anode a norma della direzione della cor- . rente, cos'i bisogna pure naturalmente inferirne: che a questo primo grado di squisita freschezza, ciascuno dei due nervi è eccitabile aÀ ambo i poli, tanto alla chiusura, quanto all'apertura del circuito. ECCITAZIONE YOLTAICA DEI NERVI Ì6Ì Questa illazione, senza della quale riesce inesplicabile un fatto certo e costante, modifica essenzialmente la legge di Pflùger, che il nervo, cioè, sia eccitato al polo negativo (catodo) per insorgente catelettrotono alla chiusura del circuito : al polo positivo (anodo) per cessante anelettrotono all'apertura e non inversamente. La modifica, dico, nel senso, che a nervo squisitamente fresco la ec- citazione avviene anche inversamente e cioè: anche al catodo all'a- pertura, anche all'anodo alla chiusura del circuito. E in vero, se inerentemente a quanto si ammette sulle mo- dificazioni molecolari dell 'elettro tono, l'insorgenza del catelettrotono nella zona catodica riesce eccitante al polo negativo, non v' ha ragione per cui non abbia a riuscire eccitante al positivo la in- sorgenza dell' anelettrotono nella zona anodica ; come parimenti non v'ha ragione per ritenere ineccitante la cessazione del cate- lettrotono al primo, se riesce eccitante la cessazione dell 'anelet- trotono al secondo. Ho anch'io riscontrato, benché non costantemente, i princi- pali fatti, che già dicemmo invocati da Pfliiger a sostegno della eccitazione catodica di chiusura ed anodica di apertura sovra un unico arto. Mi avvenne, cioè, di osservare la contrazione di chiusura a corrente ascendente ritardata su quella di apertura; mi avvenne di poter eliminare alle stesse correnti la contraziono di chiusura, recidendo rapidamente il nervo nel tratto interpolare; e meno costantemente mi avvenne di veder persistere o desistere il tetano di apertura a correnti rispettivamente ascendenti o di- scendenti, mediante la stessa recisione ; ma tutte queste contin- genze si riferiscono a nervi pei quali essendo già passato lo stadio di squisita freschezza o di relativa integrità, si verifica realmente, come col mio metodo di sperimentazione, su due nervi contigui 0 centralmente continui , la eccitazione unilaterale catodica di chiusura ed anodica di apertura. Kicordando anzi il già detto, fra questo quarto stadio ed il primo di squisita freschezza, esistono due stadi intermedi, nel- l'uno dei quali comincia a rallentarsi su quello dell'arto cato- dico la meno energica contrazione dell'arto anodico alla chiusura e viceversa all'apertura, mentre nell'altro stadio (terzo) cessa la contrazione anodica di chiusura, per giungere al quarto stadio in cui cessa pure la contrazione catodica di apertura. Il secondo stadio non si può riferire ad una diminuita velocità di trasmissione della eccitazione nell'arto anodico alla 162 E. OEHL chiusura e nel catodico all' apertura , pel motivo che ecci- tando contemporaneamente e bipolarmente i due nervi nei pa- raggi polari dell'unica corrente, si ha contemporanea contrazione dei due arti. In relazione a quanto si ritiene sulle modificazioni molecolari dell'elettrotono nei nervi, questo secondo stadio potrebbe essere invece riferito ad inerzia d' insorgente anelettrotono e di cessante catelettrotono fisico, inerzia, che per quest'ultimo aumenterebbe nel terzo stadio al punto da eliminare la contrazione catodica di apertura e che estendendosi nel quarto stadio, all'insorgente anelettrotono, darebbe pur luogo alla mancata contrazione anodica di chiusura. Inerendo infatti all'ipotetico atteggiamento elettrotonico delle molecole nervose ed agli effetti elettrolitici della corrente sul nervo, si potrebbe supporre : 1° Che il passaggio alla orientazione bipolare ed il ritorno alla peripolare, per la iniziale integrità del nervo e per una con - seguente mobilità in ogni senso delle molecole nervose, fosse in origine tanto vivido, da riuscire eccitante per ambo i tratti po- lari, tanto alla chiusura, quanto all'apertura. 2" Che per successiva alterazione elettrolitica o cadaverica del nervo, siasi talmente modificata la sua costituzione, da per- mettere 0 da favorire una orientazione bipolare catodica e da ostacolare invece un opposto movimento di orientazione bipolare anodica delle molecole nervose, d'onde una tensione peripolare di queste ultime, rispetto ad una opposta tensione bipolare delle prime. Dalle quali opposte tensioni verrebbe rispettivamente fa- cilitato il ritorno alla orientazione peripolare delle molecole ano- diche, ostacolato quello delle catodiche. Ciò risulta più chiaramente mediante il sussidio della fig. 2, che rappresenta quattro coppie (1,2 — 3,4 — 5,6 — 7,8) di mo- lecole nervose in orientazione peripolare ( con emisferi bianchi negativi) per apertura di circuito voltaico in direzione -\ . Chiudendo il circuito, le molecole nervose si orienterebbero in modo da volgere al polo positivo o negativo il loro elemento eteronimo. Dovranno quindi orientarsi a + i loro elementi ne- gativi, a — i loro elementi positivi. Il che si otterrebbe am- mettendo, che le molecole 1, 4 roteino nel senso delle freccie m n per assumere l'orientazione di l' 4'; che le molecole 6, 7 i-oteino nel senso delle freccie o, p per assumere l'orientazione ECCITAZIONE VOLTAICA DEI NERVI 163 di 6' 7'; donde il passaggio dalla precedente peripolare all'at- tuale disposizione bipolare, che nel tratto interpolare è opposta (in direzione delle freccie x x) a, quella dei tratti extrapolari (in direzione delle freccie ^ s) . Fio. 2. Come però in forza dell'annunciata ipotesi, è mantenuta e supponibilmente anche facilitata la mobilità delle molecole cato- diche 6, 7 nella direzione o, p, cosi vengono esse ad acquistare in 6' 1' , una tensione bipolare, che all'aprirsi del circuito ral- lenta la loro restituzione alla orientazione peripolare (in 6, 7), che deve compiersi nel senso della minore mobilità, vale a dire, in una direzione opposta a quella delle freccie o, p. E come, invece, è diminuita la mobilità delle molecole anodiche 1, 4 nella direzione m, n, cosi vengono esse ad acquistare in l', 4' una ten- sione peripolare, che all'aprirsi del circuito accelera la loro re- stituzione alla corrispondente orientazione in 1, 4, la quale deve compiersi nel senso della maggiore mobilità, vale a dire in una direzione opposta a quella delle freccie m n. Questa ipotesi deve essere coordinata alla dimostrata necessità di una data vividezza del movimento eccitante (stimolo) perchè ne venga da esso l'effetto della eccitazione. Nel caso nostro lo stimolo immediato che determina lo sco- nosciuto ma indubitabile movimento molecolare (ondulatorio o vibratorio) di eccitazione trasmissibile nel nervo, non è la cor- rente voltaica in se stessa, ma è l'orientazione che essa deter- mina nei tratti polari. Avviene per questa, come per la eccitazione 164 E, OEHL meccanica, che non sia direttamente la pressione o lo stiramento che si esercita sul nervo quello che lo eccita, sibbene lo sposta- mento delle molecole nervose avvicinate od allontanate , quello che suscita in esse un trasmissibile movimento di eccitazione, nella identica guisa che la circoscritta pressione esercitata sovra un punto di circuito bimetallico, senza estendere i suoi effetti mec- canici a tutto il circuito, determina però nel medesimo, col mo- vimento molecolare di orientazione elettrica , lo svolgimento di una corrente. E come la eccitazione meccanica può fallire per soverchia lentezza od inerzia di spostamento molecolare, così può fallire la eccitazione voltaica, quando il movimento di orientazione destato da essa nelle molecole nervose sia tanto inerte, da spe- gnersi nella resistenza che incontra per trasformarsi in movimento di eccitazione Da tali premesse si evince, che nelle nostre esperienze, la ori- ginaria contrazione bilaterale del primo stadio, contrapposta alla unilaterale del quarto, potrebbe essere non tanto l'effetto di una diminuita eccitabilità del nervo, che è quanto dire di una sce- mata mobilità ondulatoria o vibratoria delle sue molecole, quanto invece di una deficenza relativa dello stimolo immediato, o del movimento di orientazione molecolare indotto dal chiudersi e dal- l'aprirsi di un circuito voltaico di costante intensità. Si com- prende infatti come lo stesso circuito , modificando al massimo la costituzione del nervo nelle zone polari , possa pure modifi- carne la mobilità elettrica delle molecole, destatrice della ecci- tazione, senza modificare sensibilmente la eccitabilità del nervo' o la disposizione delle sue molecole a risentire gli effetti della eccitazione Gli è per questo che noi , senza punto addentrarci in una questione, che tanto più crediamo intempestiva, quantochè abbi- sognevole di altro studio sperimentale, non ci siamo arrischiati di riferire il diverso contegno del nostro preparato, nelle varie accennate fasi, ad un diverso grado di eccitabilità del medesimo, ma ci siamo invece arrestati al fatto indiscutibile del diverso grado di freschezza. Fatto indiscutibile nel senso, che sebbene il ripetuto e fre- quente avvicendarsi delle chiusure e delle aperture del circuito, acceleri il passaggio dalla prima alla quarta fase, il che potrebbe essere riferito ad azione elettrolitica , pure questo passaggio ha Ittogo istessamente, in tempo men breve, anche quando il nervo, ECCITAZIONE VOLTAICA DEI NERVI 165 senza aver subite queste prove , abbia presumibilmente risentita una semplice modificazione cadaverica. E siccome per tale contingenza è genericamente inducibile e dimostrabile nel nervo una diminuzione di eccitabilità, cosi po- trebbe essere anche inferibile, che l'acceleramento indotto nella insorgenza della quarta fase dalle ripetute aperture e chiusure del circuito, fosse un effetto sommario di scemata mobilità elettro- tonica ed eccitatoria delle molecole nervose, benché in un primo periodo di questa azione risulti dimostrata la influenza (per lo meno prevalente) sulla mobilità elettrotonica dalla accennata cir- costanza, di poter, cioè, ritornare dalla quarta alla prima, o ad una intermedia fase, mediante l'invertimento del circuito. Coordinando adunque la ipotesi della scemata mobilità elet- trotonica delle molecole nervose colla dimostrata necessità di una data vividezza dello stimolo efficace, dovrebbe avvenire appunto, che tale riuscisse soltanto alla chiusura il più vivido movimento di orientazione bipolare catodica, e tale soltanto all'apertura il più vivido movimento di orientazione peripolare anodica, e che si avessero di conseguenza rispettivamente : la sola eccitazione di chiusura al catodo, la sola eccitazione di apertura all'anodo, ve- rificandosi di tal guisa il quarto stadio della contrazione , cioè, unilaterale, dell'arto catodico alla chiusura, dell'arto anodico all'apertura. Alla stessa interpretazione però si prestano anche gì' inter- posti stadi, secondo e terzo. Non si tratta infatti che di una differenza di grado, poiché quando in un secondo stadio è appena iniziata la minore mo- bilità delle molecole nervose nel senso indicato, non mancheranno, ma dovranno essere meno intense le eccitazioni anodica di chiu- sura e catodica di apertura, e conseguentemente più intense le op- poste eccit{"-zioni catodica di chiusura ed anodica di apertura. E per la minore intensità delle prime, essendo presumibilmente inva- riata la resistenza alla trasmissione della eccitazione, un ritardo alla medesima, sperimentalmente dimostrato anche da H. Munk, ed una conseguente anticipazione delle più energiche contrazioni catodica di chiusura ed anodica di apertura Il terzo stadio di persistente contrazione bilaterale alla sola chiusura, accennerebbe ad un crescente rallentamento di' orienta- zione peripolare delle molecole 6', 7', per cui manca la contra- zione catodica di apertura; crescente rallentamento che dal polo 166 E. OEHL negativo estendendosi al positivo, darebbe luogo, nel quarto stadio, alla pur mancante contrazione anodica di chiusura per rallentata orientazione bipolare delle molecole 1, 4. Questa direzione in cui cresce dal polo negativo al positivo il rallentamento di orientazione molecolare sarebbe pur dimo- strata dalla circostanza: che quando, nel secondo stadio, non appare con sensibile contemporaneità la precedenza della contra- zione catodica di chiusura ed anodica di apertura, quest'ultima é in genere quella che primamente si verifica. Vale a dire, che inerendo alla interpretazione risultante dalla fig. 2., incomincia a riflettersi sulla intensità e conseguente celerità di trasmissione della eccitazione il rallentamento di orientazione peripolare delle molecole 6' 7', che estendendosi poi al polo positivo , dà luogo alla successiva precedenza della contrazione catodica di chiusura per corrispondente rallentamento di orientazione bipolare nella stessa direzione delle molecole 1, 4. E lo sarebbe pure dall'altra circostanza, che quando nel quinto stadio si verifica una sola contrazione , anodica di aper- tura 0 catodica di chiusura, la prima è quella che più frequen- temente segna il passaggio al sesto stadio di completo silenzio. Il che verrebbe a significare, che mantenendosi residua la sola contrazione catodica di chiusura, si mantiene ancor vivo il mo- vimento di orientazione bipolare delle molecole 6, 7, quando già ad ambo i poli sono diventate inefiicaci le orientazioni peripo- lari, ma che più generalmente l'anodica di esse è quella che man- tiene per ultima la propria efficacia. Ed anzi osservai, che quando si verifica una tale contingenza, essa ha luogo per ambo gli arti, tanto se si scambino sui reofori, quanto se s' inverta la direzione della corrente. A questo punto però, si potrebbe muovere la dimanda : del come avvenga , che sperimentando sovra un solo arto, si otten- gano quei già enunciati criterii, che io dissi di avere pure, benché non sempre constatati, e che a ragione si ritengono dimostrativi della eccitazione catodica di chiusura ed anodica di apertura. Qui sta appunto, se pur non m'inganno, il motivo, per cui credo meritevole di considerazione il metodo sperimentale da me proposto. Con questo metodo infatti, non avvenendo alcuna recisione di nervi e tenendosi essi anzi in comunicazione coi loro centri, è presumibile che mantengano per maggior tempo le condizioni ECCITAZIONE VOLTAICA DEI NERVI 167 inerenti alla loro vitalità. Ciò sembra confermato dalla circo- stanza, che la sopraggiungenza della contrazione unilaterale si ac- celera non solo colla ripetizione della corrente, che agisce elet- troliticamente su essi, ma eziandio colla distruzione dell'inter- medio midollo, che separando i nervi dai loro centri ne favorisce probabilmente l'alterazione, mentre per l'opposto, la contrazione unilaterale ritarda in genere colla maggiore lunghezza dell'inter- posto midollo, o colla maggiore abbondanza di quella sostanza nervosa centrale, che tanto sembra influire a mantenerne la inte- grità . D'altra parte con questo metodo, che offre alla diretta os- servazione un arto catodico ed un arto anodico, siamo sempre si- curi che la eccitazione avvenne o sempre ad ambo i poli, o sol- tanto alla chiusura o all'apertura, o che avvenne invece ad un solo polo, a seconda che osserviamo contrazioni bilaterali di chiu- sura ed apertura, ovvero di sola chiusura od apertura, ovvero finalmente contrazioni unilaterali. 11 metodo invece dell' unico arto , quale almeno dagli stessi suoi citati criteri dimostrativi, risulterebbe adoperato da Pfliiger, siccome quello che è presumibilmente meno propizio a favorire la integrità del nervo, lascia legittimo adito al dubbio, che la da lui riscontrata esclusività iniziale della eccitazione catodica di chiusura ed anodica di apertura sia già un effetto della sua al- terazione. E notisi che questo riscontro non è basato sulla diretta e contemporanea osservazione della inattività di un arto anodico alla chiusura e catodico all'apertura, ma è basato invece sui criteri anzidetti e riassuraibili , come vedemmo, per le correnti ascen- denti: nel ritardo della contrazione di chiusura rispetto a quella di apertura: nella elisione della prima e non della seconda per recisione interpolare del nervo : nella persistenza, per la stessa re- cisione, del tetano di apertura, desistente invece a correnti di- scendenti. Quanto al primo criterio, l'esperienza mi avrebbe dimostrato, che quando lo si ottiene, il nervo è già entrato nella quarta delle nostre fasi, poiché se sul nervo di uno degli arti della rana pre- parata nel mio modo ed adagiata sull'apparecchio a C aperto, si applica una corrente ascendente dello stesso elemento Grove, e si constata il ritardo della contrazione di chiusura rispetto a quella di apertura, aprendo questo circuito e chiudendo C, si 108 E. OEHL ottiene la contrazione unilaterale catodica di chiusura ed ano- dica di apertura , mentre in un tempo precedente lo stesso preparato aveva offerta la contrazione bilaterale di chiusura ed apertura. Quanto al secondo criterio, esso è meno facile ad ottenersi del primo, poiché per questo si tratta soltanto di ripetere l'os- servazione , fino a tanto che siasi verificato il caso del ritardo nella contrazione di chiusura, mentre invece per quello si tratta di recidere il nervo nel tratto interpolare, colla indicazione di rinnovare l'esperienza sovra altri arti, fino a tanto che l'esito corrisponda alla aspettativa. Verificandosi ora, come assai volte si verifica, la contrazione, malgrado la recisione, ed escludendo che quest'ultima sia avvenuta o troppo presto, prima della chiusura, 0 troppo tardi dopo di essa, la permanenza di questa contrazione dovrà significare che nella chiusura ebbe pur luogo la eccita- zione anodica, e i casi relativi, che controllati col nostro metodo, avrebbero dato la contrazione bilaterale, verrebbero a contrap- porsi, come prima o seconda delle nostre fasi, agli altri, che per riuscita abolizione di una delle contrazioni , corrisponderebbero alla terza o quarta delle fasi suddette. Quanto al valore dimostrativo del tetano di apertura, persi- stente o desistente alla recisione interpolare di nervi percorsi da corrente ascendente o discendente, non mi perito di apprez- zarlo, per la grande incostanza e per la conseguente grande in^ certezza di questo criterio, quale almeno è a me risultato tanto per la frequente mancanza del tetano di apertura, quanto anche per la non infrequente presenza di un tetano di chiusura, spe- cialmente nei casi di eccitazione dei due nervi comunicanti per interposto midollo. Dal riassunto di tali considerazioni, parmi risulti, se non altro^ giustificata l'indicazione del proposto metodo di sperimentazione, il quale, volendo anche prescindere da ogni teorica interpreta^ zione che mi permisi d'introdurre, dimostra indubbiamente il fatto costante : che in una prima fase di relativa integrità del nervo, esso è eccitato ai due poli, tanto alla chiusura qiianto all' apertura di un circuito voltaico di modica e costante intensità. Questo fatto , escludendo il valore eccitante del solo insor- gente catelettrotono e del solo cessante anelettrotono fisico e coordinando gli effetti alle cause motrici che ideqticamente §i ECCITAZIONE VOLTAICA DEI NERVI ■ 169 svolgono ai due poli, riconduce al più logico assunto aprioridico : che in una prima fase di relativa integrità del nervo, devono agire eccitando rispettivamente al polo negativo e positivo V insorgente ed il cessante cala- ed anelettrotono (1). (1) Stavo correggendo le bozze di questa Vlemoria i quando venni in co- gnizione di una obbiezione mossa alle due precedenti mie sullo stesso argo- mento, dal Referente di esse nel 15" voJ. del Jahresbericht ueber die Fott- schritte der Anatomie und Physiologie, Leipzig, 1887, pag. 21 e 22 della paite fisiologica. L'obbiezione cui accenno è tanto concisamente formulata, che, onde pren- derla in quella considerazione che è richiesta dalla eompetenza del Referente, deve essere ponderata e chiarita ancho, ove occorra, in concorrenza del me- desimo. Come pei'ò ha essa per fondamento l'addebitatami inavvertenza di un anode e di un catodo fisiologico al punto di sezione, e come la presente Memoria, a differenza delle precedenti, verte sulla eccitazione anodica e ca- todica di nervi non sezionati , così ho fiducia, che mancando la condizione fondamentale di detta obbiezione, possa essa avere, dal principale fatto enun- ciato nella medesima, una adeguata risposta. 170 Sul xnoccsso normale di ossificazione ; Osservazioni del Dott. Dkogoul Studiando la parte che la scissione indiretta degli elementi prende nello sviluppo normale dell'osso, lio potuto rilevare alcune particolarità che contribuiscono a rischiarare la questione tanto controversa della ossificazione. L'osservazione è stata portata su un gran numero di ossa e cartilagini in diverso periodo di sviluppo e di accrescimento, tratte da mammiferi di diverse specie ; e i metodi di esame furono quelli descritti dal Flemming e dal Prof. Bizzozero per la dimostrazione delle mitosi, e quelli più usuali della tecnica microscopica per lo studio del tessuto osseo. Confermato il fatto già noto che le cellule ossee non si mol- tiplicano e che l'attività riproduttiva spetta agli elementi carti- laginei, periostei e midollari, ho determinato il rapporto in cui, a seconda del periodo di sviluppo, si trovano le mitosi in questi organi. In un osso lungo di embrione, prima che siano ossificate le epifisi, si nota moltiplicazione attiva degli elementi negli strati corticali delle epifisi (fig 1), e scarsa negli strati centrali e nelle colonne che formano la cartilagine epifisaria, nonché nello strato osteoblastico del periostio e negli osteoblasti che circondano le trabecole centrali della diafisi. Di qui una sproporzione marcata fra la grossezza dell'epifisi e quella della diafisi che si presenta esile e corta. Nei punti dell'epifisi ove in seguito si formerà una sporgenza, gli elementi si moltiplicano maggiormente e appajono più stipati, con poca sostanza fondamentale interposta. Avvenuta l'ossificazione dell'epifisi scompajono le mitosi dagli strati corticali che rappresentano la cartilagine articolare, ma se ne trovano ancora negli strati profondi in vicinanza delle tra- becole (fig. 2, a). SUL PROCESSO NORMALE DI OSSIFICAZIONE 171 Nelle colonne cartilaginee del disco intermediario si trovano numerose mitosi negli strati piìi elevati (fig. 3, e), ove le cel- lule sono piccole e schiacciate, ma non se ne trovano alla base delle colonne, ove le capsule sono considerevolmente dilatate e i nuclei delle cellule hanno subito un corrispondente ingrossamento e presentano scarsa cromatina raccolta in pochi accumuli peri- ferici (fig. 3, f). Questi grossi elementi pare che si distruggano quando l'invasione dei vasi dalla parte del midollo, ne apre le capsule. Non si trova mai di questi nuclei ingrossati frammisti agli elementi midollari fra le trabecole della diafisi. Il processo di ossificazione che, a parte la disposizione degli elementi cartilaginei, era considerata analoga nella diafisi e nel- l'epifisi, pare che in questa si compia altrimenti. Infatti nell'e- pifisi le capsule cartilaginee degli strati profondi sono bensì in- grandite ma i nuclei non lo sono, o pochissimo, né si presentano mai poveri di sostanza cromatica (fig. 2, h). Di più: questi ele- menti sono capaci di scindersi per cariocinesi e di queste se ne trovano in capsule già a contatto con anse vascolari ed elementi midollari. Non è raro trovare di questi nuclei, così distinti per la grossezza e pel modo di colorarsi , in capsule già aperte o addirittura frammisti agli elementi midollari. La deposizione dei sali calcari si inizia talora attorno a capsule chiuse e non è im- probabile che il nucleo della cellula cartilaginea rimanga circon- dato da sostanza ossea, trasformandosi in un nucleo di cellula ossea (fig. 2). Questa opinione è confortata dal trovare spesso accanto ai nuclei sferici ordinari altri nuclei, e questi sempre nelle capsule più vicine alle trabecole, i quali sono piccoli, contratti, ricchissimi di cromatina , spinti contro un punto della parete della capsula o tenuti al centro da un protoplasma raccolto a guisa di reticolo. Nella parte dell'epifisi che aderisce alla cartilagine epifisaria , destinata a provvedere gli elementi per l'aumento in lunghezza della diafisi e in parte anche per le tra- becole dell'epifisi , la deposizione dei sali calcari attorno e fra le capsule cartilaginee pare ancora più evidente e non si può quasi dubitare che i nuclei delle cellule cartilaginee si con- servino per costituire le cellule ossee (fig. 3, e). Nel periodo postembrionario entrano in attività gli osteoblasti dello strato profondo del periostio , più specialmente nel punto ove questo termina confondendosi colla periferia del disco di os- sificazione e colla cartilagine articolare. L'attività degli elementi Atti R. Accad. - Parte Fisica — Voi. XXIV. 13 172 DROGOUL alla periferia della cartilagine di incrostazione pare destinata a provvedere al suo accrescimento ; perchè, come fu detto, .in essa non si trovano più mitosi nella vita postembrionaria e non è pro- babile che diventino elementi di essa quelli degli strati profondi che hanno caratteri tanto diversi. Un altro fattore dell'accresci- mento della cartilagine articolare è dato dall'aumento della so- stanza fondamentale per cui le cellule appajono qui più distanti l'una dall'altra, che non negli strati corticali di un'epifisi ancora cartilaginea. Anche gli osteoblasti che circondano le trabecole ossee si mol- tiplicano attivamente e più nella fitta rete di trabecole della so- stanza spongiosa dell'epifisi, che in quella della diafisi. Nelle ossa corte si osservano mitosi numerose nella cartila- gine temporanea durante la vita embrionaria e se ne riscontrano, a ossificazione progredita, negli strati profondi della buccia car- tilaginea che le avvolge (fig. 4). In un periodo più avanzato nelle porzioni di cartilagine che entrano a costituire le piccole giunture si trova qualche mitosi negli strati profondi, nessuna nei super- ficiali ; se ne hanno inoltre nel periostio e nelle cellule condroidi che si trovano al limite fra le cartilagini articolari e le capsule e i legamenti. Nelle ossa craniane si moltiplicano per mitosi gli elementi del connettivo che forma le fontanelle e le suture, ma soltanto negli strati più vicini alla sostanza ossea , che sono come una conti- nuazione dello strato osteoblastico del periostio della superficie esterna deirosso. In questo periostio sono pur numerose le mitosi, mentre sono rarissime negli osteoblasti che sono attorno alle trabecole della diploe. Negli ostoeblasti che rivestono la superficie interna del- l'osso non ho potuto riscontrare delle mitosi. Nelle cartilagini permanenti, cartilagini costali e false coste, l'accrescimento avviene per moltiplicazione degli elementi preesi- stenti tanto negli strati centrali, quanto nei periferici (fig. 5). 11 pericondrio presenta qualche mitosi nello strato profondo, ma non pare menomamente destinato a produrre cellule cartila- ginee ; quegli elementi degli strati a contatto colla cartilagine i quali presentano mitosi , sono decisamente elementi carlilaginei e non appartengono più al pericondrio. La zona di ossificazione delle coste si comporta come quella di un osso lungo. SUL PROCESSO NORMALE DI OSSIFICAZIONE 173 Concludendo adunque si può ritenere che il tessuto osseo per se non è capace di aumentare di volume, ma a ciò si richiede l'attività degli elementi delle cartilagini, del periostio e del mi- dollo che apportino nuovo tessuto. L'ossij&cazione non avviene allo stesso modo nell'epifisi e nelle estremità della diafisi ; qui è puramente neoplastica, là invece pare in qualche punto metaplastica. Le cartilagini articolari presentano una certa indipendenza dalle cartilagini destinate alla ossificazione per la qualità degli elementi e per la loro fissità, poiché si moltiplicano soltanto gli elementi di passaggio fra esse e le capsule, i legamenti e il pe- riostio, e non mai quelli del corpo della cartilagine. Il pericondrio è paragonabile allo strato esterno del perio- stio, e le sue funzioni sono limitate alla sola protezione della cartilagine senza prender parte alcuna al suo accrescimento. 174 DROGOUL - SUL PROCESSO D 'OSSIFICAZIONE SPIEGAZIONE DELLE FIGURE FiG. 1. Sezione longit. della testa del femore di gatto neonato (Zeiss. oc. 2, obb. C). a) legamento rotondo. FiG. 2. Sezione longit. della testa dell'omero di cavia di 11 giorni (Zeiss oc. 2, obb. E). a) mitosi nelle cellule cartilaginee profonde; h) Capsula cartilaginea con un alone scuro per pre- cipitazione di sali calcari (Colorazione coll'ema- tossilina), e nucleo raggrinzato; e) Cellule ossee ; d) Trabecole dell'epifisi ; e) Cellule cartilaginee con capsula aperta. FiG. 3. Cartilagine epifisaria di omero di cavia di 7 giorni (Zeiss. oc. 2, obb. E), a) Zona delle colonne cartilaginee; h) Trabecole dell'epifisi; e) Mitosi nelle cellule cartilaginee disposte in colonna ; d) Mitosi nelle cellule disperse sopra le colonne ; e) Cellule cartilaginee in mezzo a sostanza fondamen- tale in cui sono depositati sali calcari ; f) Cellule cartilaginee con nucleo grosso in via di di- sfacimento. FiG. 4, Sezione di un piccolo osso del metatarso di cavia di 11 giorni (Zeiss. oc. 2, obb. E). FiG. 5. Sezione di cartilagine costale di coniglio di 6 giorni (Zeiss. oc. 2, obb. E), a) Pericondrio e zona di passaggio da questo al tessuto cartilagineo; h) Cartilagine con mitosi. L'Accademico Segretario Giuseppe Basso. Ta\-. I\' h'uj. I * Fu/. V, m^ ■^ '' j«P # •S) 57.; ^ '^•, C/ /'/y. -J /vr/. -/-. % -^ ^ji ■■&> A /»; <«> '0? h /. -i » ■• "^ '.*,-. :-^ '>Ì ' •* ^- ^ '^ •^ .;@ «9 57» «>:5 J^ rO .-p - ..:., -, .^ ^ Q,^ ' \.T & Tt ^* ■^, V^ ■£'Jb~ %. ^ ! /V^ ^jj, -> ^. y ■ '/' A' fi^. 5. • ®> -:^ .^ ^- ^„ "^ ti Lìl.Salussol ia , Tonno. PREMIO BRESSA 175 GIUNTA ACCADEMICA PER IL PREMIO BRESSA Programma pel settimo premio Bressa La Eeale Accademia delle Scienze di Torino, uniformandosi alle disposizioni testamentarie del Dottor Cesare Alessandro Bressa , ed al Programma relativo pubblicatosi in data 7 Settembre 1876, annunzia che col 31 Dicembre 1888 si chiuse il Concorso per le opere scientifiche e scoperte fattesi nel quadriennio 1885-88, a cui erano solamente chiamati Scienziati ed Inventori Italiani. Contemporaneamente essa Accademia ricorda che, a cominciare dal 1° Gennaio 1887, è aperto il Concorso pel quinto premio Bressa, a cui, a mente del Testatore, saranno ammessi Scien- ziati ed Inventori di tutte le Nazioni. Questo Concorso sarà diretto a premiare quello Scienziato di qualunque Nazione egli sia, che durante il quadriennio 1887-90, « a giudizio dell'Accademia delle Scienze di Torino, avrà fatto « la più insigne ed utile scoperta, o prodotto l'opera più celebre « in fatto di scienze fisiche e sperimentali, storia naturale, ma- « tematiche pure ed applicate, chimica, fisiologia e patologia, non « escluse la geologia, la storia, la geografia e la statistica. » Questo Concorso verrà chiuso coll'ultimo Dicembre 1890. La somma destinata al premio sarà di lire 12000 (dodicimila). Nessuno dei Soci nazionali residenti o non residenti dell'Ac- cademia Torinese potrà conseguire il premio. Torino, 1° Gennaio 1889, Il Presidente dell'Accademia A. GENOCCHI. Il Segretario della Giunta A. NACCARI, SOMMARIO Classe di Scienze Fisiclie, Matematiche e Naturali. ADUNANZE del 30 Dicembre 1888 e 13 Gennaio 1889 . . Pag, 139 Basso — Commemorazione del conte Paolo Ballada di Saint-Robert » 141 Oehl — Nuove esperienze sulla eccitazione voltaica dei nervi ...» 151 Droqoul — Sul processo normale di ossificazione » 170 •-♦•>- Torino - Tip. Reale-Paravia. ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI VoL. XXIV, Disp. 6=" 1888-89 Classe di Seienzc Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO ERMANNO LOESGHER libraio della R. Accademia delle Scienze 177 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATUEALI Adunanza del 27 Gennaio 1889. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, Lessona, Salvadori , Bruno, Basso, D'Ovidio, Bizzozero, Ferraris, Mosso, Girelli, Gia- COMINI. Si legge Fatto verbale dell'adunanza precedente che è ap- provato. Tra le pubblicazioni offerte in omaggio alF Accademia ven- gono segnalate le seguenti : « Nuove figure elettriche; » Nota del Prof. Augusto Kighi, Corrispondente dell'Accademia, presentato dal Socio Basso. « Cycìones et tromhes » , del Prof. Giovanni LuviNi ; opu- scolo che fa seguito ad un altro collo stesso titolo del medesimo autore, presentato pure dal Socio Basso. A nome del Socio Naccari, viene presentata dal Socio Basso la seguente Memoria del Prof. Ciro Chistoni , dell'Università di Modena: « Sul calcolo del coefficiente magnetometrico per i magnetometri costrutti secondo il metodo di Gauss modificati da Lamont » Aui R. Accad. - Parte Fisica — Voi. XXIV. 14 178 CIRO CHISTONI LETTURE Sul calcolo del coefficiente magnetometri co per i magnetometri costrutti secondo il metodo di Gauss , modificato da Lamont ; Nota del Prof. Ciro Chistoni È noto che per i magnetometri, costrutti secondo il metodo di Gauss, modificato da Lamont, tali che portino l'asta, sulla quale si colloca il magnete delle oscillazioni, quando viene usato come magnete deviatore, così che la direzione di questa stia in un piano verticale perpendicolare al piano verticale, che passa per l'asse magnetico del magnetino delle deviazioni, la formola che dà il rapporto fra la componente orizzontale H del magnetismo terrestre ed il momento magnetico M a 0° di temperatura del- l'ago delle oscillazioni è dato dalla formola: H 2 (ì—ar)(l—hHsen(ù) /^ p M M^{l + 3^T)sen(P \ R" {1+2 [ór) --^^^- )■ I (1) ì?*(1+4[3t) nella quale © è la deviazione dell' asse magnetico del magnete sospeso, dal meridiano magnetico, quando questo magnete si trovi sotto l'azione dell'ago delle oscillazioni alla distanza B; a ed. h sono rispettivamente i coefficienti di temperatura e di induzione dell'ago delle oscillazioni ; r la temperatura dell'asta metrica e dell'ago delle oscillazioni e ^ è il coefficiente di dilatazione li- neare della sharra sulla quale si misurano le distanze R. Questa sbarra in generale è di ottone, per la qualcosa [3 = 0,000018. jj, q ecc. sono coefficienti , che dipendono dalle dimensioni dei due magneti, che si adoprano per la misura delle deviazioni e dalla distribuzione del magnetismo in essi. SUL CALCOLO DEL COEFFICIENTE MAGNETOMETRICO 179 Tanto il Lamont (^') quanto il Lloyd (^■^) con considerazioni teoriche, ottennero così espressi i valori di p e di q 2) = 0,1806(2P-3?/) nelle quali / è la lunghezza del magnete deviatore, ossia delle oscillazioni ed /, è la lunghezza del magnetino deviato. I valori di 2^ 6 di q, che si deducono praticamente, corrispondono con una certa approssimazione ai valori teorici ; per la qualcosa si può con- cludere che se si arriva a dare ai due magneti lunghezze tali che 45 2l^-\hlU; + — l,'< = 0, (2) 8 la formola (1) si ridurrà alla più semplice: H ^2il-ar){l-hHsen li ri- sulta /, = 0,47. Generalmente i magnetometri che ora sono in uso in Italia soddisfano a questa condizione, con sufficiente approssimazione, cosicché a questi è applicabile la (3). Chiamo il p> della (3) col nome di coefficiente magnetometrico. Per avere p) non sarebbe prudente di calcolarlo colla formola teorica; ed in pratica difatti si deduce p nel seguente modo. Si fanno misure di deviazioni a due distanze B, ed J?^, otte- nendo così le deviazioni (p, e «p^ alle temperature r, e r^ ; posto 2 (1 -aT,)(l - hH^exi(D)__ 2 (l - «rj(l-/? ifsen^J _ /i'/(l + 3,6-,)sen9 ~ Ji'; (1 + 3|3t,) sen®, ~ * (*) Handbuck des Erdtnagnetismus uiid Handbuch des Magnetismus- (**) On the det. of the Intens., etc. (Tran, of the Ii-ish. Acad. voi. XXI). Per i coefficienti si abbia speciale riguardo alla Memoria dello Schnee- BELi: Beitrage sur Kenntniss des Stabmognetismus (Pogg. Ergànzungsbd. VI S. 14). 180 CIRO CHISTONl ed ammesso che H non varii durante le esperienze, si giunge facilmente alla seguente forraola: ^ = éiH^i^ (4). A^ A^ ì^/(1 + 2(3tJ ì?.^(1+2(3t.) Siccome il valore di p si deduce sempre da una lunga serie di osservazioni, così l'uso di questa formola riesce faticoso ; e perciò si è cercato di ridurla ad una espressione più facilmente calcolabile. A Greenwich difatti, è da molti anni che si calcola il valore di p colla formola più semplice l) = cost.(l+2|3T,)(log^, -log A) (5), che si deduce con facilità dalla (4) ridotta alla forma (J-l)j^.Ml+2^^.) ^- e;(i+2/3t.) a, (^^• J?;(l+2[^rJ A A Difatti se sviluppiamo in serie — -^ otteniamo : -^=l+log„,,-^ + — log\,,-^ + ^-2-3log\.-^+... E poiché —^difficilmente può raggiungere il valore 0,988, al massimo 0,00007, quantità trascurabile rispetto ad 1 ; e perciò più brevemente si può ritenere - = l+log,,,- , che posto nella (6) dà (log A-log^) + 1^ 1 1 + 2(3 (r. - T^l - 1 |loge ^^^ i^/(l+2^T.)aog^^-log^,) SUL CALCOLO DEL COEFFICIENTE MAGNETOMETRICO 181 Se al clenominatore di questa frazione si pone (log. A^-\og.A,) = 0 la (7) si riduce alla (5), come vedremo. In questo lavoro mi propongo di esaminare quale sia l'ap- prossimazione da raggiungersi nei termini della frazione che esprime 2?, per le misure assolute degli elementi del magnetismo terre- stre, che da anni si fanno in Italia, se sia lecito di ritenere (log. ^^ — log. A,) = 0 al denominatore, e se il numeratore 8Ìa riducibile a forma più semplice. Nelle misure della componente orizzontale H del magnetismo terrestre, che si fanno in viaggio, si richiede l'approssimazione dH — r=:=t0,0005 . Ja Quando le misure delle deviazioni si facciano alla distanza R, è noto che l'approssimazione di p va calcolata colla per la qualcosa, se lì, è la minima distanza che si adotta in un sistema di misure, la approssimazione massima richiesta in 2^ sarà espressa dalla dl) = ±2R'-~ = ±0,00ìR,\ Posto i\r= J2_^ (1 + 2|3t.) (log A -log^.) D==(logA-log^.)+ |^.[l + 2/3(r,-T0]-l loge , SI ottiene : p=i — —, OD = ±0,001 — -^— —- (*) log ^^- log ^. dN = ±0,001DR' . (*) Il fattore (1+2jStj) che moltiplicherebbe (log. .^é^ — log A^) può rite* nersi uguale ad 1, senza errore sensibile, come vedremo. \32 CIRO CHISTONI In pratica si assumono sempre i valori di B^ e di B^ per modo che E^ = 1,3E, circa; cosichè il valore di /^^-ijloge è di circa -0,18 . 11 valore di (log^.-logyl.) , ben difficil- mente raggiunge 0,005, e per conseguenza la massima appros- simazione richiesta in D sarà 0D = d=0,006 . Perciò in generale al denominatore della (7) si potrà tra- scurare (log. A, - log. A,). Di più, siccome il valore di (r. -tJ ben difficilmente raggiunge l'unità, così il fattore di correzione (1 +213 (-, — tJ ) sarà sempre trascurabile. E sarebbe trascura- bile anche' se fosse (T,-r,) = ±6; nel qual caso però dovreb- bero senz'altro essere rigettate le osservazioni, perchè se durante il tempo (venti minuti circa per una persona pratica, non più di un'ora per un principiante) nel quale si fanno le due osser- vazioni di deviazioni, avvenisse una variazione di temperatura di anche soli tre o quattro gradi, non sarebbe possibile che l'asta metrica ed il magnete deviatore seguissero tale variazione di temperatura nemmeno coll'approssimazione di un grado. Perciò la espressione di D può essere cosi ridotta (^) : e per conseguenza, per quanto si disse, il valore di D è circa -0,18. L'espressione generale di N, quando pel momento si trascuri il fattore di correzione (1 + 2(3t,), può essere così ridotta: [log[l+«(T.-Tj] + log[l + Ai?(sen9,-sen^j]4-l ^-^•| +log[l + 3|3(r.-0]+logjji + log— _ j (*) La (7) quindi diventa R,^ (1 + 2 (3 t,) (log A^ — \ogAi) e poiché in una serie di osservazioni sono costanti i?, ed T?^ essa può ri- dursi alla ^ _ ^ost_ (1 + 2 i3 t^) (log A.^ - log A,) che è poi la (,5) della quale si fa uso a Greenwich. SUL CALCOLO DEL COEFFICIENTE MAGNETOMETRICO 183 Attribuendo successivamente ad B, uno dei minimi valori che si assumono praticamente, p. e. ponendo Ti, = 23 {*) ed uno dei maggiori p. e. B, = 30, nel primo caso avremo dN=±0,09 , e nel secondo Di\^=±0,lG . Cominciando dal primo termine del polinomio esprimente N, ammettiamo che il coefficiente a non possa mai superare 0,OOOG ('*). In questo caso, perchè il primo termine fosse trascurabile dovrebbe essere 0,0006 (r,-Tj =:it2(K^ Per la qual cosa sarà sempre bene d'avere dei magneti tali per i quali si ottenga y^ i''^^^ ^ i^ minore dei due ^) mag- giore di G". SUL CALCOLO DEL COEFFICIENTE MAGNETOMETRICO 189 i quali applicati ad un magnetometro costruito dallo Schneider dietro mie indicazioni (*) ed usati ad Aosta diedero per E, = 30 9, == 20", 2 per R^ — 40 9, = 8°, 3 usati a Campobasso per R, = 30 9, = 17°,9 per R, = 40 ©, = 7°,3 Credo che in Italia sia difficile di ottenere dei valori di 9^ maggiori di questi. Poiché non è a credersi che si possa aumen- tare di molto (^j prendendo un magnete delle oscillazioni più lungo di dieci centimetri, perchè in questo caso per avere nella formola esprimente H \ M il solo coefficiente j) della serie converrebbe aumentare proporzionalmente anche la lunghezza del magnetino delle deviazioni il quale acquistando così mag- giore momento magnetico, sia per l' aumento della lunghezza, della sbarra che per l'aumento d'intensità dei due poli , per es- sere deviato di un dato angolo dal meridiano magnetico esige- rebbe una coppia maggiore di quella che basterebbe per deviare dello stesso angolo un magnete di minor lunghezza. E dato anche che si potesse raggiungere lo scopo prendendo per magnete delle oscillazioni un magnete assai lungo, si andrebbe incontro ad un altro grave inconveniente, a quello cioè di dovere servirsi di un magnetometro colossale, il quale oltre ad avere un prezzo assai elevato sarebbe disadatto per le misure in campagna. Po- trebbe anche sembrare che si possa ottenere lo scopo col ridurre convenientemente le distanze R^ ed R^\ ma allora si va facil- mente incontro a molti altri inconvenienti, che è bene evitare. (*) Di questo magnetometro non venne ancora pubblicata la descrizione. Un cenno si troverà nella mia Memoria : Misure assolute degli elementi del magnetismo terrestre fatte nell'anno 1887 ; pubblicata negli Annali della Me- teorologia, voi. Vili, parte I. 190 CIRO CmSTONI In conclusione adunque se col nuovo magnetometro i due angoli (p hanno tale valore da soddisfare alle condizioni volute dall'angolo ©, che sta nel sen (p della formola 11= il valore di ©^ non soddisfa ancora alle esigenze del (p^ che entra nella formola esprimente p. E più che i punti nei quali si faranno le osservazioni andranno accostandosi all'equatore magnetico, tanto più aumenterà questo inconveniente (*). Così, ad esempio, se il Governo italiano volesse fare eseguire delle misure magnetiche nelle regioni di Massaua e di Assab, allora si otterrebbe il massimo d'incertezza nel va- lore di cp^ . Dando a © il valore di 7°; e posto i?, = 30 si avrebbe 0® = ± 10", approssimazione che in viaggio è impossibile ottenere. A questa incertezza si supplisce facendo un grande numero di osservazioni; si deducono per conseguenza molti valori di p, e si prende per valore di p da introdurre nella formola espri- mente H, la media di tutti questi valori. E questo metodo dà sempre buoni risultati; così ad esempio col magnetometro sud- detto da una serie di misure fatte nel giugno e nel luglio 1887 ottenni per media p = 22,04 Da una seconda serie fatta nel settembre 1887 p= 22,27 da una terza serie fatta nel luglio ed agosto 1888 i)=r 22,30 (*j Qui si potrebbe apparentemente fare un grave appunto al sistema di osservazioni adottato in Italia e dire: Se col metodo del Gauss modificato dal Laraont non è possibile di ottenere dei dati colla voluta approssimazione per calcolare p, perchè non lo si abbandona e si adotta un altro metodo ? — A questa obbiezione è ovvio rispondere, perchè date le nostre cognizioni attuali per ciò che riguarda la misura di //, non si ha un metodo migliore di quello di Gauss modificato dal Laraont. Forse si potrebbe supplire col magnetometro bifilare, ma questo sarebbe affatto disadatto per le misure in campagna. SUL CALCOLO DEL COEFFICIENTE MAGNETOMETRICO 191 Ed essendo i^, = 30 consegue Ora i tre suesposti valori di j; differiscono fra di loro molto meno di 0,9, perciò è logico di ritenere che la media di ogni serie di osservazioni ha dato per 2> nn valore sufficientemente ap- prossimato. Siccome poi il valore di 2^ varia col momento magnetico dei due aghi (il quale può variare per uno stesso ago col tempo anche lasciando tranquillo l'ago, può variare sensibilmente in con- seguenza di qualche urto, e varia colla temperatura), così p può variare sensibilmente col variare la temperatura degli aghi (*), E perciò non sarà mai abbastanza raccomandato il metodo delle misure da me sempre seguito; vale a dire quando si debbano stabilire i punti nei quali si abbiano da tare delle misure ma- gnetiche, conviene sceglierli per modo che in quella data sta- gione abbiano pressoché uguale clima, e si deve sempre per ogni serie di misure calcolare il coefficiente p ; e mai fidarsi del valore di p dedotto da precedenti serie di misure. Così ad esempio nel 1885 con un magnetometro diverso da quello ora citato feci quattro serie di misure ; tre di queste (la prima, la seconda e la quarta) in pianura, una (la terza) in regioni alpine; e mentre dalle tre serie fatte in pianura ottenni per p i seguenti valori : 23,72 23,38 23,29 per la terza serie fatta in regioni fredde ottenni: ij = 22,47 Quando per una eventualità qualunque si sia costretti a fare in breve tempo delle misure parte in regioni fredde e parte in regioni calde, sarà prudente di dividere in due la serie di os- servazioni, e calcolare p da una parte per quei punti nei quali la temperatura era alta, e dall'altra parte per quei punti nella quale la temperatura era bassa. (*) In taluni magnetometri p non varia sensibilmente colla temperatura, in tali altri sì; ma in questo caso perchè la variazione sia sensibile, occorre io generale che la temperatura varii almeno di 10". 192 CIRO CHISTONI Per rendere più facile il calcolo di p per mezzo della (8), basta considerare, che nei casi pratici (t, — t^) varia di pochis- simo in una serie di misure; e che quando pure si abbia da tenere calcolo di log [1 + TiJl (san ^, — sen qjj] il valore di (sen (p, — sen ©^ ) varia di pochissimo ; e che per conseguenza ba- sterà fare la media di (r, — t^) e di (sen ®, — sen (j?^) ed intro- durre come costanti questi valori nella (8). Inoltre per una data serie di esperienze sono costanti, R, , J2j , a ed h. La H come coefficiente di correzione in p può rite- nersi come costante, e perciò la (8) può essere così semplificata logp = log Costante + log (log sen cp^ — log sen '^ J + log costante | , / ^ * \ nella quale Costante è sempre positiva poiché I ~ — 1 I log e è negativo ed B^^ è positivo. Quanto alla disposizione da darsi al calcolo per ottenere i valori di p> la cosa è semplice. Si calcola prima di tutto = Costante. log e (¥■-') Si fa la media di (r, — r^) ; e se si deve tenere calcolo di log (l + h H{sen v^ - sen yj) , si fa la media anche di (sencj^ — sen'i^) e poi si calcola log(l+a(r -Tj)+log(l+/iZr(sena;,-sen'^j)+log^3 = log costante , B.' nella quale per (t, — rj e per (senip, — sencpj si introducono le medie suddette. Si dispongono in colonna i diversi valori di ( log sen ^, — log sen (p^ ) e ad ognuno di questi si aggiunge log costante, formando cosi una seconda colonna di numeri. Sopra una terza colonna si seri- SUL CALCOLO DEL COEFFICIENTE MAGNETOMETRICO 193 vono i logaritmi dei numeri della seconda colonna. Si aggiunge a ognuno di questi logaritmi log Costante e si ottiene così una quarta colonna di numeri che sono i log p. Di fianco quindi nella quinta colonna si scrivono i valori di p; i quali non dovranno meravigliare se saranno fra di loro diversi di qualche unità, poiché per esempio fatto '^^=7", ed B, = SO si ha, per drp =12" dp = \ » df = 23" dp = 2 » 0(9 :=■- 35" dp = 3 » d(D = 47" dp = 4: » d(D = 59" dp = 5 Ora può benissimo darsi che durante le osservazioni delle deviazioni, la declinazione varii sensibilmente per modo da ren- dere incerto il valore di ©^ di circa 30", e perciò è possibile di ottenere qualche valore di p) che devii dalla media di tre unità circa. L'Accademico Segretario Giuseppe Basso. — ^3»^)«^s» Torino, Stamperia Ficaie delia Dilla 0. B. Paravia e C 2672 (150) 14-III-89. SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del 27 Gennaio 1889 Pag. ìli Chistoni — Sul calcolo del coefficiente magnetometrico per i raa- gnetomelri costrutti secondo il metodo di Gauss, modificato da Lamont » 178 S^ NB. A questa disjyensa va imita la Tavola IV, relativa alla Memoria del Doti. Dkogoul , pubblicata nella Bispensa 4" e 5". Torino - Tip. Reale-ParaTia. ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI VoL. XXIV, Disp. 7^ 1888-89 Classe di Scienze Fìsiche, Matematiche e IVatarali. TORINO ERMANNO LOESOHER Libraio della R. Accademia della Scienze 195 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATUKALI Adunanza del 10 Febbraio 1889. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ARIODANTE FABKETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci : Cossa, Lessona, Sala^adori, Bruno, Basso, D'Ovidio, Bizzozero, Ferraris, Mosso, Spezia, Girelli, Giacomini. lì Socio Segretario dà lettura dell'atto verbale dell'adunanza precedente che è approvato. Viene partecipata la recente morte del Socio Corrispondente Senatore Giuseppe Meneohini, che fu lustro dell'Ateneo Bolognese dove insegnò Geologia per lunghi anni, e dei molti Corpi scien- tifici ai quali apparteneva. Tra le pubblicazioni offerte in omaggio all'Accademia viene segnalata la seguente : Osservazioni sui giacimenti minerali di Val d'Ala in Pie- monte; II, l'idrocrasio del banco d^idrocrasio nel Serpentino della Testa Ciarva al piano della Mussa » ; Memoria del Socio Corrispondente Prof. Gio. Struever, presentata dal Socio Cossa, Le letture e le comunicazioni si succedono nell'ordine che segue : « Ricerche di Geometria sulle curve algebriche : Nota del Dott. Guido Castelnuovo, Assistente alla Scuola di Algebra e Geometria analitica nella R. Università di Torino, presentata dal Socio D'Ovidio. « L'equazione modulare nella trasformazione delle funzioni ellittiche »; lavoro del Dott. Guido Valle, Assistente alla Scuola di Geometria proiettiva e descrittiva nella R. Università di To- rino, presentato dal Socio Basso. In quest'adunanza vengono eletti Soci nazionali residenti i sigg. Dottori Lorenzo Camerano, Assist, al Museo Zoologico, e Corrado Segre, Prof, di Geometria superiore nella R. Università di Torino. Atti R. Accad. - Pane Fisica, ecc. — Voi. X.X1V. 15 196 GUIDO CASTELNUOVO LETTURE Ricerche di Geometria sulle curve algebriche ; del Dott. Guido Castelnuovo La Geometria sulle curve non ebbe tanti cultori quanti l'in- teresse dell'argomento avrebbe meritato, nemmeno dopo il lavoro dei sigg. Brill e Notber {*) che contiene risultati così notevoli. La causa di ciò sta forse nelle artificiose dimostrazioni che si diedero alle proposizioni fondamentali della teoria. Crediamo quindi utile di indicare un'altra via a ricerche di tal natura. In questo lavoro noi non adoperiamo il Restsatz, ne ci li- mitiamo a considerare serie di gruppi di punti segate su curve piane da curve aggiunte. Ma consideriamo le curve in generale senza limitare le dimensioni degli spazi che le contengono, e se- ghiamo le serie mediante spazi di forme fondamentali. Così ot- teniamo maggiore semplicità e simmetria. I vantaggi di questo metodo si presentano evidenti trattando una questione finora insoluta (nel caso generale) , alla quale è dedicata l'ultima parte del nostro lavoro: assegnare il massimo genere di una curva che debba contenere una data serie di gruppi di punti; o in altre parole assegnare il massimo ge- nere di una curva di dato ordine appartenente ad uno spazio a r dimensioni. La risoluzione del problema , servendosi di curve aggiunte, offrirebbe forse non poche difiicoltà. Involuzioui razionali sulle curve. 1. Le definizioni che comunemente si danno nella Geometria sulle curve, sono seguite anche in questo lavoro. Con •— 1) di S^ corrispondano gruppi di una r/,/''^ di ^„^''^ ; diremo che la ^„^^' giace in gj-''^, è un elemento di gj'''\ Dalle proprietà degli spazi lineari segue : k + 1 gruppi di una %}' individuano una gj*^^ elemento di gJ-'\ se quei gruppi non appartengono ad una serie di mol- teplicità inferiore a k (se quei gruppi sono indipendenti). Se ì k-\-\ gruppi hanno alcuni punti comuni, questi punti si tro- vano in ogni gruppo di gJ^''K Due serie g„^f\ g,/'' giacenti in una stessa g}'\ hanno in generale una gn^^""'"""^ comune, se p-f-q — l'^O, I gruppi di una gj-''^ con k punti fissi della curva danno gruppi di una g^'l^^.. 2. Nel seguito considereremo soltanto involuzioni semplici; supporremo cioè che i gruppi della g,y^ che passano per i{<.r) punti arbitrari della curva, non abbiano altri punti comuni. Per tali involuzioni valgono i teoremi: Se sopra una curva C esiste una gj'^ (r>l), nello spazio ad r dimensioni S^ si può costruire una curva C' d'ordine n riferita univocamente a C; la involuzione di C' corrispondente a gj''^ è segata dagli spazi S^^^ di S^ {*). In ogni gruppo di una involuzione g}'^ si trovano r punti, che non giacciono in nessun altro gruppo dell' involuzione (punti indipendenti per quella gj-''^). I gruppi di n — p punti che insieme a p punti fissi indi" pendenti danno gruppi di una %}*\ appartengono ad, una g '~^ , complementare a quei p punti. 3. Un gruppo di m punti 6r,„ dicesi contenuto in una g„^''^ {r < m ^ n) , quando questi m punti si trovano in uno stesso gruppo di gj''\ E si dice che una gj'^'^ è contenuta nella gj-'''' {q<'j'<.m , ml , ^ = 0 ; si riferisca univocamente la curva proposta ad una curva C" d' ordine n dello spazio S^ , nel modo indicato dal § 2. Scelta in uno spazio >%+^ che con- tenga *S'^ una retta arbitraria g, che non seghi S,., si riferiscano univocamente i punti di g ai gruppi della serie data g„'\ e si congiunga ciascun punto di g agli n punti che gli corrispondono su C". Si otterrà così una rigata d'ordine 2w di S\^, , alla quale appartengono quegli 11 raggi che proiettano i punti del gruppo G„ comune a g,y\ g,y^ dal punto di g corrispondente a (t„. Ora G,, giace in un S^_^ ; e quindi gli n raggi proiettanti stanno in uno spazio ad r dimensioni, che non contiene g. Uno spazio ^r+i passante per questo, ma non per g , sega la rigata negli n raggi, e inoltre in una curva d'ordine n, la quale appartiene a S^^^ , ed è segata dagli 8,. di S^^^_, in una g,j-'''^'\ che con- tiene ^,/'^ e gJ'K Per giungere al caso generale basta applicare più volte i due casi particolari considerati. Se r è la massima dimensione di una serie d' ordine n sopra una curila, la g}''^ è individuata da uno dei suoi gruppi. 6. Dal § 4 segue pure che due gj'^ distinte non possono avere due gruppi di n punti comuni (?*>!); e se hanno in co- mune un gruppo G„ e un G,^_, , la curva sostegno è razionale. Quindi: Se in una curva non ragionai e una g„"" contiene una g'^^„_, , quest'ultima serie ha per complemento un punto determinato in g^^\ Infatti due gruppi arbitrari (r„_, , G' „_, di g^^\_, con due punti 3/, M' diano due gruppi (r„ , (r'„ ài g}''\ Se M ed M' non coincidessero, la ^J'^ determinata da (t„, G'„ e l'altra g,y^ determinata da M coi gruppi della avrebbero un gruppo di n punti , e un gruppo di n — 1 punti comuni. Due serie %}'^^ , g„^'^ giacenti sopra una stessa curva , le quali abbiano una g^'^n_, comune, hanno per complementi due punti determinati in una stessa g''^ . Siano Q, E ì complementi di g^'\,_, in g^^'^, g}'''> rispetti- vamente. Le due serie ^^^^„^, , g^'\+, costituite da ^„^^ ed jB, da 200 GUIDO CASTELNUOVO gj^''^ e Q hanno in comune la g^'\,+, costituita da g^\_, con Q ed R: quelle due serie quindi giacciono in una stessa g '~' . Si suppone che la curva sostegno non sia razionale, nel qual caso questo teorema diventa superfluo. Se sopra una curva giace una gj'\ ma non una g ', ogni g„^'^ della curva o è contenuta nella g}''\ o non ha con questa nessun gruppo Gq_, comune. 7, Punti multipli. — Una serie g^"^ sopra una curva di genere p contiene in generale (1) {r -\- ì) (n -\~ r p — r) gruppi con un punto multiplo secondo r+1. Sia anzitutto r=-\ , e la serie if/J"' sia segata sopra una curva piana C^""^^ d'ordine n-\-li e genere p con un punto 0 multiplo secondo A-, dalle rette uscenti da 0 [4]. Il numero ri- chiesto è il numero delle tangenti a C^""^* che passano per 0. Ora se i rimanenti punti multipli della curva equivalgono (per il genere e per la classe) a à punti doppi, quel numero è {n + h){n -\-h- l) -li{h -^l) -2o = 2{n+p-\) , come dà la (1). Sia poi r > 1 ; si chiede quanti siano gli spazi S^_ , ipero- sculatori a una curva Cy d'ordine n e genere x^ di S,. [2]. Ora questo numero è il numero / dei flessi della curva Cp"' sezione piana degli spazi S^_^ osculatori a C^' (^'). Ma di Cy' possiamo calcolare l'ordine ??', il numero delle cuspidi /, e la classe p., se ammettiamo che la formola (1) valga per le serie di molte- plicità inferiore ad r. Perchè n è il numero degli S,._^ che passano per una retta ed hanno un contatto (r — 1). punto con C^,", cioè n' = {r-\)]n + {r-2){p-\)\ ; e ;( è il numero degli S,._^ che passano per un piano ed hanno un contatto (*'— 2). punto con 0/, / = (r-2)|w + (r-3)(p-l){. (*) Veronese, Behandlung der projectivischen Verhàltnisse ; Math. Ann. 19 geometrìa sulle clkve algebriche 201 Finalmente p. è il numero degli S^_, che passano per un punto, ed hanno un contatto r, punto con C^", p. = r w + (r — 1 ) (p — 1 ) . Potremo quindi calcolare il numero dei flessi ? di C^"', mediante la formola che nel nostro caso dà i = (r -\- 1) (n -{- rp — r) ; questo risultato coincide colla (1), 8. Una ricerca fondamentale per noi è la seguente : Quanti gruppi di r+1 punti sono comuni a due serie g„}'\ gj-''^ gia- centi sopra una stessa curva di genere p ? ; si suppone che sia m>r, 0, che l'involuzione g„y^ non sia contenuta nella g,y\ La questione fu già risolta per r=:l ; se infatti indichiamo con è il numero delle coppie di punti G^ comuni alle serie g,ji'\ g,y^ (quando ogni G^ comune si calcoli equivalente a 1 1 G si ha [4] p=:{m— l)(n— 1)— 5 , ossia ^= (m — 1) {n — 1) —p . Dico che in generale Due serie gJ'^ g^^'^ giacenti sopra una stessa curva di ge- nere p, hanno xì « (2) ( ,, )(*^--)-(,_.i)i^ gruppi di r + 1 punti comuni. Supponiamo che la (2) valga per le serie di dimensione in- feriore ad r ; allora se indichiamo con c/i il numero dei gruppi di i punti comuni alla gj'' e ad una serie d'ordine n — r — («— 1) e di molteplicità (? — 1) , sarà [m — 1\ ^ ^ (m — 2\ 202 GUIDO CASTELNUOVO Sia y,- il numero di quei gruppi di i punti che sono con- tenuti in ^J'', e che, quando uno dei loro elementi si conti r+2 — «■ volte, giacciono nella ^J''^ il numero che ci propo- niamo di determinare sarà dato da y,,^, . Finalmente sia o,- il numero dei punti multipli secondo (r— «+1) di una involuzione d'ordine n — ? e molteplicità r — « sulla curva ; 0. = (r — i + l)\n — r + {r — i)p j . Supponiamo per semplicità che la curva data di genere 2^ sia una curva piana d'ordine m-^Jc con un punto 0 multiplo secondo h [4] , per modo che la gj'^ sia segata dalle rette uscenti da 0. E facile stabilire una relazione fra y^ e y; + ,. Infatti nel fascio 0 si fissi una corrispondenza , assumendo come omologhi due raggi «, , ^, , quando uno di essi 6, passi per un punto mul- tiplo secondo (r — ? + l) di un gruppo di ,^,/'"^ avente i punti I 0, raggi è,; e ad ogni raggio />, corrispondono n>c/^ raggi r/,. Il numero dei raggi e, , nei quali coincidono due raggi omologhi «, , 6- , è adunque G> + m c. y. + y,+, = ( . ]6, + ma,. Questa uguaglianza vale per /=l,2...r— 1; vale pure per v = 0, se si pone 'y.^=0, e per / = r, quando al posto di y^^, si scriva (?' + l)y, + ,, perchè un raggio e,, contenente un gruppo G^_^, comune a gj'\ g,y\ assorbe (r+ 1) coincidenze di a,, con b,.. Attribuendo ad i i valori successivi r, y — 1, . . . 1, 0 , mu- GEOMETRIA SULLE CTRVE ALGEBRICHE 203 tando segno a tutte le uguaglianze di posto pari e poi som- m,ando, si ottiene Se al posto delle o e delle y si sostituiscono le loro espressioni, e poi si eseguiscono le riduzioni, si arriva alla forinola {/m-2\ {m-2\{ (>- + l)7,..-(«-*-)j( ,^, )+^'*(,_l)j ossia ■/,...= ("7 ^)(«-')-{'":'V. che è precisamente la (2). Ma abbiamo dimostrato che la (2) vale per r=l; quindi essa vale per ogni valore di r {*). 9. Se si riflette al ragionamento ora fatto, si riconosce che quando non vi sono infiniti gruppi 6^,.^, comuni alle serie g,}'\ g^''\ il numero a^^, dato dalla (2) deve risultare positivo o al- meno nullo. Ora la (2) assume un valore negativo se è m — 1 iJ> {n — r) , r da ciò il teorema : Se sopra una curva di genere p giacciono due serie %J*\ g„('i ed è m — 1 p > [n — r) , r le due serie hanno infiniti gruppi G^,^, comuni. (*) La (2) è cago paiticolare della forinola o i 204 GUIDO CASTELNUOVO Da questa proprietà si deducono molti fra i risultati dei pa- ragrafi seguenti. 10. Una conseguenza immediata della (2) è la seguente (già nota (*) ) : Se sopra una curva d'ordine n e genere p, appartenente allo spazio Sr si trova una serie gj", z cui gruppi appartengano a spazi S^_, (m— l<:r), l'ordine della varietà razionale a m dimensioni costituita dagli spazi S^_^ è n — p— (m — 1). Questo infatti è per la (2) il numero dei gruppi G„ comuni alla g„y^ e alla serie gjT''^ determinata sulla curva dagli >S'^_, , che passano per uno spazio a [r — m) dimensioni , arbitrario , di 8,. Se i gruppi di g,,}'^ appartengono a spazi 8^ , nello stesso modo si prova che l'ordine v della varietà costituita dagli 8^ è dato dall'uguaglianza essendo z il numero degli spazi /S'^_, in cui giacciono gruppi 6r^^, contenuti nella gJ'K Questa uguaglianza , per involuzioni razionali gj'\ coincide con una formola del sig. Segre {**). Curve normali. 11. Allo spazio ad r dimensioni 8^ appartenga una curva d'ordine n e genere p C^". Per uno spazio 8^ di 8,. , il quale incontri in s punti la curva, passano oo''~^~' spazi 8^_, , i quali segano sulla curva una serie g'^~^~' ; diremo che 8^ è asse di questa serie. Gli spazi 8^ che segano in (jO+l) punti la curva, sono in numero di oc?*'. Gli spazi 8^ che segano (almeno) in (^ + 2) che dà il numero dei gruppi G ^,, comuni a due serie 5'^('7), 5'„('") sopra una curva di genere p. Per la dimostrazione v. la nota Una applicazione della Geometria enumerativa; Rend. del Circolo Matematico di Palermo, 1889. (*) Seqre, Courbes et surface% réglées, § 15, Math. Ann. XXX. {**( Sulle varietà algebriche; Rend. Lincei, voi. Ili, fase. 7°. GEOMETRIA SULLE CURVE ALGEBRICHE 205 punti la curva, sono al più oo^ Sicché si può affermare che uno spazio S,._, generale di S^ sega la curva in n punti tali, che r quali si vogliano di essi siano linearmente indipendenti. Si può anche affermare che una serie g _ ^ , la quale ab- bia per asse uno spazio >S'^_, secante C" in r — 1 punti arhi- trari, contiene un numero finito (zero incluso) di gruppi (x,.^, giacenti in S^_, , Perchè se ne contenesse infiniti, un punto ar- bitrario di Cj" apparterrebbe a qualcuno di questi G^_^, , e lo spazio generale >$',,_, , proiezione di S^_^ da quel punto, seghe- rebbe Cp" in n punti, r tra i quali non sarebbero linearmente indipendenti. 13. Si dice che una curva appartenente ad uno spazio è normale per questo spazio, quando essa non può ottenersi come proiezione di una curva dello stesso ordine appartenente ad uno spazio superiore. Se sulla curva C,," normale per S^ si trova una serie gj'\ i cui gruppi appartengano a spasi S^ {p 0 la C^/' sarebbe proiezione di una curva dello stesso ordine appartenente a S^^^ , contro l'ipotesi ; quindi è a = 0. 13. Sia V ^ la varietà di quegli S^. Uno spazio S,._^ pas- sante per un 8^ sega la varietà in una Fp'""?"' appartenente ad un 8,._^ , il quale contiene n — m punti della C^/' ; 8^ è adunque asse di una g'^_W i cui gruppi stanno in spazi a r — 2 di- mensioni. Ciascuno di questi spazi è poi asse della ^„|'\ Due serie d'ordine m, n — m sopra una curva di 8^, tali che un gruppo arbitrario dell'una stia in uno spazio /$'^_, con un qualunque gruppo dell'altra, saranno dette residue (una dell'altra). (*) Courbes et surfaces réylées, § 15, 206 GUIDO CASTE I.NUOVO Sopra la curva normale Cp° di S, una serie g^''' , i cui gruppi stiano in spazi S^ , ha per residua una serie g'~^~' , i cui gruppi stanno in spazi S^_^ . Se i gruppi della seconda serie appartenessero a spazi Sr_^_, , la prima serie sarebbe contenuta in una g,ji''\ Keciprocamente se la (/,„"• è contenuta in una gj''\ la serie g "^'^ ' , che ha per asse lo spazio S^ di un gruppo G^ di ^J'\ è residua di ogni ^/J'^ passante per G„ e contenuta in ^„['", è quindi residua di gj'^ . Ogni gruppo di g^''~^~'^ deve giacere in uno spazio S^_^_, . Sopra la curva Cp° normale per S^ una serie g^°'\ i cui gruppi giacciano in spazi S^, ha per residua una serie g'~^~' , i cui gruppi stanno in spazi S^^q^, . Dall'esistenza della prima serie segue l'esistenza della seconda. 14. il numero delle dimensioni dello spazio a cui appartiene un gruppo di gj''^ non può superare ni— \ , ed è certo infe- riore a questo numero per quelle curve C^" di S,. nelle quali n —p < r. I gruppi di gj''' sopra una curva C,," appartenente ad S, stanno in spazi a m— 2 dimensioni, quando n— p<:r {e m— 2 (n + m — r — \ — im — 1 ) ) , m — \ in virtù dell'ipotesi p>n—r. Non è escluso che i gruppi di ^m'"' appartengano a spazi inferiori. In generale : I gruppi di una serie g^,"^' sopra una curva Cp° apparte- nente ad S^ giacciono in spazi a (m — q— 1) dimensioni (o in spazi inferiori) se n — p < r, [e m — q — 1 < r). Infatti q—\ punti arbitrari della curva hanno per comple- mento una serie g ' , i cui gruppi appartengono a spazi \ni — q—\ — Q\ [*) (per ^>0). In uno di questi gruppi di (*) Seguendo lo Schubert indicheremo talvolta con [r] uno spazio ad r dimensioni. GEOMETRIA SULLE CURVE ALGEBRICHE 207 m ~ q-\- ì punti prendiamo m — q punti apjìartcncnti a [m — g — 1 — ^] , e indichiamo con Cr„,_,/ il loro insieme : e con ti^^ il gruppo for- mato dal punto rimanente e dai (j — \ punti primitivi. ^,„_^ con ciascun punto di G^ dà un gruppo di una g"_ (complemen- tare ai rimanenti q-~\ punti di G^), un gruppo quindi giacente in un \ììi — 2p — 2 , dimo- strando un noto teorema dovuto a Clifford. Se n>-2p — 2 lo spazio più elevato a cui appartiene una curva d'ordine n e genere p, ha n — p dimensioni. Supponiamo infatti che O^" appartenga a >S'„_,,_^, . Si seghi la curva con uno spazio S„_^, tale, che delle n intersezioni n—p-\-\ quali si vogliano siano linearmente indipendenti [H]. Allora per p — ^ fra questi n punti (poiché per ipotesi è p — i ^n — p) si può condurre uno spazio S„_p_, , che non seghi ulteriormente la curva. E questo /S'„_^_, è asse di una g _ , della quale non tutti i gruppi giacciono in spazi \n—p—l]. Oragli spazi S„_p passanti per un punto della curva che non giaccia in >S'„_^,^., , segano una serie g^'^'~'' che non contiene la ^^^ . Dunque [9] deve essere n — ì) i>< («— 1 — (n— i?)) , il che è assurdo. 208 GUIDO CASTELNUOYO Una curva di genere ^ e d'ordine n'>2p — 2 è normale per lo spazio a w — j) dimensioni. 17. Sia ora a) n<:2p — 2, e ammettiamo, se è possibile, che sia |3)' n<2r . In S,. si conduca un S^_, che seghi C^" in n punti, in guisa che r qualisivogliano fra questi siano linearmente indipendenti ; r~l degli n punti apparterranno ad uno spazio S,._^ ; e nella serie g' .di cui è base Tultimo spazio, solo un numero finito di gruppi giacerà in spazi [w — r— 1]. Scelti su Cy (2r — n) punti, nessuno dei quali giaccia in *S',._^ , gli S^_^ passanti per essi determinano una a "~' , che non contiene la ^ ' ; dunque [9] jP< {2(n — r) - (ìi—r)) , n — r ossia p^iìi — r . Se aggiungiamo alla a) questa ultima raddoppiata, otteniamo M>2r+2 che contraddice alla |3)'; quindi la jS)' è incompatibile colla «). Per conseguenza fatta l'ipotesi e/.), si deve avere |3) w> 2 r , e perciò Y) r

2 r ; (il caso r :=p non contemplato nel ragionamento pre- cedente, può tuttavia esser trattato colle stesse considerazioni). Si ha pure : La curva di genere p e d'ordine 2p — 2 è norìuale per lo spazio a (p — 1) diììiensioni. 18. Considerazioni analoghe alle precedenti permettono di fissare un limite superiore al genere p di una curva di dato ordine n appartenente ad S^, quando sussista la disuguaglianza ,3) n^2r . Perciò si seghi la curva C ^" con un >SV_, , in modo che delle n intersezioni >• qualisivogliano siano indipendenti. La g'_ che ha per base lo spazio *S^_^ determinato da r — 1 di queste in- tersezioni , contiene solo un numero finito di gruppi di r punti giacenti in spazi [>•— 2], e quindi ha solo un numero finito di G,. comuni colla serie + 1 di '^,- non può esser di genere superiore a r+3, se »>2 , ecc. 210 GUIDO CASTELNUOVO 19. Si può sempre costruire nello spazio Sp_, una curva d'ordine 2 p — 2 che sia riferita univocamente ad uno. data curva di genere p , purché questa non contenga una g^'^ (non sia iperel- littica) . È noto infatti ('^) che in una curva piana qualunque d'or- dine n e genere p, le curve aggiunte d'ordine n—2> segano una g _^ , che è involuzione semplice se la curva proposta non è iperellittica. Due curve Cp''^"" di Sp_^ riferite univocamente si corrispon- dono in una collineazione (^'^). 20. Si può sempre costruire nello spazio S, (r>2) ima curva d'ordine r + p, che sia riferita univocamente ad una data curva di genere p. Si può supporre che la curva data sia piana d'or- dine n ed abbia solo singolarità ordinarie. Le curve aggiunte d'ordine n — 2 formano un sistema (almeno) ìi-\-p — 2 volte in- finito ; queste curve segano sulla curva d' ordine n una serie d'ordine n + 2^? — 2 e molteplicità non inferiore a n + jp — 2 , (perchè se fosse inferiore, per ogni gruppo della serie dovrebbero passare infinite curve aggiunte d'ordine n—2, e la curva data dovrebbe scindersi). Dunque in [?i + 2:'— 2] si trova una curva d'ordine n-\-2p — 2 , riferita univocamente alla data. Proiet- tando questa curva sopra un piano da un [n+j;-5], ot- teniamo una curva d'ordine ^^ + 2 j? — 2 , la quale dalle curve aggiunte d'ordine {n-\-2p~2)~2 è segata in una serie d'or- dine n,-\- 4:p — A e dimensione n-\-Sp — 4: a questa serie cor- risponde in [n + 3jj— 4] una curva d'ordine «+4jj — 4; e cos'i via. Procedendo in questo modo si potrà costruire in uno spazio S„ , dove Pi^-r, una curva d'ordine Il-\-p riferita univocamente alla curva data. Proiettando la curva di ^S'^ da i? — r suoi punti in S^, si ottiene la curva richiesta. Si può anche dire che sopra una curva di genere p esiste sempre una serie g '' qualunque sia r ; la serie è completamente definita da un suo gruppo 6r,._,_/, (che può prendersi ad arbitrio) se r->p-2 [5, 16] . (*) V. Brill e NÒTHER, JJeber die alg, Functionen. (•*) Segre, Courbes et surfaces, § 7. GEOMETRIA SULLE CURVE ALGEBRICHE 211 La curva 6'/^-' di ^^_. . 21. Dai seguenti paragrafi sono escluse le curve iperellittiche (oltre alle razionali, ed ellittiche). Di ogni altra curva di genere p sappiamo che può riferirsi univocamente ad una curva ben de- terminata d'ordine 2p—2 di Sp_, , che per brevità sarà indi- cata nel seguito con C^ . Diremo che una serie ^,/''^ è normale , quando non è con- tenuta in una serie dello stesso ordine e di molteplicità supe- riore. Una curva di S,, , sulla quale gli S^_^ seghino questa g^^''\ è normale. 22. Poiché la Cp è normale e (2j^ — 2) — p <^j — 1, valgono i teoremi [14, 13] : I gruppi di una serie gj-'^ sopra C,, , quando n — r < p , stanno in spazi a n — r — 1 dimensioni, e appartengono a questi se gj'^ è normale. Sopra Cp una serie g}'^ normale, quando n— rl), e sia «,) n — r — 2 — n, R,=p-fj.,-l. Sia G„ un gruppo arbitrario di gj""^ ; possiamo supporre che mai r punti di G,, appartengano ad un altro gruppo della serie stessa [11]; poi se gj-''* non offre particolarità, che (/,-}- 1 = ^j,, punti quali si vogliano di G„ siano linearmente indipendenti. In tale ipotesi io dico che, se ossia ' I ' V / ' aj 2[j.,-{r~-l) r punti , non giacenti in G^^ . Sia X uno di questi , e G^_, un gruppo formato con r — 1 dei punti stessi, escluso X. Un gruppo ^« fli i/n'" diverso da G„ e passante per G^_, , dà con G^^ un gruppo di di 2p — 2 punti giacente in un /S'^_, . Questo spazio contiene almeno 214 GUIDO CASTELKUOVO punti di G„y e quindi contiene tutto G„ , ed in particolare anche X. Ora X non può stare in Gj , perchè G„' non può aver co- muni con G„ r punti senza coincidere con esso ; dunque X deve trovarsi in G^,^, e ciò contro Tipotesi. Segue che G,., passando per [j., - {r—1) punti di G„ , contiene G„ . Perciò in primo luogo la a^) ha per conseguenza iV,>w, ossia |3,) 2w<2^ — 2. Poi se indichiamo con a^ il minimo numero di punti di G„ che devono trovarsi in G^^ , affinchè questo gruppo contenga il primo, si avrà Finalmente uno spazio Sj^_^^^ , il quale passi per G„ e per [1^ punti di un altro gruppo G„' di gj''^ contiene Gj ; perchè ogni Sp_^ passante per Sj^_^^, secando (J^ , oltre che in G„ , in un gruppo G^ che contiene /a^ punti di G„', deve contenere tutto 6r„'. Dunque se è soddisfatta la a J , due gruppi arbitrari di una gn^""^ su Cp appartengono a imo spazio di dj f^. = =fA. + /J-,-l dimensioni. Le coppie di gruppi di gj'^ danno gruppi di una serie speciale normale d'ordine 2x1 e molteplicità £,) r,= 2w-fZ,- l = 2?*-(p.,+/J.J. Ogni gruppo della serie coniugata g^^^\ N, = 2p~2-2n, i2. = iJ - (// . + p. J - 1 , con un gruppo G,^ dà un gruppo Gj,^ . 26. Sia ora ossia «s) /A. + 2fi.,-(r-l)• — 1 si potrebbe far passare un altro gruppo G„' di g^"^^ , il quale con G^^ darebbe un gruppo G^^ passante per jUL^— (r— l) + (r — l)=:fji^ punti di G„ , e quindi per tutto G„. Il gruppo G^ conterrebbe anche X, il quale però non appartiene uè a G„', né a (?„ . Questa contraddizione dimostra che Gj,^ con- tiene G„. Dunque dalla «3) segue N^^n, ossia 183) 3w<2p— 2. Se poi indichiamo con u.-^ il minimo numero di punti di G^^ che devono prendersi su G„ , perchè questo gruppo sia contenuto nel primo, si ha 73) /^30. L'ipotesi opposta porterebbe di conseguenza, che se consideriamo {k — l) gruppi arbitrari di gj''\ ogni spazio Sp_^ , passante per p., punti del primo, [j.^ punti del secondo, . . . p.^_, punti dell'ultimo, do- vrebbe contenere ogni altro gruppo di gj''\ il che è assurdo. Ma si vede pure facilmente che deve essere (Xk7>r-1 , quando sussistono le a) ; perchè altrimenti la p.,-~(r-l)<0, insieme colla (J., + [J.,+ . . . + IJ.,_, + (J.^ <.p (conseguenza della OLf) e 7^)), darebbe analoga alla a,) ; e tuttavia questa disuguaglianza è incompati- bile colla iXi, — [r — 1 ) < 0 , per ciò che si disse sopra (quando al posto di k stava k — \). Da questa osservazione segue che, se, essendo vere le disu- guaglianze «,), aj . . . a^), e quindi le 7,), 7,). . . 7;^) , si trova 7/) /a,<2(r-l), allora la disuguaglianza a/,^,) non è più vera, ma invece «'a+,) /J-, + i"-.+ . . . +p.^._, +2^,- (r-l)>^) . Ora le disuguaglianze 7,), 7^), . . . 7^) sommate insieme danno e) ^^^{,i-r)-{h-\){r-\)', GEOMETRIA SULLE CURVE ALGEBRICHE 217 se invece sommiamo la y^) colla y<_,) raddoppiata, colla 7a_j) moltiplicata per 3, .. . colla y,) moltiplicata per k, abbiamo ^+f^. + /^3+.-. +l^,^^]{n-r) —{r-l)\ . Perciò se diamo a k il minimo valore intero non inferiore a n — r -1 , r-1 la y^') è certo soddisfatta, e quindi la «a+i) dà 1 Jc — 1 i a) p^k\{n-r) ^(r-1) j +/7.^-(r- 1). 27. La formola a) ci conduce a un risultato notevolissimo. « — r Indichi j( i7 ^m piccolo intero non inferiore a ; al- lora la a) potrà scriversi p^{X-l)]{n-l)-^^{r-l)\+iJ.^_,-~{r-l). Il secondo membro assume il massimo valore quando ij..^_, ha il massimo valore, ossia per la e) , quando (J.^_, = {n-r)-{x,-2){r 1). Sostituendo nella penultima, questa diviene . —^, ."i — r) — ^ — (r~l od anche ^<;^j(^,_r)_-^(r-l)j, I r+1 r -1 ^ p^/.\^ — 7r--x-ir-\ ()• 2 \ Il secondo membro dà il massimo valore che può avere il (*) Si noti che il secondo membro , quando si faccia variare x diventa r + 1 n 2 n r 1 massimo per il valore ; = r + -?r- della variabile. r — 1 r — 1 2 218 GUIDO CASTELNIJOVO genere di una curva su cui giaccia una ^,/'"^ , od anche dà il massimo genere di una curva d'ordine n appartenente ad S,. . Il genere di una curva d'ordine n appartenente a S^ non può superare (1) X]^ 5--/^-T- n — r dove y è il mini'nw intero non inferiore a . r — 1 Nello stabilire la (1) si è supposto che sussistano le prime / — \ delle disuguaglianze a,), aj..., almeno la a,); era quindi escluso il caso /=1 ossia n2^; — 2 , e quindi per il teorema di Clifford, il genere ha per massimo valore n — r\ e questo è il valore della (1) per Dunque la (1) dà per il genere di C" in S^ un valore mas- simo che è raggiunto, se n2r, il valore dato dalla (1) è raggiunto. Infatti come risulta da una formola del sig. Segre {*), le curve semplici d'ordine n della rigata razionale normale d'ordine r — 1 di ^S*^ , seganti ^+1 volte ciascuna generatrice, hanno per genere il valore (1) ; e l'esistenza di tali curve è provata dalla rappresentazione piana. Eisulta poi dalle considerazioni precedenti che, se la curva C" di S^ ha il genere dato dalla (1) per X>2, nella e) si deve prendere il segno di uguaglianza e quindi le 7) devono ridursi a uguaglianze: r,) iJ.,= {n-r)-{i-.\){r-\) {i=l, 2, . . . y^-\) . Per /=1 si ha che la C" è normale per 8^. 28. Chiameremo curva di genere massimo per un dato ordine n in ^S'^, una curva C" di S^, il cui genere sia dato dalla (1). Si presenta naturale la domanda se ogni curva di genere massimo di S^ stia sopra la rigata d'ordine r — 1 , come avviene in 8^. Le ultime considerazioni ci permettono di rispondere completa- mente alla questione. Le varietà a r— 1 dimensioni d'ordine ìc F'' segano sopra Intorno alla geometria su una rigata alg^ehrica ; Rend. Lincei, 1887. GEOMETRIA SULLE (JUKVE ALGEBRICHE 219 una curva C " di S^ una serie d'ordine nk , della quale sia p la molteplicità. Poiché le varietà F'' di S,. formano un sistema lineare di molteplicità I 1 — 1 , se per C^" passano oc' tali varietà F\ si lia da cui (7 = si intenda che e abbia il valore — 1 , quando per C^" non si può condurre una varietà F''. Ora fra le varietà F'' si trovano i gruppi di k S'^_, di S^ , e il sistema di queste varietà degeneri appartiene al sistema lineare di tutte le varietà F'' ; cioè la serie d'ordine n h di mi- nima dimensione che contiene i gruppi segati da lì S^_, è gj^ . Ma abbiamo visto che. se fra n, p, r passano le relazioni «,) a J . . . c/./^) , i gruppi della g,^^ segata dagli >S',._, su Cy presi a /.■ a A- , danno gruppi di una g'^^ ; dunque per la sj p^kn-~{(j.,-\-(j.,+ ...-\-iJ.^) , e quindi 29. Limitiamoci al caso k=2 ; e sia *>2. La curva pro- posta sia d'ordine ìi^2r e di genere massimo p. Supponiamo anzitutto che nella ( 1 ) si abbia ^ > 2 , per modo che sussistano le a,), aj . Allora poiché per le F,), FJ (j.,-{-li,=2n-Sr-\-l , si ha 2^? — 2 , la serie segata su C^ dalle quadriche di S^ non è speciale, e quindi per il teorema di Clifford la dimen- sione di questa serie non può superare così si ha anche in questo caso e si arriva alla stessa conclusione. D'altra parte si vede facilmente che nell'ipotesi w>2r, per /r— 1\ C^ non possono passare i I + ^ quadriche indipendenti. In- fatti sia >S',._, uno spazio il quale seghi C^," in n punti, dei quali r qualisivogliano siano linearmente indipendenti [H]. Se le qua- driche passanti per C^ formassero un sistema di I 1 dimen- sioni , un sistema di quadriche di S^_^ della stessa molteplicità dovrebbe passare per quegli n punti. E le quadriche di S^_^ passanti per K 't')-'l-(';'i=-^<-'> di quegli n punti, dovrebbero contenere i rimanenti. Fra queste quadriche si consideri una che degeneri in due spazi S^_^ ; uno almeno di questi dovrebbe contenere più che r — 1 fra gli n punti, e ciò contro l'ipotesi fatta su S^_^ . GEOMETRIA SULLE CURVE ALGEBRICHE 221 Possiamo dunque asserire che Per una curva di S^ (V ordine n>2r e del massimo genere passano ( ) quadrichc linearmente indipendenti ; e ogni altra quadrica per Cp" appartiene al sistema di quelle (*). Se r = 3 , la curva giace arlunque sopra una quadrica, il che è già noto. 30. Sia r > 3 ; quale sarà la varietà base del sistema 2 di /r — 1\ quadriche, di specie 1 ) — 1 ? La dimensione di questa varietà base non può superare 2. Infatti se una varietà a tre dimensioni fosse base del sistema di quadriche. uno spazio S^_-^ segherebbe 1 in un sistema di qua- driche avente per base qualche punto ; e la molteplicità di questo sistema sarebbe inferiore a j j — 1 , che è la molteplicità del sistema di tutte le quadriche di 6',._3 ; adunque ogni spazio S^_^ dovrebbe trovarsi in qualche quadrica di 1. Ma ciò non è possibile , perchè se si conduce lo spazio S,._^ determinato da r — 1 punti linearmente indipendenti di C ", uno spazio /S,._3 di S,._^ che non contenga nessuno di quegli r — 1 punti non può trovarsi in una quadrica passante per C^". Visto ciò, si seghi la curva C^" e il sistema 1 con uno spazio S^_i in il punti e in un sistema 1' della stessa dimensione di 2 ; e sia tale lo spazio S^-i che delle n intersezioni r qualisi- vogliano siano linearmente indipendenti. Poiché tutte le quadriche / r -f- 1 \ di yS'^_, formano un sistema di specie 1 1 ~ ^ ' °S"i qua- drica passante per irt')-;-irr)-i-— di quegli n punti, deve contenere i rimanenti. Dico ora che se w>2r , gli n punti si trovano sopra una curva razionale d'ordine r — 1 , la quale è contenuta in tutte le quadriche di 2'. Indichiamo gli n punti con (G) A,. A. . . A,,_, , B,, B^. ..B n—xr+i 1 (*) Questo teorema è noto nei caso nz=.2r, p^=zr-{-ì. 222 GUIDO CASTELNUOVO e i primi 2r— 1 abbiano la proprietà che ogni quadrica pas- sante per essi, passi per i rimanenti. Basterà dimostrare che la curva razionale C/~' determinata dagli r-\-2 punti passa per tutti i punti B, e per uno qualunque dei rimanenti punti A ad es. per A^^_^ . Perciò consideriamo la piramide fon- damentale che ha per vertici i punti A, , A^ . . A^ r—\ 1 e indichiamo con S^^^ \q spazio-faccia a r— 3 dimensioni che non passa per A^ . Sia poi S^_^ lo spazio determinato dai punti Ar^^ , -4^4.1 . . . A ir— i Se riferiamo proiettivamente i due fasci di 8^_^ che hanno per sostegni S ' , S^_-^ , in guisa che si corrispondano gli spazi proiettanti A- , A^ , A^^_^ , otteniamo come luogo delle interse- zioni degli spazi omologhi una quadrica, che passando per tutti i punti A, dovrà contenere tutti i punti (G); quindi >s/:^3 {A, , A.-Ì , ^. , J5, . . .) -/\ ^,_3 (^., ^,._. , 5. , J5, . . .). Poiché in questa relazione, quando ad i si danno i valori 1, 2, 3 . . . y— 1 , il secondo membro non si altera, segue che gli r — \ fasci proiettivi aventi per sostegno le faccie della piramide, ge- nerano una curva razionale d'ordine r — 1 , la quale passa oltre che per -4, , A^ ^ . . . A^ , X), , ^j , anche per A^,._^ e per tutti i punti B\ e ciò appunto si voleva dimostrare. Poiché le quadriche di 2' contengono ciascuna più che 2 {r — 1 ) punti di questa curva razionale CV"' r segue che le quadriche stesse passano per C„''~' . Dunque se w > 2 r , le quadriche di 1. hanno una varietà base che é segata da ogni S^_^ in una C/~' ; questa varietà deve essere una superficie a due dimensioni di ordine r — 1 . GEOMETRIA SULLE CURVE ALGEBRICHE 223 Se n > 2 r la curva d'ordine n e di genere massimo di S^ sta in una superficie a due dimensioni d'ordine r ~ 1 (*) ; questa superficie è rigata se r è diverso da 5, e può esser non rigata per r=5. Nel caso di una superficie rigata, il numero / della (1) aumentato di una unità dà il numero dei punti in cui la curva sega ogni generatrice. Se n = 2r, r>3 la curva non sta necessariamente sopra una superficie d'ordine r~\\ anzi sta sopra la rigata d'ordine r — 1 solo quando la curva contenga una g^^'^\ Finalmente una curva d'ordine w-<2r e di genere massimo [y=:\) non può giacere sopra la rigata d'ordine r— 1 di S^, a meno che la curva non sia iperellittica. Torino, 1"* Febbraio 1889. *) Crediamo che anche il sig. Del Pezzo sia giunto a questo teorema, però siccome il suo lavoro è ancora inedito, non conosciamo la via che lo ha guidato febbraio 1889). Al sig. Del Pezzo poi é dovuto io studio delle superficie a due dimensioni d'ordine r — 1 immerse nello spazio a r dimen- sioni (Rend. della R. Acc. di Napoli, settembre 1885). 224 GUIDO VALLE L'equazione modulare nella trasformazione delle funzioni ellittiche; del Dott. Guido Valle Il problema della trasformazione delle funzioni ellittiche si enuncia generalmente nei seguenti termini : Trovare una fun- zione razionale y di x jJé'r etti sia soddisfatta V equazione dif- ferenziale : dx ' dy \/{l-x){l-Jc'x') \/{l-y'){l-l'i) nella quale il nuovo modulo ). dipende dal modulo k della P funzione proposta. Tale funzione y è adunque della forma — , dove P e Q indicano due polinomi interi in a; ; e detto n il grado del polinomio di grado maggiore, w sarà l'ordine della trasformazione. In generale ad ogni trasformazione corrispondono per X di- versi valori , e questi sono le varie radici di una particolare equazione, detta da lacobi Equazione modulare. Dopo lacobi molti si occuparono di questa equazione; tra gli altri primo il Dott. Guetzlaif , il quale in una sua Nota diede l'equazione modulare relativa alla trasformazione del 7° ordine. Indotto dal suo esempio, l'amico di lui, il Ch.'"" Sohnke, diede quelle relative ali '11°, 13" e 17° grado; ed in seguito, con una sua pregevolissima Memoria inserita nel 16" volume del Giornale di Creile, mostrò come si possa formare l'equa- zione modulare nel caso in cui il numero n sia primo. Una tale restrizione non è qui fatta ; il numero n è supposto im- pari senz'altro ; e lo scopo della presente Nota è di stabi- l'equazione modulare nella trasformazione, ecc. 225 lire in tale ipotesi l'esistenza ed il grado dell'equazione mo- dulare, la cui importanza è capitale nel problema della trasfor- mazione. È noto che le funzioni ellitticlie si possono riguardare come i quozienti di quattro funzioni, due a due, delle quali non sarà inopportuno ricordare qui le definizioni. Posto : \ _ f dx • '__ r* ^^ ^2)_ j])/W^7W^¥T) ''^ JK(i-^^)(i-/bV) — 7t — CI) Ì7tp i = |/— 1 (/ = e "= e si hanno le relazioni seguenti: I t <7nx cos co (3). . . 0(;r)=l + 22(-l)'2' 0,(a;)=l+2V/cos^^ 0 ^ I H{x)= 2V(-1)'+Vy sen « =r o „, , .V ^~^ 27+1 H,{x)= 2 2,2 cos^ ^— - 2«" • =■ o Tra queste passano le relazioni seguenti : (■>' ir.x 0 (.5J + 2/w') = -c"% " 0(^) tu' / 1? X ;0,(a;+2/w')= e "e " 0 (a') (4). . . / ì „- -ili ijy(a; + 2/w') = -/> " fl"(.r) 226 GUIDO VALLE e le altre più generali e (a; + 2 mi w' ) = (- 1 )'" e "'e "0 {x) (5). 0^(^ + 2w?&)')— e "e " Q^{x) ni ti — — m |lf(a;4-2m«w') = (-ire % *" i/(a;) «j" t — — rn ir,(.?;4- 2 m /&)')= e e H^{x) e finalmente, poiché ci saranno spesso utili, registreremo ancora le relazioni seguenti : \&Ax-^i(ù')=^HAx)e 40 — - (XX-+-IO.') Ciò posto, si sa che le funzioni ellittiche sono definite dalle seguenti relazioni: \ TT( \ senawa;= -= )/h 0 {x) (')••• {cosamx=y- -^ f k Q (x) . dove si ha : (8)... 1/7- ® (a;) Le quantità « ed «'w' essendo quelle che figurano nei pe- riodi della funzione proposta, se indichiamo con Q. ed ìQ. le quantità che compaiono nei periodi della trasformata, si sa che : (9)... io^ + ^ n n ed il nuovo modulo ). sarà definito dalla relazione: ,^^g(o,12,Q-) l'equazione modulare nella trasformazione, ecc. 227 Ora, è noto clie ad ogni trasformazione di ordine n corri- spondono tre numeri n, n" , t tali, che mentre si ha n = n' n" , t sia primo col massimo comun divisore di w', n" . Or bene, di qui si può conchiudere che le trasformazioni distinte d'ordine n sono appunto tante quante sono le terne n , n , t. Allo scopo di determinare il numero di queste terne, si noti che se fosse : n =: w, n^ dove w, ed n^ non fossero numeri primi , allora ad ogni terna w', n'', t relativa al numero n se ne potrebbero far corrispon- dere due altre; w,', n'' , t, ed nj, n^", t^ relative ai numeri n, , n^ ; ciò è di per se stesso evidente. Se adunque indichiamo con - il numero delle terne n' , n", t , e con t, , r^ le terne analoghe relative ad n,, n^, sarà evidentemente ' 'l'i laonde se per maggior generalità si suppone : sarà Vediamo come un tal numero t si possa in ogni caso de- terminare. Sia /"' un fattore qualunque di n ; corrispondentemente ad esso si avranno varie terne, delle quali una è la seguente: /•M.o ed un'altra qualunque sarà della forma e mentre o)' assumerà i valori 1, 2, ... o — 1 ; t' db sua volta dovrà assumere valori primi con /'' e non maggiori di esso ; dunque le terne del 2° tipo saranno /'''"' (Z'— 1), le quali, ag- giunte alla prima, forniscono /''" (/'— 1)4-1 terne. Ma queste non sono tutte ; si può, infatti, porre 1, f\ t" dove f^ restando fisso, t" dovrà assumere tutti i valori compresi fra zero ed f* ' \ laonde si potrà conchiudere che le terne cor- rispondenti al fattore /"' sono Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Voi. XXIV. 17 228 GUIDO TALLE Cose analoghe verificandosi per tutti gli altri fattori, si vede che in totale le terne corrispondenti al numero n saranno (11). . . T = a"-'6'-. . . ì^-' (a+l)(ò+l) . .. (/+1) il qual numero nel caso in cui sia n semplicemente impari e privo di divisor quadratico, è uguale alla somma dei divisori di )i [*). — Così rimane dimostrato ed anche, se non erro, meglio dichiarato un teorema dato, senza dimostrazione, da lacobi nei suoi Fundamenta Nova, pag. 101. Determinato così il numero delle terne corrispondenti al nu- mero M, sostituendo questi valori nelle relazioni (9) e poi cal- colati effettivamente i valori corrispondenti delle funzioni : 0, (0, il, 12') ed i/, (0, 0, Q'); la relazione (10) ci potrebbe fornire tutti i valori di ).. Si può tuttavia giungere ad un risultato più elegante espri- mendo le nuove funzioni di 0, ed H, relativa ai nuovi periodi 0 ed /i2' mediante le medesime funzioni relative ai periodi w, i(ù . Infatti, tenendo presenti le (9), si vede che si passa dalla funzione 0, [x) alla funzione 0, (^, 12, 12') dividendo il primo periodo per », e poi la quantità w =16^«— rper w . n Applicando adunque al caso nostro la formola per la divi- sione del periodo immaginario data da Briot e Bouquet [Théorie des foncé, elliptiques, pag. 544) 0, (^, ^ ) = ^' f I Q, ("^ + 2ì)'?:q') e tenendo" presenti le relazioni (9), ricaveremo : n"— 1 I— ""~' (*) Cfr. KÒNiSBERGER, Die Modulargleichungen der ElUptischen functionen. Leipzig, 1868, pag, 73. l'equazione modulare nella trasformazione, ecc. 229 X -\-2p iù , -« I la forinola per la divisione del periodo reale : _ n' — I e(.,:;)J'ne(.+.,;^) 8Ì trae n'— I n' — I nil — I p = +—— p>-+—— 1 e quindi: (12)... 0(^,0, Q')=.4 II II Q{x^-2pQ.^-2p'iQ:) vSe ora in questa si muta x in x -\- itù e si tengono presenti le relazioni (5) e (6) , si trova che il 2° m. della precedente diviene : n' — 1 n" — I nitw' ni XX "1 r "I r "^^11 11 e'"' e '"^11 \\Q,{x + 2pQ. + 2piQ:) _ ni—i w"— I Se poi si tien conto della identità : i(ù' = n" ìQ! —\Q t% = iQ! -\-{n" — \)iQ!~ l^tÙ n si avrà: ^n>i—\\% n- n"— I ti(jr-Ma') D'altra parte si ha per la 2' delle (6) 0, {x-\-iQ.\ a, ir ) = /*°r '°5^, {x, Q, Q') 230 auIDO VALLE laonde sostituendo nella precedente e ridiicendo verrà : « 15 . =^1/^" sencoaniAz^.sencoamS zs...sencoam2 {n~ 1)55- dove sia m a> -{- m' i u' n m, m' essendo due numeri interi qualunque primi con n, che si potranno supporre minori di n. Orbene, non sarà difficile il dimostrare che, corrispondente- mente ad una terna qualunque n', n" , t relativa al numero im- pari n si potranno determinare due numeri w , m tali che si abbia : 4 (7 ST 4- 2 ff, w + 2 7^' r^'— 2piì-\- 2p iÙ' ossia \-2<7, U)+ h2(T )tr,) = { -4H — U) + -4r* M "+ 1 6 tp 2 <7m'-\- nn' =p n l'equazione MODl'LAKE NELI,A TRASFORMAZIONE, ECC. 281 Dalla seconda si trae subito: (15). . . m'=^v.n quindi la medesima diviene : 2 (7K + n"(T'=Jp' Indi sostituendo nella prima, si trova: 2 (T (w — 1 6 ^/) -f- w (7 — \Qt n"'j'= p n" la quale esige che sia : donde (16)... m = sn"+16ty. Ciò posto, se nelle relazioni (12) e (13) si fanno le sosti- tuzioni precedenti prendendo per variabile x-\-47zó, e si tengono presenti le (5), si ricava: , iK(af •4-4ga) 0,|(a;+4<75y)H-2a'i'w| = /'»e " 0,(ic+4a5y) Mutando in questa o" e a' in — (7 e — e' ìt(x — 4''^?^ " e, (.■^-4 (757) Moltiplicando w . a w . , e poi sostituendo nella (12) avremo: e,{x,Ù,iì')=Ae,{x) Il 0,(:r+4 7w).0,(a;"4aw) Analogamente si troverebbe : W — 1 Dalle quali subito si trae ' 0,(0, a,Q') 0,(0) li 0; (4<7g) (4(7S7) 232 GUIDO YALLE ossia ricordando la relazione l/A; = -r— — • 0,(0) a yi=\/j. n 0/(4(757) donde n — I »;>:=^* n Ì?,(4C7W) 0, (4(7&)) Ed ora visto, che è: ""' co&nmx f k Qix) 1 SAx) sen coam x = — = —-=^ ~ - —— ■ a am X l/y^' Q,{x) u 0,(a?) avremo : 0 [x) 1 (17)... r='.."JJ sen coam (iczs) la quale coincide perfettamente con quella data da lacobi, e ci fornisce tutti i valori del nuovo modulo ), relativo alla trasfor- mazione di ordine n. Ora il ch.""^ Sohnke dimostra che tutti i valori di v si pos- sono ottenere sviluppati in prodotto infinito, sostituendo nella nota relazione: (18)... ,, = J/2|/^JJJ + Q' I I I successivamente g", q", 'y.q".. . . a"~' q", dove « rappresenta una radice qualunque dell'equazione binomia r/."~ 1= 0. Vediamo come si modifichi il teorema quando n sia numero impari. La (17) si può scrivere : . _ >' — 1 n'i — 1 v=i("' I I sen roaw (4 Jn"zs) x r(""~ ' | 1 sen comn 4 ( — -— ??"+0' j sr 1 x ' ~ a = nil—i Xw("'-')(""-)TT TTsenc:oa»^^[4(/4-M")w] l'equazione modulare nella trasformazione, ecc. 233 Ma se sì ricordano le relazioni (15) e (16) tenendo conto della periodicità della funzione sencoamx, e si variano conve- nientemente indici ed argomento, potremo scrivere : a , I I / , 4 m w\ v=:u" I I sen coaììi 1 1 — — | x Xii n' (n"~ I ) Z 2 Il II sen coam i 4 e 37 -f ? — j— \ n>l — 1 D'altra parte, poiché si ha : w"sen conyn j .1::, — , , w' | =w*"' | | sen comn x e quindi : _n«— 1 u"'~ ' I I sen coam 1 4 a Z7, -7 , w' | = nH — I ni — I nTT / Amcù\ I I sen coam I 4 tst + / — — | «'— I _^»'(n"-.) sostituendo, verrà: h' — I n'i—1 2 2 v=u''' Il seiìcoani lì -"j—\u"'~' || sen coawM 4 7 sr, — , 00 j ossia tenendo conto delle (15) e (16) n'— i __ n''— I n/ , 4 w w\ . , I I r , / 1 6 ^ w SO)' \ sen coam ( / — r— I m" ' 1 I sen coam 4 / I 1 ^ | /=i »=i 2 34 uriDO VALLE Ottenuto questo risultato , il calcolo rimanente si fa senza alcuna difficoltà. È nota infatti la relazione : 2 1 nxjj ^i+g-.-;^; = —i Q' COS — I I -7—^ ■■ r^T^ + — "e- /M+^ iitor Tir 1 • . ^ Ani r,} Mutando ni questa xml r- e tenendo presente la re- n lazione (17) avremo; n' — 2 7 «'TT / 4ww\ ?/ I I sen coaìiì I / — — I = /=r 1 n' — I 4m flit /— 1 n'— I r— I 1 +§" 'e »»' 1 4ml i« E poiché e "' è radice primitiva dell'equazione binomia a;"'— 1=0, posto per brevità cp = p "' , si trae facilmente : n — I '--^-T- r-o^ ^„,,i. nn:i + ^y"V' 2 l-rr II' r ^ » r — I li 11 1+g >'~lln ' /— I r— I r^ I Per altra parte si ha : + q'" l'equazione MODl'LAKK NKLLA TKASFORMAZIONE , ECC. 235 Infatti si ha pel teorema di Cotes 1 + x'" = j rr*+ 2 a cos — ^ + 1 H ^ + 2 ic cos — 7 + 1 I . . . I a;^ + 2 a; cos , t: + 1 | . Ponendo in questa x = / , verrà : H'— I := 2 * « ^^ COS — 7 COS — - • • . COS ; U = / ^ i^ . 1 -+- * w 11 n Adunque sarà P = + 1 ovvero P ^ — 1 secondochè sarà : w' = 8 y ± 1 ovvero «'= 8 y rt 3 . E poiché —f- =8/=fc2M. onde (-1) ' =+1 ; •/rh2v+l, onde (-1) » == - 1 , si ni — I m — I 2~P = (-1)~^ . Sostituendo nella (18) i risultati dati dalle («) e ^3 e ri- ducendo si trova : .=(-1) • K2^/-iii+?— '^ (18' e di più: (8v±3r- -1 8 trae: I I sen eoa tu 4x1 L ^ 16 " + « ?'" («^+ /3 j/) 4- ?<' -y'" («. + (5, !«") + w^^9 (a, + P, w*) + + /33 w* i;" + Pft w V + jSg mS*^ + p6 «*^ «'^ + jS, wS"- + w v^ («8 + + PgM«) + u' v^ («^+ p^ u') + li' V (a.„+ /3.„ u') + W' = 0. Ora, è noto che i coefficienti dei termini iC"vf ed w''?;'", come pure quelli dei termini u"'v'' ed u'''"v''''' (dove t è il grado dell'equa- zione) sono eguali e dello stesso segno, oppure di segno contrario, secondochè l'ultimo termine è positivo o negativo. E parimenti noto che per i(=ì è v:=±l ; nel caso nostro per i<=rl l'equa- zione ha dieci radici eguali a +1 e due eguali a —1 ; laonde sviluppando i binomi, indi eguagliando i cofficienti delle potenze eguali avremo: v'^ _ 8 u 8" (2 u^- 1) + 2 u' r'" (5 + 8 m**) - 8 u^v'> (7 + 2 ?/) + + 1 5mH''*+ iSu'vl- 84 ?^S''*+ 48 u''v'-\- 1 5 w^ì;^— 8uv\2 + + 7 w*) + 2 M» V' (8 + 5 m") + 8 n' v {u^ - 2) + ?i" = 0. (*) Cfr. KÒNiSBERGBR, pag. 184. l'equazione modulare nella trasformazione, ecc. 239 Ossia ancora ponendo u=zyk : f = ^ ). : ^' =1 —Iz: }.' = 1 — A* + Torino, P^ebbraio 1889. L'Accademico Segretario Giuseppe Basso. SOMMARIO Classe Ai Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del 10 Febbraio 1889 Pag, 195 Castelnuovo — Ricerche di geometria sulle curve algebriche ...» 196 Valle — L'equazione modulare nella li asfórraazione delle funzioni ellittiche » 224 Torino - Tip. Koale-Paravìa. ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DDE CLASSI Vor. XXIV, Disp. 8* 1888-89 Classe di Seienzo Fìsiche, Mateinaticiie e I\aturali. TORINO ERMANNO LOESOHER Libraio della R. Accademia delle Scienza 241 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 24 Febbraio 1889. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF, ARIODANTE FABKETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa , Lessona , Bruno, Berruti , Basso, D'Ovidio, Bizzozero, Ferraris, Spezia, Giacomini. Vien letto l'atto verbale dell'adunanza precedente, che è ap- provato. Tra le pubblicazioni presentate in omaggio all' Accademia ven- gono segnalati tre opuscoli stampati del Dott. Federico Sacco, che trattano Dei terreni terziari e quaternari del Biellese ; Dei terreni terziari della Svizzera, e Della classificazione dei ter- reni conforme alle loro faccie, presentati dal Socio Spezia. Le letture e le comunicazioni si succedono nell'ordine che segue: « Studio sulV accelerazione d'ordine n nel moto di una retta, » del Dott. Enrico Novarese, Assistente alla Scuola di Meccanica razionale nella R. Università di Torino , presentato dal Socio Basso ; « Riassunti per Vanno 1887 delle medie mensili e dei massimi e minimi annuali riguardanti V altezza barometrica , la temperatura esterna al Nord, la tensione del vapore acqueo e l'umidità relativa » , lavori eseguiti nell' Osservatorio della R. Università di Torino ; presentati dal Socio Basso per la con- sueta pubblicazione nel Bollettino annesso agli Atti; « I Cheloni astiani del Piemonte »; Monogi'afia del Dot- tore Federico Sacco, presentata dal Socio Spezia. Siccome l'Au- tore ne desidera l'inserzione nei volumi delle 3Icmorie, viene nominata una Commissione incaricata di esaminare il lavoro e riferirne alla Classe in una prossima adunanza. Atti R. Accad. - Pane Fisica, ecc. — VoK XXIV. 18 242 ENRICO NOVARESE LETTURE Studio sull'accelerazione di ordine n nel moto di una retta; del Dott. Enrico Novarese Questo scritto è, come appare dal titolo, uno studio sulle accel(;razioni d'ordine qualsivoglia dei punti di una retta mobile comunque nello spazio, argomento modesto ma che mi pare non indegno del tutto di attenzione e finora (di proposito) poco con- siderato. Il lavoro è diviso in due parti. Nella prima sono espo- ste le proprietà che parvero degne di menzione onde godono quelle accelerazioni : di tali proprietà alcune sembrano, per quanto facili a stabilirsi, non avvertite, altre o sono note o sono esten- sioni di cose note; il metodo di ricerca è diverso da quelli da altri adottati e, per semplicità, non mi pare inferiore. La seconda parte del lavoro è dedicata allo studio di un paraboloide iper- bolico, a cui quelle accelerazioni danno luogo: l'esistenza di questo paraboloide è conosciuta (V. nota al n" 12), ma lo studio di esso non venne fatto se non nel caso particolare relativo alle velocità (accelerazioni d'ordine zero) (V. nota al n° 15). I. Proprietà varie delle accelerazioni dei punti di una retta mobile. 1. Consideriamo una retta D che si muove comunque nello spazio, e riferiamo le sue posizioni successive a tre assi ortogo- nali immobili. Alla fine del tempo t, siano a, h, e i coseni di- rettori di un verso stabilito della retta, x^^, y^, z^ le coordinate di un punto M^ di essa. Le coordinate di un altro punto qualunque Jf della retta saranno, posto MqM=u, x^ + au, y^ + hu, z^ + cu ; STUDIO SULLA ACCELERAZIONE PI ORDINE 11 243 e le projezioni sugli assi della sua accelerazione di ordine n — l yarranno (1)... a;,^")+ a(") M , 2/0^"»+ 6 ("^M, V"^4-c('')w, designando con x^^"\ . . . , a^"\ ... le derivate n"'"" —^, • • • . (Va Ir ' ' " 2. Il moto della retta si può concepire composto di una traslazione conforme al moto del punto M^^ e di una rotazione in- torno ad 31^^. Dalle espressioni (1) appare che l'accelerazione {*) J del punto ili" è la somma geometrica 1° di un' accelerazione di traslazione, equipollente all'accelerazione J^ del punto M^ ; 2° di un' accelerazione di rotazione, della quale la direzione è la stessa per tutti i punti M e non dipende dalla scelta del punto M^^, la grandezza è proporzionale alla distanza u. Immaginiamo un seg- mento, le cui projezioni sugli assi siano uguali ad a^"\ b^"\ c^"^: chiameremo questo segmento accelerazione sferica (di ordine n — 1) della retta D e lo rappresenteremo con 0 (*^). Diremo allora che l'accelerazione di rotazione J^ del punto M ha la direzione di O, ha il verso di 0 od il verso opposto secondochè u è positivo o negativo, cioè secondochè M giace dall'una parte o dall'altra del punto ilfjj, ha una grandezza espressa dal valore assoluto di Q,u. Traducendo in formolo avremo : J^= J^~ + 2 J-yO u cos [J^Q) +0-2^2 J'„+0?. il valor comune di questi rapporti, i X - Xq= au-{- {Xq^"'^+ a^"^ u) /. (4) y-y^=bu-]-{y,^"'>+h^"hi)l [ 3-2q=cu + {z,^"^+c^"^u)1 . L'eliminazione di u e di X fra queste tre equazioni fornirà l'equazione di una superficie, luogo delle direzioni delle accele- razioni di tutti i punti M. Ora, se queste equazioni si conside- rano come tre equazioni lineari fra u, X, mX, se ne ricava Po (") 0 (n) IH A") (") a (") Vo (") j(") (") «(") Memoria di Cinematica trattata colla Geometria sintetica del prof. Burme- STER, Zeilschr.fiir Mathem. u. Physik, Bd. XXIll (1878), p. 125. Esso vi figura incidentalmente, fra diversi corollari di una proposizione che comprende come caso particolare il teor. del n. 10 — Per le accelerazioni di 1° ordine, il teorema è anche dimostrato (sinteticamente) nella Kinematik del Peterskn, Kopenhagen 1884, p. 43. STUDIO SULLA ACCELERAZIONE DI ORDINE 11 249 D'altra parte, se le equazioni (4) si dividono per ). e si ri- ..,..„ 1 ^< guardano come tre equazioni lineari fra -r- , -r- , w, si ha A A (") 2/o (") z, ('0 t<. = — a c(") Uguagliando queste due espressioni di m, risulta (") ,(") "0 "^0 y-y, yi"^ ^^"^ ,(") A») Z— Zr. + « <" a'"'] & !/„'"' i<") e V'" ,(..) (") ?/-?/o & yt^ z — z,. (") = 0. Questa è l'equazione cercata: essa rappresenta un parabo- loide iperbolico, poiché i termini a secondo grado si scompongono in due fattori reali ; dunque, ecc. 14. Procediamo a determinare gli elementi caratteristici del paraboloide. In una parte di questa ricerca, all'uso dell'eq. (5) torna assai preferibile l'uso di alcuni dei teoremi esposti nel § I. Dal n° 9 risulta che uno dei piani direttori è parallelo alle di- rezioni di Jj, e di O ; è facile vedere che l'altro piano direttore è parallelo alle direzioni di O e di B. Infatti, i coseni di di- rezione d'una retta normale al secondo piano direttore sono pro- porzionali ai determinanti della matrice ma questi si riducono ai determinanti della matrice a u e a h e rtC") è(") c^") dunque , ecc. Ne segue immediatamente che l'asse del paraboloide è pa- rallelo ali accelerazione sferica. Cerchiamo il vertice della superficie. Fra le generatrici del primo sistema (accelerazioni J), ve n"è una normale all'asse del paraboloide, ed è quella che passa pel vertice. Ora il n° 5 mostra 250 ENRICO NOVARESE che tale generatrice è la direzione dell'accelerazione minima. Ana- logamente : sia P il punto dincontro di una generatrice del se- condo sistema colla direzione deiraccelerazione J del punto M, e poniamo MI* = /.• J"; si riconosce facilmente che i coseni diret- tori di quella generatrice sono proporzionali ad a + /ta^"\ 6 + hh^"\ e 4- Ac^"\ Per conseguenza, indicando con h* il valore di ^ re- lativo alla generatrice del secondo sistema che contiene il ver- tice, si avrà l'equazione a(") (o + yfc*a(") ) + U"^ {b + /.•* h^"^ ) + c^"^ (e + ^^ c^"' ) = 0 , da cui a «(")+ h U"^ + e c^") cos (7) Q) Jc*= — a(")2+//'')2+c(")- 0 E le coordinate del vertice saranno: X r= x^, + ««*+ k* (^0^"^+ «^"^ ii*) j = y, + hii^+k*{y^^''^-\-b^''^u*) z = ^^3 + e «^-4- r ( V'^+ c^''^^*"") • Kimangono da calcolarsi i parametri delle parabole principali. Ci varremo a tal uopo dell'eq. (5) e, per evitare calcoli laboriosi, faremo una trasformazione di coordinate. Prenderemo per nuova origine il vertice del paraboloide, per assi delle x\ delle y\ delle s rispettivamente la direzione dell'accelerazione J* , l'altra genera- trice passante pel vertice, l'asse del paraboloide. Le formole di trasformazione saranno (I segni dei coefficienti di x\ y\ z mo- strano in qual modo sono scelti i versi positivi de' nuovi assi) : J* sen(Z)Q)^ 0 J* sen (DO) Ù ' [*) Si osservi clie STUDIO SULLA ACCELERAZIONE DI ORDINE 11 251 Effettuando le sostituzioni nell'eq. (5), si ha senza fatica a fattor comune il quadrato del determinante (") 2/0" (n) (") ,(") &(«) .(«; sopprimendolo e riducendo, l'equazione del paraboloide diventa J* X y' = —— seri {D iì) . ^' . Ora, designiamo con cp l'angolo compreso tra i versi positivi degli assi delle x e delle y', con 2\ il parametro della parabola principale il cui piano biseca l'angolo e, con jl, il parametro del- l'altra parabola principale. Dalla equazione precedente si deduce ])^ = A — sen (DQ) cos^- cp J* 1 i^o = — 4 — sen {D Q) sen- ~ cp , essendosi preso positivo quello dei due parametri che appartiene alla parabola avente il fuoco sulla parte positiva dell'asse delle z'. Eaccogliendo i risultati ottenuti nel presente n°, complete- remo come segue il teorema del n" 1 2 : 77 vertice del paraboloide si trova sulla dire.zione dell'ac- J* celerasione minima^ alla distanza — cos (DO) dal punto M*, dalla parte dalla quale è rivolta qiielV accelerazione , ovvero dalla parte opposta secondocliè l'angolo (DO) è ottuso 0 acuto. L'asse è parallelo alT accelerazione sferica; uno dei piani di- rettori è parallelo alV accelerazione di uno qualunque dei punti della retta mobile, l'altro è parallelo a questa retta. Le para- bole principali sono definite dalie formole soprascritte. 15. È interessante il vedere che cosa divengano questi risul- tati quando si tratta delle velocità. La velocità sferica essendo normale alla retta mobile (n° 3, in nota), il vertice del parabo- loide coincide in tal caso col punto di velocità minima. La di- 252 ENRICO NOVARESE -' STUDIO SULLA ACCELERAZIONE ECC. rezione di quest'ultima e la retta D sono le geueratrici passanti pel vertice. I valori dei parametri Pp i^a si riducono a p, = 4^cos^Ì(/-i)) essendo ora J* la velocità minima e 0 la velocità sferica (*). 16. Vi è un caso notevole in cui il paraboloide delle acce- lerazioni si riduce ad un piano doppio; ed è quando la retta D, l'accelerazione J^ ed il segmento Q. (supposto condotto dal punto J/„) cadono in uno stesso piano. Allora in questo piano medesimo cadono le accelerazioni di tutti i punti M (n" 9); dippiù, in questo caso (ed in questo soltanto) esiste un punto della retta mobile, l'accelerazione del quale è disposta secondo la retta stessa. Si estende così alle accelerazioni d'ordine qualunque un altro teorema che lo Chasles enunciava per le velocità (**■) : Quando V accelerazione d'ordine n di un punto della retta mobile è disposta secondo questa retta, le accelerazioni d'or- dine n degli altri suoi punti sono tutte contenute in un piano e inviluppano una parabola. L'ultima parte dell'enunciato risulta dal teor. del n" 10. (*) II paraboloide delle velocità è stato studiato (sinteticamente; dal signor ScHÒNFLiES in una Nota Veber die Bewegung eines starren Systems Zeilschr. fiir Mathem. u. Pbysik, Bd. XXVIII (1883) ). Il sig. Schónfues presenta i suoi risultati sotto un altro aspetto. (»•) Comptes Rendus, T. XVI, p.l424. L 'Accademico Segretario Giuseppe Basso. ;$•.->►. Torino, Tip. Reale-Pwavia. SOMMARIO Classe «li Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali, ADUNANZA del 24 Febbraio 1889 Pag. 241 Novarese — Studio buU' accelerazione di ordine n nel moto di una retta' » 242 Torino - Tip. Kwiu-Parsvi». ATTI DELLA R. ÀCCADEmA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI VoL. XXIV, Disp. 9^ E 10% 1888-89 Classe di Seienzc Fisiche, Matematiche e i\atarali. TORINO ERMANNO LOEBOHER Libraio della K. Accadumiii duUtt Scienza 253 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATUEALI Adunanza del IO Marzo 1889. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: Lessona , Bruno, Berruti, SiAcci, Basso, D'Oyidic, Bizzozero, Naccari, Mosso, GiBELLi, Giacomini. Il Socio CossA , Direttore della Classe fa scusare, per mezzo del Socio Naccari, la sua assenza motivata da ragioni d'ufficio, e dichiara di associarsi fin d'ora alle deliberazioni che la Classe vorrà prendere al fine di onorare la memoria del compianto Presidente dell'Accademia. Il Vice Presidente ricorda con parole di vivo rim- pianto la perdita gravissima sofferta il giorno 7 di questo mese dall'Accademia per la morte del suo Pre- sidente, Prof. Senatore Angelo Genocchi, ed incarica il Socio Siacci di redigerne il discorso commemorativo. Propone inoltre che la Classe prenda l'iniziativa di una pubblica sottoscrizione allo scopo di erigere un ri- cordo perenne alla memoria dell'illustre estinto. Intorno al modo di dare esecuzione a questa proposta parlano i Soci Berruti, Bruno, e Siacci; dopo di che la proposta stessa viene accolta all' unanimità colla dichiarazione che si decideranno alla chiusura delle sottoscrizioni le questioni relative al luogo in cui dovrà collocarsi tale ricordo, ed alla forma da darsi al medesimo. Quindi in segno di lutto viene sciolta l'adunanza. Atti della R Accad. - Parte Fisica, ecc. — Voi. XXIV. 19 154 Adunanza del 24 Marzo 1889. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, Lessona, Salvadori, Bruno, Ber- RUTi, Basso, D'Ovidio, Bizzozero, Naccari, Mosso, Spezia, Gia- COMINI. Letto ed approvato l'atto verbale dell'adunanza precedente, viene comunicata una lettera ministeriale annunziante la sovrana approvazione della elezione a Soci nazionali residenti dei signori Professori Lorenzo Camerano e Corrado Segre. Viene data comu- nicazione di molte lettere pervenute airAccademia in condoglianza per la morte del Presidente Senatore Angelo Genocchi. Tra le pubblicazioni offerte in omaggio all'Accademia vengono segnalate le seguenti : « Note di paleoicnologia del Dott. Federico Sacco, » e « Il passaggio tra il Liguriano ed il Tongriano, del medesimo autore, presentati dal Socio Lessona ; « Traduzione in lingua polacca della Monografia storica del Dott. Gino Loria, Prof, nel T Università di Genova, Sul passato ed il presente delle principali teorie geometriche ; presentata dal Socio D'Ovidio. « Recherches géne'rales sur Ics courhcs et Ics surfaccs regle'es algc'hriqucs ; » parte 1^ e 2\ estratte dai tomi XXX e XXXIV dei Mathcmatische Annalen ecc., del Socio Corrado Segre. « Catalogo della Biblioteca della R. Scuola d'Applicazione per gli Ingegneri in Torino, presentato dal Socio CosSA ; « 1° Vero andamento diurno della temperatura ; » 2" Pres- sione atmosferica ridotta al medio livello del mare in Modena; Coefficienti per la temperatura e per la pressione atmosferica nel barometro registratore Richard; » 8" « Domenico Scimi — Cenni biografici letti nella seduta del 22 novembre 1888 della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti in 3Iodena : lavori del Prof. Domenico Kagona, presentati dal Socio Basso. M. LESSONA - RELAZIONE SOPRA UNA MONOGRAFIA DI F. SACCO 255 Le letture e le comunicazioni si succedono nell' ordine che segue : « Kelazione sopra una Monografia del Prof. Dott. Federico Sacco, intitolata « I Cheìoni astiani del Piemonte, » del Socio Lessona, condeputato col Socio Bellardi. La Classe accoglie le conclusioni favorevoli della Relazione , ammettendo alla lettura questo lavoro, e poscia delibera che il medesimo venga pubblicato nei volumi delle Memorie accademiche. « Centro espiratorio ed espirazione forzata; Ricerche del Dott. Vittorio Aducco, presentate dal Socio Mosso; « Su certi eristaììi che si trovano dentro il nucleo delle cellule nel rene e nel fegato; Memoria del Dott. V. Grandis, presentata dallo stesso Socio Mosso. « Sopra alcune deduzioni della teoria del van't Hoff sul- V equilibrio chimico dei sistemi disciolti allo stato diluito; » Nota P del Prof S. Pagliani presentata dal Socio Naccari. LETTURE RELAZIONE sopra una Monografia del Prof. Dott. Federico Sacco, intitolata: 1 Chetoni astiani del Piemonte. I Cheloni fossili del Piemonte sono già stati oggetto di studi speciali per parte del prof. A. Portis che ne pubblicò i risulta- menti in due lavori inscritti nelle Memorie di questa R. Acca- demia. Ora alcune nuove ed interessanti scoperte fattesi recen- temente di resti di Cheloni nei terreni terziari del Piemonte inducono TAutore della Memoria in esame a portare con essa una contribuzione allo studio di quest'ordine di Rettili, con speciale riguardo ai Cheloni del Pliocene superiore o Astiano. La forma più interessante e più completa di Chelonio esa- minata in questa Memoria appartiene al genere Emys. Questo fossile fu trovato in sabbie giallo della Valle Andona nell'Asti- giano; i resti dei Molluschi che erano inglobati nella sabbia che lo riempivano dimostrano come esso appartenga all'orizzonte ma- 256 M. LESSONA rino detto Astiano', essendo però V Emijs un Chelone lacustre, devesi certamente dedurre che l'individuo in esame dalle regioni continentali venisse portato in mare dalle correnti. Il fossile in questione manca delle estremità, ma presenta quasi completo il guscio esoscheletrico , ciò che è al tutto sufficiente per la determinazione specifica; tale guscio si presenta alquanto schiacciato, e quindi deformato per le potenti pressioni subite. Dopo di aver paragonato questo Eììujs fossile colle forme simili, sia fossili, sia viventi, TA. crede di dover indicare detto fossile con un nuovo nome specifico, e, dedicando questa forma all'Illustratore dei Cheloni fossili piemontesi, la designa col nome di Emys Portisii. Segue la descrizione minuta di questo fossile ; dapprima sono descritte le ossa dello scudo dorsale (ossa assiali o vertebrali, ossa costali ed ossa marginali) quindi quelle dello scudo ventrale 0 piastrone (Mesosterno , Episterno , losterno , Iposterno e Xifi- sterno) ; in questo minuto esame osteologico, accompagnato dalle misure millimetriche di ciascun osso, si notano alcune anomalie, fra cui è interessante quella dello sdoppiamento dell' 8^ piastra ossea costale di destra. Dopo ciò l'A. passa allo studio della forma delle piastre cornee, forma data dalle nette e ben conservate impronte che tali piastre, scomparse colla fossilizzazione, lasciarono sul guscio osseo. Anche in questo studio l'A. esamina dapprima lo scudo dor- sale (piastre vertebrali, costali e marginali), poscia lo scudo ven- trale (piastre gulari, omerali, pettorali , addominali , femorali, anali, ascellari ed inguinali) colle principali dimensioni millime- triche di ogni piastra. Vengono osservate alcune anomalie, fra cui notevolissima quella dello sdoppiamento della piastra caudale, per modo che ne risultano 13 marginali invece di 12 come ha luogo general- mente nelle Emidi. Questo esame delle piastre cornee della forma fossile è reso più interessante dal paragone che l'A. fa colle piastre corrispon- denti di individui giovani ed adulti dalle forme viventi più af- fini a quella fossile, cioè di Emys caspica e di E. sigritz, che l'A. ebbe in comunicazione dal Museo zoologico di Torino e dal dott. M. Peracca. Da tale esame comparativo FA. deduce che VEmys Portisii presenta caratteri in parte dell'una ed in parte dell'altra delle RELAZIONE SOPRA UNA MONOGRAFIA DI F. SACCO 257 specie viventi sopramenzionate, specialmente se paragonate con individui giovani di dette forme, per cui pare dovrebbesi de- durre che la forma fossile sia quella dalla quale derivarono più 0 meno direttamente VE. caspica e VE. sigriiz. In seguito r"A. passa all'esame di una tartaruga marina ap- partenente al genere Trionyx , che consta di un' impronta in- terna e di una impronta esterna dello scado dorsale, essa venne trovata molti anni or sono nelle sabbie astiane di Monteu Roero e fu già indicata dal Sismonda Angelo col nome di T. acgyptia- cus, e poscia dal Portis come T. pedemontana. L'A. esaminando questo resto fossile, il quale per le sue di- mensioni indica di aver appartenuto ad un individuo di oltre mezzo metro di diametro antero posteriore, trova che numerosi ed importanti caratteri lo distinguono tanto dalla T. acgyptiaca vivente quanto dalla T. pedemontana trovata fossile in terreni assai più antichi, cioè noiV Aquitaniano, crede quindi che se ne debba fare una nuova specie cui dà il nome di T. })ìiopede- montana per denotare nello stesso tempo l'orizzonte geologico e la regione in cui fu trovata, nonché l'affinità che essa presenta con una forma fossile già descritta. Dopo ciò l'A. passa in rapida rivista gli altri resti di Che- loni trovati nel terreno astiano del Piemonte , facendo alcune considerazioni paleontologiche e stratigrafiche. Infine, valendosi degli studi fatti di recente su tutto il bacino terziario del Piemonte, l'A. determina la prima posizione strati- grafica dei Cheloni fossili sinora rinvenuti in detto bacino e ne dà la distribuzione geologica in apposita tabella. La Memoria è accompagnata da due tavole nelle quali è fi- gurata VEmys Portisii nelle sue parti dorsali, ventrali e laterali. L'importanza del lavoro, l'estensione del testo ed il numero delle tavole comprese nei limiti assegnati dai regolamenti , indu- cono la Commissione a proporne la lettura per la stampa nelle sue Memorie. Luigi Bellardi Michele Lessona , relatore. 258 VITTORIO ADUCCO Centro espiratorio ed espirazione forzata ; del Dott. VinoRio Aducco Centro espiratorio. L'esistenza di un centro espiratorio è, in genere, ammessa dalla maggior parte dei fisiologi, come si può vedere consultando i più recenti trattati di Fisiologia. Se volessi riferire, non dico tutti, ma solo i principali lavori che vennero pubblicati sopra i centri del respiro dovrei certo diffondermi troppo lungamente. Del resto questi lavori sono diffusamente riassunti e discussi nelle pub- blicazioni di Markwald, di Langendorff, di Wertheimer, cbe citerò più sotto, in quella di Nitsclimann (1) ed in una rivista sintetica di Langlois e De Varigny (2). Perciò mi limito a ricordare fra i più recenti quelli che hanno maggiore attinenza con i fatti da me osservati. L. Fredericq (3), da esperienze fatte sopra animali profon- damente cloralizzati, venne condotto ad ammettere nella midolla allungata un centro di inspirazione ed un centro di espirazione, Langendorff (4) ammette nella midolla spinale dei centri espi- ratori che agirebbero per eccitamenti riflessi ed entrerebbero in attività spontaneamente ed anche in modo ritmico allorché l'ec- citabilità 0 l'automatismo dei centri inspiratori sono esauriti. (1) R. NiTSCHMANN, Beilrag zar Kenntniss des Alhmungscenlrums. Pfluger's. Archiv, 1885, voi. 35, p. 558. (2) P. Langlois et De Varigny, Les centres respiraloires. Revue des sciences médicales ea France et à l'étranger (Hayem); XVII année, T. xxxiii, n° 65, pp. 283-316 (3) L. Fredericq, Sur la théorie de Vinnervation respiratoire. Bulletins de l'Académie Royale Belgique; XLVII, n. 4, 1879 (Séance du 3 Février 1879). (4) 0. Langendorff und R. ISitschmann, Studien ùber die Innervation der Athembewegungen. — L Mittheilung, Ueher die spinalen Centren der Athmung. — Du Bois- Reymond's, Arch. Physiol. Abthlg. 1880, pp. 519-549. CENTRO ESPIRATORIO ED ESPIRAZIONE FORZATA 259 I. Bernstein (1) ritiene esista un centro espiratorio che entra in azione per influenza di stimoli speciali. Il sangue ricco di acido carbonico sarebbe essenzialmente un eccitante del centro espiratorio. A. Christiani (2) trovò tre centri respiratori di cui due per l'inspirazione ed uno per l'espirazione. Quest'ultimo avrebbe fun- zione inibitoria e sarebbe situato a livello dell'entrata dell'acque- dotto di Silvio. Max Marckwald (o), che esegu'i numerose ed accurate ricerche sopra Tinnervazione dei movimenti respiratori nel coniglio, venne anche alla conclusione che nella midolla allungata, oltre ad un centro inspiratore, vi è pure un centro espiratore. Questo sarebbe meno eccitabile, non funzionerebbe nella respirazione tranquilla e prenderebbe parte eccezionalmente al fenomeno del respiro. Perciò Max Marckwald lo considera come un centro espiratorio ausiliare (Hilfathemcentrum). E. Wertheimer in un primo lavoro pubblicato nel 1886 (4) afferma che nella regione inferiore della midolla spinale vi è un centro di azione ritmica per i principali muscoli espiratori. Questo centro, contrariamente a quanto trovò Langendorff, entrerebbe in attività anche indipendentemente dalla spossatezza dei centri inspiratori spinali. Secondo le esperienze di Wertheimer (5) quando si separa la midolla spinale dal bulbo, allora l'azione ritmica dei centri espi- ratori spinali tende a manifestarsi come quella dei centri inspi- ratori. E se in condizioni normali ciò non avviene vuol dire che il bulbo esercita su questi centri un'azione inibitoria che li man- tiene in riposo, a meno che non intervengano eccitamenti speciali. (i) I. Bernstein , Vebcr Einwirkung dcr Kohlensdure des Blut auf das Athemcentrum. — Du Bois-Hey.mond's Archiv. 1882. Physiol. AbtMg, pp. 312-321. (2; A. Christiani , Zur Phy siologie des Gehirns. Verhand d. Berliner physiol. Gesellschafl. — Du Bois-Reymond's , Aich. 1884, Physiol. Abthlg. pp. 465-470. (3) M. Marck.wald, Die Athembewegungen und deren Innervation beim Kaninchen. Zeitschrift frir Biologie. Voi. XXUI, 1886, pp. 149-283. (4) E. Weutheimbr, Recherc'ies expérimentales sur les centres respiratoires de la moelle épinière. Journal de l'Anat. et de la Physiol, norm. etpath. de l'homme et des animaux. 1886, voi. XXIF, pp. 458-507. (5) E. Wertheimer, Lavoro citato, pp. 500 e 507. 260 VITTORIO ADUCCO In un secondo lavoro, stampato nell'anno successivo (1), non si dimostra propenso ad ammettere l'esistenza di un centro espiratore bulbare individualizzato. Da quanto ho riferito si vede clie ne l'ubicazione, ne la na- tura, ne il modo di funzionare del centro espiratorio sono ben determinati (2). Per lo più finora gli esperimentatori si sono oc- cupati del centro respiratorio in genere , senza distinguere una parte inspiratoria ed una espiratoria. Sul centro respiratorio così considerato i lavori si sono moltiplicati da Legallois e da Flourens fino ad ora e si passò dalla massima centralizzazione alla mas- sima decentralizzazione; si passò dal concetto di un centro respi- ratorio bulbare motorio a quello di un centro inibitore. Proba- bilmente lo studio del centro espiratorio passerà per le stesse fasi. * * In un lavoro precedente ho già riferito parecchi casi di in- spirazione passiva, i quali mi pare depongano in favore dell'esi- stenza di un centro espiratore non semplicemente inibitore. Nello stesso senso parlerebbero le esperienze che ho fatto per dimostrare che la espirazione è sempre attiva (3), Inoltre nel corso di parecchi anni ho avuto occasione di fare numerose osservazioni, le quali mi pare possano esse pure contribuire a dimostrare l'esistenza di un centro espiratore o di parecchi centri espiratori. Perciò ho (Ij E. Wertheimer, Journal de VAnat. et de la Physiol., 1887, voi. XXIII, pp. 567-611. Ecco in qua! modo si esprime l'autore: « Ceux qui pensent que toutes les excitations périfériques qui agissent sur la respiration sont centralisées dans le bulbe, admettent aussi que l'arrèt ainsi obtenu est dù à la mise en jeu d'un centre special , le centre expirateur, distinct du centra inspirateur. Mais, en supposant mèrae que les excitations passent normalement par la moelle aliongée , les expériences rapportées plus haut montrent que l'exis- tence d'un centre expirateur n'est nuUement nécessaire». — « S'il y a bien dans la moelle des centres pour l'inspiration et des centres pour l'expira- tions active, on ne supposera sans doute pas qu'il s'y trouve un centre spe- cial qui preside à l'expiration passive ». (2) Vedi Albertoni e Stefani, A/awMa/e di Fisiologia umana ^ pp. 655-656. (3) V. Aducco, Espirazione attiva ed inspirazione passiva. Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino, voi. XXII e Archives italienaes de Bio- logie, voi. Vili, p. 194. CENTRO ESPIRATORIO ED ESPIRAZIONE FORZATA 261 creduto bene di raccogliere queste esperienze ricavandone per ora solo le conclusioni più ovvie. Mi riservo di ritornare fra non molto sopra tale argomento, giacche quanto andrò esponendo in questa nota costituisce in parte il primo materiale di un lavoro che non tarderò a pubblicare in extenso. Esperienza del 2 Marzo 1886. In questa esperienza si osservarono anche dei fatti che non riguardano direttamente la questione del centro espiratorio, ma che io riferirò egualmente perchè mi paiono interessanti. Ad un cane di media taglia scrivo il respiro toracico ed ad- dominale con due timpani a bottone. I movimenti vengono scritti sul motore di Marey con velocità minima. Il cane ha le vie respiratorie intatte. L'inspirazione è molto rapida, l'espirazione lentissima e dura dall'apice di una inspirazione alla base di un'altra. 11 diaframma è attivo. Il torace nella espirazione discende uniformemente e lentamente fino alla ascissa, l'addome verso la fine si deprime lentamente. 11 cane fa un gemito espiratorio il che spiega la lentezza della espirazione. Si inietta del laudano nella vena safena. Il respiro presenta dei periodi di maggiore e dei periodi di minore frequenza. Mentre si continua la registrazione dei movimenti respiratorii si osservano dei respiri molto più estesi degli altri. La espira- zione di queste grandi escursioni respiratorie abbassa il torace al disotto dell'ascissa. Nel tracciato, riprodotto nella fig. 1, si vede che il torace e l'addome fanno una profonda inspirazione. Segue l'espirazione che è rapida per l'addome, lenta pel torace. Mentre l'addome ritorna esattamente alla ascissa, il torace passa al disotto Questa iper- espirazione del torace fa sollevare le pareti dell'addome. La curva del torace non ritorna all'ascissa che dopo 6 atti respiratorii (1). II fatto che nell'ultimo tratto della espirazione toracica le pareti addominali si sollevarono, dimostra che solo il torace prese parte a tale movimento. Il fatto poi che la curva espiratoria (1) Si noti che i tracciati riprodotti nella tavola vanno letti da sinistra verso destra, e che le abbreviazioni Tor, e Add. significano rispettivamente torace ed addome. 26 2 VITTORIO ADl'CCO toracica si abbassò al disotto dell'ascissa mi pare che concordi con i risultati ottenuti da Hering e Breuer e più recentemente da Stefani e Sighicelli (1). Infine la posizione leggermente espiratoria in cui si mantenne il torace per 7 respiri si può spiegare o ammettendo un aumento di tonicità del centro espiratorio o una diminuzione di tonicità del centro inspiratorio (2). Dopo una nuova iniezione di laudano avviene una modifica- zione profonda che dimostra la indipendenza dei movimenti del diaframma dai movimenti del torace. Se si osserva la fig. 2 si vede, confrontando i punti di ri- trovo (R), che nei primi /^ della inspirazione toracica l'addome continua ad abbassarsi e che nell'ultimo terzo della inspirazione e nel primo della espirazione toracica l'addome si solleva; negli ultimi y^ della espirazione del torace l'addome si deprime. L'atto respiratorio dell'addome comincia solo a metà circa dell'intera durata di tutto l'atto respiratorio del torace. Essendo nato il sospetto che la resistenza opposta dalla trachea, laringe, faringe, fosse nasali non fosse la causa della lunghezza della espirazione, faccio la tracheotomia ed innesto nella trachea un tubo che ne ha il calibro. Il respiro scritto subito dopo la tracheotomia si presenta molto cambiato. L'espirazione dell'addome dura molto meno di quella del torace, dimodoché il respiro dell'addome è come compreso in quello del torace. Comincia dopo e finisce prima. Questo fatto diventa tanto più manifesto quanto più si procede avanti nel- l'esperienza. L'espirazione toracica, malgrado l'apertura della trachea, è di- ventata molto più lenta di prima. Talora ci sono delle profonde inspirazioni in cui il torace si solleva moltissimo e poi si abbassa lentissimamente fino al livello normale. In queste escursioni più cospicue l'addome fa un mo- vimento più alto, ma ritorna rapidamente alla posizione di riposo. (1) h. Stefani e C. Sighiceijj, In qual modo il vago polmonare modifica il ritmo del respiro quando aum.enta e quando diminuisce la pressione nella cavità dei polmoni. Lo Sperimentale, luglio 1888; Archives ital. de Biologie, voi. XI, p. 143. (2) A. Mosso , La respirazione periodica e la respirazione di lusso. Me- morie della K. Accademia dei Lincei, serie IV, voi. 1. CENTRO ESPIRATORIO ED ESPIRAZIONE FORZATA 263 Mettendo un foglio di carta davanti alla cannula tracheale si osserva che nell 'abbassarsi delle pareti addominali l'aria esce con violenza allontanando con forza il foglio : in seguito esce lentamente ed uniformemente ed il foglio ricade alquanto e si mantiene ad una altezza costante fino al termine della espirazione toracica. Talora, come si vede nella figura 3, mentre il torace fa un solo movimento, il diaframma ne fa due molto rapidi (N). Altre volte anche tre (P). Una volta si ebbero perfino quattro movimenti dell'addome compresi in uno del torace. In una linea del tracciato si contano 10 respiri del torace e 30 dell'addome (1). Si noti che all'inspirazione del torace corrisponde sempre una inspirazione dell'addome. È durante la lunghissima espirazione del torace che avvengono gli altri atti respiratori dell'addome. La descritta forma di re- spiro scompare in seguito alla iniezione di gr. 0,12 di cocaina, come si vede nella fig. 4. I denti, che si osservano nel tracciato del torace della fig. 4, sono scosse del pellicciaio ; quelli invece più regolari , che esi- stono nel tracciato del torace della fig. 3 , sono prodotti dalle contrazioni del cuore. Dopo l'iniezione di cocaina i centri del torace e del dia- framma funzionano sincronamente e regolarmente. Solo rara- mente si osserva una tendenza alla irregolarità (in A). Ripetendo di nuovo le iniezioni di laudano la forma re- spiratoria ritorna ancora al tipo di prima. Le pareti addominali si mantengono sempre inerti. In questa esperienza il fatto che colpisce maggiormente è la diiferenza tra il modo con cui si compie l'espirazione nel torace e nell'addome tanto prima quanto dopo la tracheotomia e spe- cialmente dopo. Siccome le pareti addominali non diedero mai segno di at- tività, bisogna ammettere che l'espirazione deiraddome si com- piesse passivamente. (1) Questo fatto e quello della fig. 2 confermano quanto il profj A. Mosso osservò e riferì in parecchi suoi lavori , che cioè esiste una certa indipen- denza tra il respiro toracico ed il respiro diaframmatico. Anche Stefani e Sighicelli nel lavoro sopraccennato riportano un tracciato che dimostra un fatto analogo. 264 VITTORIO ADUCCO Se anche l'espirazione del torace fosse stata passiva, per quale ragione non avrebbe dovuto compiersi nello stesso modo e nello stesso tempo? Qui anzi l'andamento della curva descritta dal torace che si deprime è analogo a quello di un muscolo che entra in con- trazione tetanica. Ho avuto occasione di raccogliere il tracciato del respiro di un cane, nel quale durante l'espirazione si vedevano quelle legge- rissime ondulazioni o quei minutissimi denti che un muscolo pre- senta quando riceve un numero di stimoli che non è ancora quello capace di tetanizzarlo, ma che gli è molto vicino (1). Nella fig. 5 se si conta il numero dei denti scritti in un mi- nuto secondo, si vede che sono 14-15. Questa osservazione dimostra che l'espirazione è dovuta ad apparecchi muscolari, i quali ricevono gli impulsi da un centro motore loro proprio. Gli impulsi devono essere più di 15 al se- condo perchè la liuea della espirazione sia regolare. Nel caso presente l'espirazione attiva del torace è tale che non si potrebbe spiegare a meno di ammettere l'esistenza di un centro espiratore di azione motoria. Esperienza dei 27 Maggio 1886. Un cane col cranio trapanato e con un termometro immerso nel cervello aveva una temperatura rettale altissima. Per abbas- sarla si iniettano in più riprese 6 gr. di idrato di cloralio nella cavità del peritoneo. (1) ìMax Marckwalo determinò il numero di stimoli per minuto secondo necessario a produrre nel diaframma del coniglio una conti-azione respi- i-atoria normale. Aveva già stabilito che il movimento inspiratorio del dia- framma non è una scossa ma una contrazione. Eccitando i due frenici di un coniglio (al quale aveva sezionata la midolla allungata al disotto del centro respiratorio) con degli stimoli elettrici indotti, che si l'ipetevano un certo numero di volte al secondo, trovò che erano necessarii circa 22 eccitamenti al secondo per produrre nel diaframma una contrazione analoga alla con- trazione inspiratoria normale: se gli eccitamenti erano solo 18 al secondo si avevano nel tracciato 18 denti al secondo. {Die Alhembewegungen und deren Innervation beim Kaninchen. Zeitschrift fur Biologie XXJII, Bd. 2 Hefì 1886. p. 169-171}. CENTRO ESPIRATORIO ED ESPIRAZIONE FORZATA 265 Dopo l'iniezione il cane ha un respiro molto raro. Gli ap- plico sul torace un pneumografo di Marey e scrivo i movimenti della respirazione col motore di Marey, velocità minima. Nel tracciato le linee discendenti rappresentano le inspira- zioni, le ascendenti rappresentano le espirazioni. Riproduco nella figura 6 le quattro forme di respiro che il cane presentò prima di morire. Da a e (3 il respiro toracico non presenta nulla di notevole. A partire da y si vede che il torace nella espirazione (cb) si ab- bassa al disotto del punto di partenza della inspirazione (a). Dopo essersi così abbassato ritorna in posto lentamente (ba ) ed allora comincia l'inspirazione. Questo fatto è ancora più marcato da £ ad v:. Scritta quest' ultima linea il cane cessò di respirare ; si credeva che fosse morto, giacché non si sentiva più nemmeno l'impulso cardiaco. Il cilindro fece parecchi giri e dopo di un minuto si ebbero ancora i tre movimenti respiratori re- gistrati nella 4* linea (5). Ciascuno di questi tre movimenti è costituito da una espirazione {a h) che abbassa il torace al disotto della posizione di riposo (XY). Segue l'inspirazione {he) per cui il torace ritorna alla posizione di riposo e poi passa al disopra. In ultimo si ha una nuova espirazione [ed) che riconduce il torace alla posizione dell'apnea. Abbiamo qui un atto respiratorio composto di una inspirazione situata tra due espirazioni. La espirazione che precede dimostra che il centro espira- torio non agisce come inibitore del centro inspiratorio, ma che esso sviluppa degli impulsi motori diretti. Ciò è pure con- fermato dal fatto della espirazione che abbassa il torace al di- sotto della linea di riposo. Nel caso attuale non si può pensare neppure ad una aumen- tata tonicità perchè il torace dopo essersi abbassato al disotto della ascissa ritorna di nuovo in sito per la propria elasticità. Basta confrontare il presente tracciato con quello della fig. 1 per riconoscere gli effetti prodotti da aumento o da una dimi- nuzione di tonicità dei centri respiratori dall'effetto prodotto da una scarica più energica e momentanea di impulsi. 266 VITTORIO ADUCCO Esperienza del 6 Luglio 1886, In un cane, che moriva per aver ricevuto la dose mortale di cocaina, osservai che il torace continuò a deprimersi lenta- mente finche il cuore funzionò. Poi incominciò un movimento di dilatazione che terminò solo dopo parecchi minuti. In questo caso il torace si abbassò al disotto del limite al quale poteva venir portato dal peso e dalla elasticità delle sue pareti. Abbiamo qui un altro fatto che dimostra l'attività della espirazione e l'esistenza di un centro motore della espirazione. 11 centro espiratorio, ancora capace di funzionare mentre il centro inspiratorio era già paralizzato, fece restringere i diametri del torace. Quando cessò anche la funzionalità del centro della espirazione, allora il torace si dilatò fino alla ampiezza normale per l'elasticità delle sue pareti. Esperienza del 29 Gennaio 1886. VELENI ESPIRATORI. Oltrecchè dai fatti accennati, l'esistenza di un centro espira- torio, non inibitore ma motore, è provata da ciò che vi sono delle sostanze, le quali sono capaci di eccitarlo, provocandolo ad una funzionalità esagerata, mentre lasciano il centro inspiratorio nelle condizioni normali e ne affievoliscono 1 attività. Già le esperienze di Leon Fredericq (1) conducono ad am- (1) L. Fredericq, Surla théorie de Vinnervation respiratoire. Bulletina de l'Académie royale Belgique, XLVII, n° 4, 1878. (Séance du 3 février 1879 — In questo lavoro l'autore annunzia di aver trovato nell'idrato di cloralio un mezzo « di sopprimere l'azione delle fibre inspiratrici del vago o piuttosto di deprimere l'eccitabilità del centro a cui accorrono queste fibre. Allora le fibre espiratorie diventano predominanti » « C'est dans les quelques rai- nutes qui précèdent le dei-nier mouvement respiratoire de l'anima! qu'oa obtient des résultats absolument constants. Toute excitation mécanique, chi- mique ou électrique arrète la respiration en expiration : celle-ci reprend, dèa que l'on suspend l'application de l'excitant. Les résultats obtenus de cette facon présentent un tei degré de constance, que l'on peut, en ouvrant et en fermant la clef intercalée dans le circuit électrique, modifier à son gre le rythme respiratoire de l'animai ». — «ISous sommes alasi amenésà considérer dans la moelle allongée un centre d'inspiration et un centre d'expiration, le chloral agissant pour paralyser le premier». CENTRO ESPIRATORIO ED ESPIRAZIONE FORZATA 267 mettere nella midolla allungata un centro di inspirazione ed un centro di espirazione. Il vago conterrebbe delle fibre che vanno all'uno ed all'altro dei due centri. Se si raffredda energicamente il bulbo di un coniglio o si avvelena l'animale con forti dosi di cloralio, allora il centro inspiratorio vien depresso , paralizzato. In tale condizione lo stimolo del bulbo o quello del vago hanno effetto espiratorio. Avremmo così nel cloralio una sostanza che agisce in senso espiratorio. Il cloralio paralizzerebbe il centro inspiratore ed allora si potrebbe osservare l'attività del centro espiratore. In tutte le esperienze nelle quali io avvelenai i cani col cloralio osservai sempre una grande attività espiratoria, che si potrebbe dire spontanea, perchè non provocata eccitando artificialmente il vago ed il bulbo rachideo. L. Lewin (1) trovò che il nitro-benzolo promuove i movi- menti espiratori. Anche il laudano sarebbe un veleno da classificarsi fra quelli che eccitano la espirazione. Ciò è provato dalla prima delle esperienze, che riferii in questo capitolo, e da un'altra che ri- porterò nel capitolo seguente sopra la espirazione forzata. La stessa cosa posso dire per la piridina. Ho voluto provare V azione della aconitina , che secondo Lauder Brunton (2), sarebbe una sostanza espiratoria. Dopo aver fatto la tracheotomia ad un cane scrivo il respiro normale del torace con un pneumografo di Marey , nuovo mo- dello (fig. 7). L'inspirazione e l'espirazione hanno ad un dipresso la stessa durata. Poi si inietta 1 ce. di una soluzione 1 'Yo ^^ cloridrato di aconitina. Poco dopo si hanno delle profondissime e lunghissime espirazioni nelle quali il torace si deprime assai più di quel che non suole normalmente. Per assicurarmi che il torace si deprimeva al di là della posizione di riposo cercai di determinare questa posizione, che (1) L. Lewin, Lehrbuch der Toxihologie; 1885, pag. 226-220. « Ebenso verhalt sich die Athmuog, die an Haufigkeit balJ nachlàsst und mitunter active Rxpirationen erkennen làsst » (2) Lm'der Brunton, .4. Text-book of pharmacologie, therapeutics and ma- teria medica. London, 1885. Macmillon and Co. 749 750. 208 VITTORIO ADUCCO nel tracciato rappresenterebbe poi T ascissa. Perciò feci lunga- mente la respirazione artificiale fino ad avere l'apnea completa. La posizione delle pareti toraciche nell'apnea è la posizione di riposo e la leva del timpano scrive una linea quasi orizzontale. Il primo movimento respiratorio che si ebbe dopo l'apnea, non fu una inspirazione, ma una profonda espirazione (fig. 8). In tale espirazione il torace si abbassò molto al disotto della posizione di riposo (AB). 11 fatto si ripete parecchie volte. Nella fig, 8 sono riportati due dei tracciati ottenuti in tal modo. L'eccitazione del centro espiratorio era così grande che ci furono dei lunghi periodi durante i quali si eseguiva una serie di escursioni respiratorie mentre il torace era in posizione espiratoria. Di questo fatto riferisco un esempio nella fig. 9. Mentre gli impulsi che partivano dal centro espiratorio tene- vano il torace e l'addome in posizione espiratoria forzata, par- tivano pure degli impulsi dal centro inspiratore. Questi ultimi però, per il prevalere del centro espiratorio, non potevano aver tutto il loro effetto e riescivano solo a sollevare il torace di un piccolo tratto. Solamente quando il centro espiratorio si stancò si ebbe una ispirazione completa. Questa forma di respiro si ripetè numerose volte durante l'esperienza. In tutta la durata del periodo si osserva nelle linee discen- denti, che rappresentano l'inspirazione, un dente il quale è tanto piii alto, quanto più estesa è l'inspirazione. Questo dente rappresenta una scarica di ordini dal centro espiratore che avviene durante la stessa inspirazione. IL Espirazione forzata. I movimenti del respiro possono essere calmi e tranquilli oppure forzati. Nella inspirazione forzata entrano in azione in- sieme ai muscoli, che eseguiscono la inspirazione tranquilla, anche altri muscoli del torace, del dorso e del collo, talora perfino della faccia. La stessa cosa avviene nella espirazione. Quando il respiro è tranquillo, è facile con la semplice osservazione riconoscere sopra noi stessi e sopra gli animali che le pareti addominali sono CENTRO ESPIRATORIO ED ESPIRAZIONE FORZATA 269 inerti tanto nella inspirazione quanto nella espirazione , salvo rare eccezioni. Se la respirazione è violenta allora anche l'espi- razione viene compiuta, oltreché dai muscoli, che la eseguiscono normalmente, anche da altri gruppi muscolari, specialmente da quelli dell'addome. L'espirazione forzata è la esagerazione delle forze espiratorie che agiscono normalmente, colla partecipazione di altre potenze che normalmente sono in quiete. L'espirazione forzata sta alla espirazione calma come l'inspirazione forzata sta alla inspirazione calma. Nello studio che stiamo per fare è necessario che ci addentriamo di più nell'esame del meccanismo della espirazione forzata. Ho già riprodotto in un altro lavoro un tracciato della re- spirazione toracica ed addominale di un cane, che aveva le pareti addominali talmente inerti da presentare delle vere oscillazioni ad ogni movimento rapido ed energico del torace. Il cane aveva una espirazione, che si può considerare come forzata, ed alla quale evidentemente prendeva parte il solo torace (1). In tale lavoro ho pure descritto il modo di respirare di un cane che aveva le pareti dell" addome tagliate ed aperto il diaframma. Questo cane presentava una forte espirazione tutta a spese del torace (2). Infine nel presente lavoro ho già riferito una forma di respiro nel quale l'espirazione era attiva e prettamente toracica (vedi fig. 3). Ci troviamo in tutti questi casi in presenza di forti espirazioni che si compiono per opera dei muscoli del torace. Probabilmente è uno sforzo maggiore eseguito dai muscoli espiratori normali. A lato di questa prima forma di espirazione forzata si os- serva per lo più un'altra forma, a cui prendono parte i muscoli addominali. Esperienza del 19 Novembre 1885. Si fissa un piccolo cane sull' apparecchio di contenzione di Kothe. Questo apparecchio è cosi fatto che si può dare al cane qualunque posizione senza slegarlo. Si inietta del cloralio in solu- (1) V. Aducco, Espirazione attiva ed inspirazione passiva. Alti della Regia Accad. delle Scienze di Torino; voi. XXII, 1887. (2) V. AduccOj Vedi lavoro citato. Aiti della R Accad. - Parie Fisica, ecc. — Voi. XXIV. 20 270 VITTORIO ADUCCO zione al 50 Y^^ (gr. 0,50) nella vena giugulare dopo avergli fatta la tracheotomia. Scrivo il respiro per mezzo di timpani con bottone applicati sullo sterno ed a lato della linea alba addominale sempre alla stessa altezza. Subito dopo la tracheotomia e prima dell'iniezione il cane presentò ad intervalli un respiro molto frequente e molto violento nel quale l'addome faceva dei forti movimenti espiratori. Fatta r iniezione sorvenne rapidamente la calma. La respira- zione del torace prevaleva sulla diaframmatica. Chi osserva la fig. 10 vede che nel tracciato dell'addome (linea inferiore) vi sono, durante la pausa, delle onde; esse dipen- dono da spostamenti della massa delle intestina. Con la mano era facile riconoscere che questi sollevamenti non provenivano da contrazioni dei muscoli delle pareti addominali. Ho citato questo caso perchè tale forma di respiro potrebbe simulare una espira- zione forzata deiraddorae. La palpazione però permette subito di stabilire se si tratti di movimenti intestinali o di espirazione addominale. Nella presente esperienza , finche si tenne l'animale oriz- zontale, la respirazione si mantenne calma, tranquilla, piuttosto rara , con predominio delle escursioni del torace, come indica la fig. 11. Nello stesso modo si comportava il respiro quando il cane veniva messo verticale con la testa in basso; ma cambiava af- fatto mettendo il cane verticale con la testa in alto. La prima volta che si fece passare il cane dalla posizione orizzontale o verticale con la testa in basso alla posizione ver- ticale con la testa in alto si osservò : 1° Una tendenza al periodare (Si avevano di tanto in tanto delle pause respiratorie più lunghe delle altre). 2° Un prevalere per qualche minuto delle escursioni respi- ratorie addominali. 3° Una maggiore energia delle contrazioni cardiache. 4° L'espirazione forzata delle pareti addominali. Basta dare un' occhiata alla fig. 12 per assicurarsi del fatto. È manifesta la tendenza al periodo, la prevalenza dell'addome nel primo tracciato e la espirazione forzata dell'addome. Nella linea discendente dell'atto respiratorio addominale si osserva un dente, che è anche più marcato nel tracciato 2" della stessa figura. Questo dente corrisponde al cominciare della espirazione forzata, CENTRO ESPlRATOinO ED ESPIRAZIONE FORZATA 271 la quale continua fino all'ascissa. Una prova che qui si tratta veramente di una espirazione forzata, dovuta alla contrazione dei muscoli addominali , si può ricavare dal tracciato del torace. L'espirazione attiva dell'addome dura per tutta la pausa del torace. Ora la contrazione dei muscoli addominali spinge in parte contro il diaframma i visceri contenuti nell'addome e la cavità toracica deve dilatarsi. Tale dilatazione si vede in modo chiarissimo nel tracciato del torace durante la pausa ; il quale è costituito da una linea che va ascendendo, finché dura l'espi- razione dell'addome , e poi cade rapidamente. Dopo questa prima prova lasciai il cane in riposo per qualche tempo. Quando il respiro fu ritornato alla forma normale della posizione orizzontale, ripetei l'esperienza. Si osservarono gli stessi fatti che nella esperienza precedente, senonchè la espirazione forzata dell'addome si presentò sotto altra forma (fig. 13). Mentre prima si aveva una linea discendente continua inter- rotta solo da un dente, qui invece si ha prima una rapida di- scesa fino ad a, poi da a fino in e si ha una linea ascendente e da e a 6 una linea discendente. La prima volta che si mise il cane colla testa in alto si vide che, durante l'espirazione, la parete addominale anteriore si deprimeva mentre le pareti laterali si dilatavano. Si potè pure sentire con la mano la contrazione dei muscoli retti anteriori. Nei tracciati della fig. 12 il tratto di linea discendente che sta al di sopra del dente rappresenta la parte passiva, il tratto sottostante indica la parte attiva della espirazione addominale. Si aveva cioè una espirazione dovuta ai muscoli retti ante- riori dall'addome. Il suo effetto meccanico era di diminuire il diametro antero-posteriore dell'addome e di dilatarne il diametro trasverso. Quando era violoita deprimeva anche le pareti del torace. Quando non era molto forte l'effetto di depressione era compensato e superato dalla dilatazione prodotta dai visceri cac- ciati contro il diaframma e la cavità toracica. La seconda volta che si mise il cane con la testa in alto si ebbero degli effetti piìi complessi. Con la mano si sentivano indurirsi e contrarsi le pareti laterali dell'addome e contempora- neamente sollevarsi la parete anteriore, poi anche questa si induriva e si deprimeva. Nella fig. 13 (Add.) sono registrati questi movimenti. Fino ad a l'espirazione è passiva. Da a a e sono i muscoli laterali dell'ad- 272 VITTORIO APUCCO dome clie contraendosi ne diminuiscono il diametro trasversale ed aumentano Tantero-posteriore. da e a ?^ entrano pure in azione i muscoli retti ed allora si restringe il diametro antere-posteriore. L'espirazione attiva dell'addome può avvenire per Fazione dei muscoli laterali e dei muscoli anteriori dell'addome. In una tale forma di espirazione gli impulsi che partono dai centri dei muscoli laterali possono precedere quelli che partono dal centro dei muscoli anteriori. Abbiamo visto che i muscoli anteriori dell'addome possono funzionare da soli. Abbiamo visto che gli impulsi centrali, che mettono in contrazione i muscoli retti ed i muscoli laterali, pos- sono non essere simultanei. Dobbiamo quindi conchiudere che per l'addome ci sono due apparecchi periferici muscolari, presieduti ciascuno da un centro, capaci di funzionare come espiratori ed indipendenti tanto anatomicamente quanto fisiologicamente. In questa esperienza osservammo costantemente il fatto che l'espi- razione attiva addominale compariva solamente quando si metteva il cane nella posizione verticale con la testa in alto. Dalle ricerche di Filippo Knoll (1) risulterebbe che ci sono tre categorie di nervi. Cioè : 1° nervi il cui stimolo produce effetto inspiratorio ; 2" nervi il cui stimolo produce effetto espiratorio ; 3° nervi il cui stimolo produce tanto un effetto inspira- torio quanto un effetto espiratorio. Alla seconda categoria di nervi apparterrebbe il nervo splancnico. Ho voluto riassumere i risultati delle esperienze di Knoll, perchè non mi pare improbabile che sia lo stiracchiamento sub'ito dallo splancnico nella posizione col capo in alto la causa che dà luogo ai notati effetti espiratori. Non ho potuto finora fare delle ricerche in proposito, ma non mancherò di farle appena mi si presenterà l'occasione. Esperienza del 1° Dicembre 1885. Un cane tracheotomizzato, legato sul supporto di Kothe, dispo- sto orizzontalmente, presenta una violentissima espirazione attiva dei muscoli addominali. Vi sono dei periodi in cui il respiro è ;1) Ph. Knoi.l, Beitrdge zur Lehre von der Athmungsinnervation, Fùnfte Mittheilung; Athmung bei Erregung sensibler Nerven. Aus dem xcii Bando der kais. Akad. der Wissensch. HI. Abth. Juli, Heft Jahrg. 1885. CENTRO ESPIRATORIO ED ESPIRAZIO.SE FORZATA 2/3 affannosissimo con prevalenza della espirazione. Quando gli accessi sono nel loro acme allora le contrazioni dei muscoli addominali sono così forti che proiettano in avanti ed in alto il bacino. Un peso di 10 Kg. posto sull'addome viene sollevato dalla potenza muscolare. L'espirazione forzata cessò solamente dopo l'iniezione di 5 gr. di idrato di cloralio (1) Dopo le prime iniezioni, che erano state insufficienti, si poteva far cessare immediatamente la espirazione dell'addome mettendo il cane colla testa in basso. Kimettendolo orizzontale la espirazione addominale ricompariva ma dopo un tempo piuttosto lungo; ricompariva invece immedia- tamente mettendolo col capo in alto. Con questo ultimo mezzo si poteva far ricomparire la espirazione dell'addome anche dopo averla soppressa con l'iniezione di 5 grammi di cloralio. Esperienza del 5 Dicembre 1886. Piccolo cane del peso di gr. 6380: tracheotomia. Riceve in 17 volte grammi 2,8 di piridina (soluzione al 16, 6 /^) nella vena giugulare. Scrivo i movimenti respiratori di tre punti diversi, torace, addome e lombi, con dei timpani a bottone. I timpani sono si- tuati sulla parte anteriore dello sterno, a metà della linea alba a quattro dita trasverse di distanza dalla colonna vertebrale. Già dopo le prime iniezioni di piridina comparve l'espirazione attiva addominale. La cosa diventò molto più evidente alle ultime inie- zioni. Riproduco un tracciato (fig. 14) raccolto dopo la 14" inie- zione, ed in cui si vede con la massima evidenza che le pareti laterali dell'addome si contraggono, mentre la parete anteriore ri- mane inerte. Se dividiamo l'atto respiratorio del torace, dell'addome e dei lombi in parti eguali e corrispondenti, in guisa che le divisioni cadano sui punti più alti e sui più bassi delle curve, potremo esaminare ciò che in un dato tempo è avvenuto nel torace, nel- l'addome e nei lombi contemporaneamente. Raccolgo, perchè siano più evidenti, i risultati di tale esame in una tavola. In questa tavola addome vuol dire parete anteriore dell'addome (muscoli (1) Il cloralio, quantunque sia un veleno espiratorio, tuttavia nei casi di eccessiva violenza dei movimenti espiratori, dovuta, per esempio a stimoli che agiscono sulle vie aeree, manifesta la sua azione calmante. 274 VITTORIO ADUCCO retti), ìomhi vuol dire pareti laterali deiraddome (muscoli obliqui e trasversi, ed eventualmente quadrato dei lombi). TORACE ADDOME LOMBI DA Inspirazione . . Leggerissima dilata- Dilatazione quasi ira- zionp. percettibile. AB Espirazione . . Immobilità Immobilità. BC Dilatazione . . Dilatazione Restringimento. Espi- razione forzata CD Restringimento Restringimento .... Dilatazione. Come si vede dalla figura 14 e dalla tabella, l'addome, du- rante Finterò atto respiratorio del torace, è passivo. La sua at- tività comincia soltanto nella pausa respiratoria. Questa espirazione attiva non è compiuta da tutto l'addome , ma solamente dalle pareti laterali, mentre la parete anteriore rimane inerte e passiva. La contrazione dei muscoli laterali dell'addome fa sì che il diametro trasverso si restringa, che il diametro antero-posteriore si allarghi, che il torace si dilati. Perciò nel tracciato si vede che da B fino a C la linea inferiore (lombi) si abbassa, la media (addome) si solleva, la superiore (torace) si solleva pure. La di- latazione del torace provocata dalla espirazione lombare, non ha effetto inspiratone, essendo dovuta allo spostamento in avanti ed in alto delle masse intestinali. Il sistema dei muscoli laterali dell'addome adunque può fun- zionare indipendentemente dal sistema dei muscoli retti. Il suo effetto meccanico è di diminuire il diametro trasverso dell'addome e di aumentare il diametro verticale. Esperienza del 22 Gennaio 1886. Ad un cane si erano iniettati il giorno 21 gr. 0,04 di clo- ridrato di cocaina nella trachea. 11 giorno dopo questo cane, che aveva una grossa cannula nella trachea, respirava con difficoltà, come chi ha un impedimento nelle vie respiratorie. E notevole che in tale animale esisteva paralisi della parte laterale destra dell'addome. Durante la pausa respiratoria la parete laterale sinistra dell'addome si contraeva fortemente producendo una espi- razione forzata. A destra l'addome era inerte e seguiva in senso inverso i movimenti della parte sinistra. La fig. 15 venne scritta CENTRO ESPIRATORIO ED ESPIRAZIONE FORZATA 275 con due timpani a bottone, uno sul torace, l'altro sull'addome (li- nea alba). Durante l'espirazione toracica l'addome veniva dap- prima trascinato fortemente in alto e si aveva il primo tratto della linea ascendente addominale fino in y.. Ma poi mentre il torace stava in riposo, l'addome subiva un leggero restringimento (a m) dopo si sollevava fino in oj. Questo sollevarsi anteriormente del- l'addome era dovuto ad una contrazione dei muscoli laterali, che funzionavano mentre i muscoli retti restavano inerti. Durante l'inspirazione del torace la linea addominale si abbassava rapida- mente, il che indica che il diaframma non funzionava. Nello stesso cane si osservò pure un' altra forma di espira- zione forzata dei muscoli laterali dell'addome. L'energia della con- trazione era più grande, per cui il torace veniva leggermente di- latato, come si vede nella fig. IG. Inoltre a questa espirazione prendevano parte anche i muscoli retti. L'espirazione toracica ai) faceva sollevare l'addome. Poi mentre il torace stava in riposo avveniva una contrazione dei muscoli retti, che produceva una depressione dell'addome (h e). Infine compariva la forte contra- zione dei muscoli laterali {ed). Anche qui si vede evidentemente una indipendenza di funzione tra i due apparecchi espiratori dell'addome. Esperienza del 3 Marzo 1886. Cane non tracheotomizzato. Iniezione di 2 gr. di laudano nella safena. Il diaframma non funziona più. Nella espirazione si ab- bassa la parete anteriore dell'addome mentre le pareti laterali si dilatano. Se si afì'errano tra le dita i muscoli retti dell'addome si sente che nella inspirazione sono flaccidi, nella espirazione si in- durano, si tendono e sfuggono violentemente, perchè si avvicinano alla colonna vertebrale. In questo momento le pareti laterali del- l'addome si gonfiano rapidamente. Pongo un timpano a bottone sul torace, parte mediana, ed un altro timpano simile sulla parete laterale dell'addome (lombi). Kaccolgo il tracciato della fig. 17, dove si vede che durante l'espirazione le pareti laterali dell'addome si sollevano (a w). Nell'inspirazione l'addome è passivo. In questo caso i muscoli retti dell'addome funzionavano mentre i muscoli obliqui e trasversi erano inerti. In questa esperienza ho osservato un fatto, che voglio ricor- 276 VITTOEIO ADUCCO dare, perchè dimostra l'influenza che il dolore può esercitare sopra la respirazione di un animale avvelenato col laudano. Avendo provocato un forte dolore si ebbe nel torace una grande inspirazione (fìg. 18). 11 torace restò in posizione inspi- ratoria per dieci atti respiratori ali 'incirca, Pei'ò andò gradata- mente abbassandosi fino alla posizione normale. Nessuna modifica - zione simile si notò neiraddome. Si vede quindi che la respirazione di un animale laudanizzato reagisce al dolore imprimendo al torace una posizione inspiratoria, probabilmente per una diminuzione della tonicità del centro espiratorio. Eitengo che tale sia la causa della posizione presa dal torace in seguito all'azione del dolore in primo luogo perché il laudano nelle mie esperienze produsse sempre una iperattività espiratoria ; in secondo luogo perchè, secondo le ricerche di Bubnoff ed Heidenhain (1), gli eccitamenti sperimentali tenderebbero a sviluppare nella cellula nervosa i processi che in quel dato momento sono meno attivi, cioè quando la cellula è in riposo darebbero luogo ad eccita- mento, quando è eccitata produrrebero inibizione. Dalle esperienze che ho esposto risulta adunque che l'espi- razione forzata non è una unità funzionale che si compia sempre nello stesso modo e con gli stessi elementi. L'espirazione forzata può compiersi o per opera del torace o per opera dell'addome. Nel torace si trova un solo meccanesimo espiratorio che fun- ziona tanto nella espirazione calma quanto nella forzata. In questo secondo caso la sua attività è maggiore, Nell'addome si trovano due meccanesimi espiratori. Quello dei muscoli retti anteriori e quello dei muscoli laterali. (1) N. Bubnoff e R. Heidenhain, Veber Erregungs-und Hemmungs- vorgànge innerhalb der motorischen Hirncentren. — Pflìjger's. Archiv 1881, voi. 26, pp. 137 - 200. In un lavoro, che ho fatto insieme al Dott. Rey, si trovò, conformemente ai risultati di Bubnoff ed Heidenhain, che lo stimolo elettrico del moncone centrale del vago produceva abbassamento della pressione sanguigna tutte le volte che quest'ultima al momento dell'eccitamento era già alta. (C. Rky e V. Aducco, La pre'ssione arteriosa in rapporto con V eccitamento del capo centrale del vago. Bullett. della R, AccaJ. Med. di Roma. Anno XHl, 1886-87, fase. 3°). V. ADUCCO - Centro espiratorio ed espirazione forzata. Tav. V. LitSalussolia.To CENTEO ESPIRATORIO ED ESPIRAZIONE FORZATA 277 Questi tre meccanesimi espiratori possono fuDzionare o in modo simultaneo e sincrono , o simultaneo ed asincrono, oppure isola- tamente l'uno dall'altro. La disposizione, la direzione delle fibre, le inserzioni dei mu- scoli addominali spiegano le due ultime forme di espirazione. In un lavoro di morfologia che sto facendo studierò dettagliatamente i muscoli respiratori del cane. Per ora mi contenterò di dire in compendio ciò che è strettamente necessario per intendere il modo di funzionare dei muscoli addominali. I muscoli retti dal pube si estendono fino alla prima costa, dove si inseriscono per mezzo della estremità anteriore di una lamina aponevrotica. II muscolo grande obliquo diretto dall'alto al basso, dal- l'avanti all'indietro, è per lo. più composto di nove fasci, che si inseriscono al bordo posteriore delle nove ultime coste da una parte, dall'altra all'aponevrosi che ricopre i muscoli retti fino alla loro inserzione pubica. Il muscolo piccolo obliquo è spesso diviso in quattro fasci di cui i tre primi ed una parte dell'ultimo diretti dall'alto al basso e dall'indietro all'avanti, il resto prende anzitutto una direzione meno obliqua, poi verticale, infine in senso inverso. Nell'insieme le sue fibre sono perpendicolari a quelle del grande obliquo. Infe- riormente si attacca all'aponevrosi che ricopre il muscolo tra- sverso, superiormente all'aponevrosi lombo-sacrale. Il muscolo trasverso è composto di numerosi fasci diretti tutti verso la linea mediana perpendicolarmente al piano mediano del corpo. Si inserisce alla apofisi ensiforme, alle ultime coste, alle apofisi trasverse lombari ed all'aponevrosi addominale profonda. Per ciò che riguarda l'effetto prodotto dal loro contrarsi, si capisce che il retto anteriore deve, quando i suoi punti di in- serzione sono immobili, avvicinare la parete addominale anteriore alla colonna vertebrale e quindi diminuire il diametro antero- posteriore dell'addome. Gli altri tre muscoli si comportano in modo analogo al diaframma ; vale a dire : le loro fibre, che nel riposo seguono la curva a concavità interna delle pareti addo- minali, formando una specie di grande docciatura che accoglie le intestina, prendono, contraendosi, una direzione rettilinea e la aoc- ciatura si appiana spingendo i visceri dell'addome. Quindi viene diminuito il diametro trasverso ed aumentato l'antero-posteriore. Laboratorio di Fisiologia della R. Università di Torino. 278 Y. GRANDIS Su certi cristalli che si trovano dentro il nucleo delle cellule nel rene e nel fegato : Kicerclie del Dott. V. Grandis 1, Per consiglio del prof. Mosso ho intrapreso uno studio delle modificazioni istologiche che avvengono nel rene in conseguenza della sua funzione. Eiferirò in altra memoria i risultati che ot- tenni : per ora mi limiterò a parlare dei cristalli , che osservai nel nucleo di cellule degli epitelii renali e nelle cellule epati- tiche, dei quali cristalli non mi consta che altri abbia fatto menzione . Per avere la certezza che gli organi fossero del tutto nor- mali esportavo un rene dall'animale ancora vivo, ne mettevo subito una parte nei liquidi fissatori, cioè alcool, acido osmico, sublimato corrosivo, liquido di Flemming; il rimanente lo esa- minavo a fresco. Kaschiavo la porzione corticale dell'organo , vi aggiungevo una goccia di soluzione di cloruro di sodio al 0,75 ^/^ o di glicerina. Esaminai in questo modo i reni di diciotto cani normali adulti, di cui quindici presentavano dei cristalli in tutti i pre- parati fatti nelle condizioni sopra indicate. La grande fragilità dell'epitelio dei canalicoli renali fa sì, che nei preparati a fresco difficilmente si possano vedere delle cel- lule intiere completamente isolate. Per lo piìi il preparato è co- stituito da nuclei bene limitati col nucleolo e delle granulazioni splendenti. Qua e là si vedono degli ammassi di una sostanza granulosa, formati dai detriti del protoplasma distrutto. I nuclei ordinariamente sono liberi, talora però si mostrano circondati da un alone irregolare della sostanza granulosa sopra menzionata. Essi non sono tutti della stessa grandezza; il loro diametro varia da G a 13 ij.. Quasi sempre hanno forma sfe- CRISTALLI CHE SI TROVANO NEL NUCLEO DELLE CELLULE 270 rica, i più. piccoli hanno un aspetto fortemente granuloso, mentre i più granditbanno un aspetto più omogeneo, quasi jalino e non lasciano vedere il nucleolo. Gli ammassi di sostanza granulosa conservano spesso la forma cilindrica dei canalicoli renali, in essi si vedono dei nuclei ma non si riesce a distinguere il limite di separazione delle cellule. Esaminando attentamente il preparato s'incontrano dei cri- stalli di forma prismatica, le cui faccio appaiono costantemente e regolarmente rettangolari; essi hanno una lunghezza variabile, sono forniti di viva rifrangenza e trasparenti. Quando si osservano dei cristalli, i quali si presentano di spigolo, siccome in causa del loro spessore non possono contemporaneamente essere in foco tutte intiere le due faccio limitanti lo spigolo, si riceve l'im- pressione come se la loro forma fosse quella di un coperchio di bara. Con un obiettivo apocromatico Zeiss aper. 1,30 si vede che sono incolori. I rettangoli formati dalle faccio laterali di questi prismi misurano in media 7,5 /jl per 3,òij.. I più grandi misurano 16a><5p. ed i più piccoli 6x2/j.. Essi sono quasi sempre contenuti nel nucleo , che ha gene- ralmente forma sferoidale, di grandezza spesso uguale o legger- mente superiore a quella dei nuclei più grandi sopra descritti , coi quali hanno comune l'aspetto omogeneo. Il cristallo sta nel diametro maggiore dei nuclei. Le fi- gure 1 e 3 (1) mostrano le varie forme dei nuclei, quali si pos- sono osservare in un preparato di rene fresco coll'obiettivo 8* di Koritska. Nella fig. 1 è disegnato in a un cristallo veduto da una delle basi del prisma ed in b un cristallo disposto in senso obliquo al piano rappresentante il campo del microscopio. In questo caso l'aspetto dei cristalli varia secondo il loro grado di obliquità ; ma comprimendo il coprioggetti compare la loro forma caratteristica appena si riesce a far cambiare la loro posizione. Quando i cristalli raggiungono la lunghezza di 16 p. non po- tendo essere contenuti nel nucleo, questo deve subire una de- formazione e viene stirato nel senso della maggiore lunghezza del cristallo come si vede nella fig. 2 (obiettivo ad immersione omogenea ^'^^ Koritska). In questo caso si notano sulla parete delle pieghe disposte nel senso dello stiramento avvenuto. (i) Tutte le figure della tavola sono state disegnate col meazo della ca- mera lucida di Oberhàuser. 280 V. GRANDIS Ho fatto moltissimi preparati, ed una volta sola vidi un cri- stallo, il quale faceva sporgenza fuori del nucleo. Dall'esame di questo cristallo, che lio disegnato nella fig. 3 (obiet. 8* Koritska), si vede che esso non occupa tutto il nucleo, ma soltanto una piccola parte. Comprimendo il vetrino per vedere meglio i rap- porti del cristallo col nucleo, mi assicurai, che esso vi era con- tenuto dentro , e che si movevano insieme. Questo fatto potè spiegarmi perchè qualche volta s' incontrino nel preparato dei cristalli liberi, della stessa forma di quelli finora descritti. 11 nucleo entro cui è contenuto il cristallo per lo più non mostra traccia di struttura, raramente soltanto accade di vedere dentro di esso, oltre ad un cristallo, alcune granulazioni splen- denti . come è rappresentato nella fig. 1 e. 11 numero dei cristalli, che si possono trovare in un prepa- rato varia molto : per lo più s' incontrano sui margini del prepa- rato, e qualche volta è necessario un esame diligentissimo per poterne vedere uno, altre volte, all'opposto, se ne contano facil- mente una ventina e più. Dall'esame delle sezioni dei pezzi induriti in alcool ed inclusi poscia in parafiina od in celloidina potei stabilire, che i cristalli sopradescritti si trovano esclusivamente nei nuclei delle cellule dei canalicoli contorti. La grande differenza tra i nuclei delle diverse cellule, che tappezzano la parete dei canalicoli, già no- tata nei preparati a fresco , si conserva malgrado i tratta- menti cui devono sottostare i pezzi induriti in alcool per venire osservati e direi anzi che diventa più evidente. Pfitzner (1) de- scrisse varie modificazioni nella struttura del nucleo e le ri- ferisce allo invecchiare della cellula ; egli però non incontrò mai dei nuclei contenenti cristalli. Io potei constatare che nel rene i nuclei misurano in generale 6 od 8 fjt. di diametro. In mezzo a questi, che hanno aspetto normale, però ve ne sono alcimi, in cui il reticolo è meno chiaramente visibile, i quali hanno dimensioni un po' superiori ed un nucleolo a contorni più sfumati. In altri il reticolo è rappresentato da granulazioni finissime e molto fitte, che si tingono come il nucleolo. Una quarta forma di nuclei ha un aspetto come gelatinoso, omogeneo e prende una tinta pallidamente rosea colla saflfra- (1) Pfitzner, Zur pathologischen Anatomie des Zellkerns Virchow'x Arch.. Y. 103, pgg. 275. CRISTALLI CHE SI TROVANO NEL NUCLEO DELLE CELLULE 281 nina. Per ultimo e più raramente se ne osservano alcuni, i quali sono colorati soltanto nella parte periferica ; sono per lo più privi di nucleolo e contengono nel loro interno un cristallo di dimensioni variabili. Questi nuclei sono solo in numero di due o tre per ogni se- zione e tutti i loro caratteri sono eguali a quelli dei nuclei con- tenenti cristalli osservati nei preparati a fresco. Nella fig. 4 ho disegnato un campo di microscopio dove si vede in a un nucleo contenente un cristallo, in h un nucleo a granulazioni finissime. I cristalli descritti sono insolubili nelTacqua, nell'alcool, nel- l'etere, nel cloroformio, nel xilolo, nella benzina e nell'essenza di terebentina. Quando sono nell'interno del nucleo possono resistere per 15 ore all'azione della potassa caustica e degli acidi minerali con- centrati. Sono solamente distrutti insieme cogli elementi in cui si trovano dall'acido nitrico concentrato a caldo. L'acido osmico non li annerisce. Liberandoli dall'interno del nucleo con manovre meccaniche, come per esempio col raschiamento, oppure triturando l'organo in un mortaio con dei pezzi di vetro o con sabbia lavata nell'acido cloridrico, ho potuto constatare che si sciolgono rapidamente per razione degli acidi minerali alla diluzione del 10 Y^^, e per l'a- zione dell'acido acetico concentrato, così pure venendo in con- tatto della potassa e della soda caustica e più lentamente quando si fa agire su di essi l'ammoniaca. Quando un solvente arriva in contatto coi cristalli prima che questi vengano sciolti possono subire due diverse modificazioni: si dividono cioè in quattro parti eguali , della stessa forma del cristallo primitivo , secondo due piani perpendicolari al punto di mezzo dei loro assi longitudi- nale e trasversale ; oppure si dividono in tante lamine uguali per la comparsa successiva di altrettanti piani di separazione equidistanti e tutti perpendicolari all'asse più lungo del cristallo. La tintura di jodio impartisce loro un colore leggermente gial- lognolo uguale a quello del fondo su cui si trovano, mentre i detriti organici vicini prendono con detto reagente una colorazione intensa rosso bruna, per cui debbo concludere, che i cristalli non vengono modificati. Le reazioni delle sostanze albuminoidi riescono tutte negative. Esaminati alla luce polarizzata appaiono come una linea scura quando il campo del microscopio è illuminato e non danno alcuna traccia luminosa quando incrociando i prismi 282 V. GRAXDIS si rende buio il campo in cui si trovano, perciò sono monori- frangenti. Per mezzo del tavolino di Schultze ho trovato che nei preparati in glicerina i cristalli spariscono tra 105° e 107° C. senza subire prima alcuna modificazione. Nei preparati a secco vidi, che, quando i cristalli sono completamente isolati dai detriti di sostanza estranea , la temperatura del tavolino può elevarsi fino al punto che il termometro segni 180" C. senza che essi subiscano alcuna modificazione. Quantunque abbia preso tutte le precauzioni possibili per diminuire l'irradiazione di calore, non sono certo che il preparato avesse la temperatura segnata dal termometro. Per determinare come si comportassero nella putrefazione, ho lasciato per tre giorni un pezzo di rene contenente nume- rosi cristalli nella stufa di D'Arsonval alla temperatura di 38" C; passato questo tempo, essendo già avanzata la putrefazione, non riuscii più a trovare alcun cristallo in numerosi preparati. § 2. Cristalli nel uucleo delle cellule epatiche. Dopo aver determinato le reazioni dei cristalli sopra de- scritti; cercai se essi erano soltanto proprii del rene, e vidi che essi si possono pure trovare nel fegato, dove si mostrano nella stessa posizione e cogli stessi caratteri descritti parlando del rene. Il fegato ha le cellule più resistenti e meno aderenti allo stroma connettivo che non siano quelle del rene, per cui non si rompono nel raschiamento, ma si isolano bene Tuaa dall'altra. Perciò i preparati di fegato a fresco sono i meglio adatti per dimostrare che i cristalli risiedono veramente dentro i nuclei delle cellule, come dimostra la fig. 5 ottenuta disegnando un preparato veduto coli' obiettivo apocromatico di Zeiss (apertura 1,30). La cellula a fu disegnata servendomi dell'obiettivo 8* di Koritska; in essa il cristallo era divenuto così grosso, che il nucleo doveva di necessità essere ridotto ad una membrana molto sottile e tesa aderente al cristallo stesso, per cui non si poteva più vedere. Tutte le cellule del fegato, che hanno cri- stalli, hanno pure dei grossi granuli splendenti di colore giallo- verdognolo e di forma irregolare. Questi granuli per la loro ri- CRISTALLI CHE SI TROVANO NEL NUCLEO DELLE CELLULE 283 frangenza rassomigliano al grasso , però non hanno nessuna delle reazioni caratteristicbe di questa sostanza. Non ho mai potuto constatare la presenza di questi granuli nei fegati di animali giovani , nei quali parimente finora non sono ancora riuscito a vedere dei cristalli. Karissime volte mi è accaduto di vedere che un solo nucleo contenesse due cristalli , ciò è più frequente nel fegato che nel rene. In questi casi i cristalli possono avere dimensioni uguali 0 differenti, in generale però sono più piccoli della media. Assai più spesso potei vedere che un cristallo si fosse rotto nell' in- terno del nucleo. La frattura avviene sempre in direzione per- pendicolare all'asse più lungo. Nel fegato fresco però si vedono difficilmente le varie sorte di nuclei descritte per il rene. Per vederle è necessario far su- bire alle cellule delle preparazioni speciali, dirette a rischiarare fortemente il protoplasma cellulare. Serve molto bene a questo scopo un metodo analogo a quello che si adopra per la ricerca dei bacterii. Mettevo in un vetrino da orologio, contenente una soluzione di violetto di genziana, la polpa ottenuta col rasclìia- mento di un pezzettino di fegato. Dopo alcune ore distendevo un sottilissimo strato di questa poltiglia sul vetro porta-oggetti, essicavo alla fiamma e poi vi facevo passare sopra rapidissima- mente una corrente di alcool assoluto per decolorare. Eischiaravo con olio di garofani ed esaminavo in balsamo del Canada. A questo modo si scolora completamente il protoplasma, il nucleo mantiene una leggera colorazione violetta e compare distintis- simo il reticolo, il nucleolo ed il cristallo quando vi è con- tenuto. Riuscii così molto bene a vedere nei nuclei del fegato le stesse differenze descritte per quelli del rene. Una delle cose per me più interessanti era di vedere in quali condizioni della vita della cellula si formassero questi cristalli, e quale fosse il loro rapporto colla funzione dell'organo e col reticolo del nucleo in cui sono contenuti. Per sciogliere tale questione ho cercato come si comportano le cellule fresche coi colori nucleari. La fig. 6 (obiettivo 8* Koritska) rappresenta un preparato di fegato fresco colorato col picrocarmino. In essa appare chia- ramente che i nuclei contenenti cristalli sono suscettibili di co- lorarsi, e perciò resta escluso che la comparsa del cristallo nel nucleo sia dovuta ad una degenerazione patologica della cellula. Contro questa ipotesi sta pure il fatto, che quando la cellula 284 V. GEANDIS contiene due nuclei può avvenire indifferentemente, che uno solo, oppure tutti e due contengano dei cristalli, però quest' ultimo caso è rarissimo. Colorando i preparati col verde di metile ho veduto che le cellule tolte da un organo ancora caldo impie- gano un tempo relativamente molto lungo per colorarsi, e dopo mezz'ora sono tutte colorate in verde. Non ho potuto accertare se pure i cristalli si colorassero, perchè siccome sono incolori e trasparenti lasciano passare tutti i raggi che loro arrivano. La glicerina scioglie i cristalli dopo una settimana circa, le soluzioni di glucosio o di gomma, come pure il liquido di Pacini dopo un po' di tempo rendono le cellule così opache che non si può più veder dentro; per cui malgrado ogni mio sforzo non sono ancora riuscito a conservare bene visibili i cristalli nei pre- parati fatti a fresco. Per vedere quale rapporto questi cristalli contraggono col reticolo nucleare ho colorato delle sezioni di organi contenenti cristalli col metodo del prof. Bizzozero, ed ho trovato lo stesso fatto intraveduto già a fresco e nei preparati colorati con saf- franina , cioè che i nuclei , i quali hanno nel loro interno un cristallo, sono per lo più completamente omogenei e solo in via eccezionale contengono qualche granulo di cromatina con dimen- sioni variabili spinto da una parte del nucleo stesso. Nelle sezioni colorate col metodo del prof. Bizzozero ho po- tuto osservare inoltre che il cristallo si colora come il reticolo degli altri nuclei conservando la sua rifrangenza. Non ho potuto stabilire se questo fatto sia da ascriversi alla presenza di una membrana colorabile, che avvolga il cristallo, come avviene per alcuni cristalli contenuti nelle cellule vegetali, oppure ad una proprietà del cristallo stesso. Vari tentativi che feci per determinare il rapporto di questi cristalli colla funzione delle cellule non mi condussero ad alcuna conclusione, perciò enumererò soltanto le osservazioni che ho fatto, tralasciando quelle dei cani normali già citati. 1° In tre cani tenuti per parecchie ore sotto l' azione della pilocarpina constatai sempre la presenza dei cristalli. 2° Li trovai pure abbondanti in due cani morti per av- velenamento da idrato di cloralio. 3" Di quattro cani avvelenati con solfato di stricnina tre non avevano alcun cristallo nel fegato e nei reni. 4" Non trovai alcun cristallo in due cani avvelenati con siero d'anguilla, mentre in altri due li trovai in numero molto scarso. CRISTALLI CHE SI TROVANO NEL NUCLEO DELLE CELLULE 285 5" Non li trovai in un cane avvelenato con curare. 6° Non li trovai in due cani avvelenati lentamente con toluilendiamina. 7° Non li trovai in tre cani che digiunarono per un tempo variabile da tre a cinque giorni. 8" Non li ho mai potuto trovare in otto cani giovani. Ho ricercato se questi cristalli si ritrovassero pure in altri animali. Esaminai inutilmente le rane, le tartarughe, i piccioni normali e digiuni , i topi giovani, i conigli normali e morti per inanizione, le pecore, il bue, il gatto giovane, il maiale, e l'uomo. § 3. Come si possano produrre artiflcialniente altri cristalli nel nucleo delle cellule di vari organi. Nei pezzi induriti in alcool ed inclusi in paraffina, oltre i cristalli descritti or ora, trovai pure dentro i nuclei delle cel- lule renali altri cristalli, i quali differiscono completamente dai precedenti. I nuclei di qualunque parte del rene, anche quelli che si tro- vano fra le anse dei glomeruli di Malpighi, ne possono contenere. Essi hanno la forma di sottili prismi terminati o da una piramide o da un piano che fa un angolo variabile col loro asse maggiore, per cui appaiono al microscopio o come esagoni con due lati molto allungati, o come quadrilateri più o meno regolari. La fig. 7 (obiettivo S* Koritska) rappresenta questi cri- stalli. Come si vede essi hanno dimensioni molto minori di quelli descritti sopra. I più grandi che ho potuto osservare misuravano 6 /;- per 1, 5 p.. Sono trasparenti, dotati di contorni molto netti, di una ri- frangenza notevole e mandano intorno una luce bianca. Quando s'incontrano sono molto più numerosi di quelli prima descritti; ed ogni nucleo ne può contenere un numero variabile da 1 a 5 , disposti parallelamente, variamente incrociati fra loro od a forma di cespuglio. I nuclei che li contengono sono generalmente un po' più grandi degli altri, spiccano sul fondo del preparato per la luce dispersa dai cristalli che sono nell'interno. Alti della R Accad. - Parte Fisica, ecc. — Voi. XXIV. 21 28 6 V. GRANDIS Per questa ragione si riesce difficilmente a scorgere i det- tagli di struttura del nucleo stesso, tanto più, che esso diventa colorabile solo nella sua parte periferica. Non mi accadde mai di vedere che i nuclei fossero rotti o deformati in qualche modo dalla presenza dei cristalli, come pure non potei mai vedere al- cuno di questi cristalli fuori del nucleo. Dalle reazioni che ho fatto sopra questi cristalli trovai : 1" Sono insolubili in acqua, alcool, olii essenziali, ben- zina ed etere come pure negli alcali e negli acidi concentrati. 2" Il cloroformio li scioglie a caldo. 3° Per l'azione della potassa caustica o dell'acido acetico sopra le sezioni previamente sparaffinate in trementina si vedono comparire nei nuclei contenenti cristalli dei corpi di forma ir- regolare, dotati di una forte rifrangenza, con riflessi di colore verde mare, i quali lasciano vedere nel loro interno uno o più cristalli secondo i casi. Quando vi è un solo cristallo il corpo splendente ha una forma ovale allungata, quando vi sono più cristalli la forma del corpo splendente corrisponde a quella del- l'aggruppamento dei cristalli contenuti, 4° Se dopo la potassa si fa passare attraverso al prepa- rato una corrente di alcool poco per volta il corpo splendente rimpiccolisce, perde la sua forte rifrangenza e finalmente non si vede più altro che il cristallo dentro al nucleo. Quando si adopra dell'alcool concentrato e lo si fa agire per molto tempo, diventa tale l'opacità del tessuto , che riesce im- possibile di vedere il cristallo. A questo punto facendo di nuovo agire la potassa ricompare prima il cristallo e poi il corpo splendente. Da questo modo di comportarsi ho ricevuto l'impressione come se questi cristalli siano contenuti in una cavità, che nor- malmente è allo stato virtuale, ma che si rende visibile per azione degli alcali o degli acidi. 5° Facendo agire sopra questi preparati dell'acido clori- drico concentrato avviene rapidamente lo stesso fenomeno ora descritto per l'azione della potassa. Il rigonfiamento è cos'i tu- multuoso che il corpo splendente può rompersi ed allora sol- tanto è possibile vedere i cristalli liberi resistere all'azione dei reagenti. 6" Spesso si incontrano dei corpi splendenti, i quali oltre ad uno o più cristalli di forma ben definita hanno nel loro in- CRISTALLI CHE SI TKOVANO NEL NUCLEO DELLE CELLULE 287 terno delle granulazioni dai riflessi cristallini ; queste esaminate con un ingrandimento piti forte si mostrano fatte da cristalli piccolissimi. 7° L'etere, il clorofomio, il xilolo, quando arrivano in contatto col preparato non permettono di vedere i cristalli. Ciò avviene probabilmente perchè l'indice di rifrazione di questi li- quidi è uguale a quello dei cristalli, i quali ricompaiono subito al loro posto quando si faccia spostare il liquido dall'alcool. 8" Esaminati colla luce polarizzata appaiono come linee scure quando il campo è chiaro e come linee fortemente splen- denti quando il campo è oscuro, per cui conchiudo che sono bi- rifrangenti, 9° Eiscaldando col tavolino di Schultze un preparato con- tenente numerosi cristalli si vedono scomparire a 50°. Se poi si lascia raffreddare lentamente spesso ricompaiono nello stesso nucleo e nella stessa posizione che prima avevano. Dopo d'aver constatata la differenza sostanziale tra questi cristalli e quelli prima descritti, cercai di vedere se essi non fossero per caso un prodotto artificiale. In queste ricerche trovai che essi non si riscontrano quando i pezzi vengono inclusi in celloidina invece che in paraffina. Onde vedere se fossero di pa- raffina lasciai per 20 ore in un bagno di essenza di terebentina pura un preparato in cui si vedevano numerosi ; malgrado ciò i cristalli si conservarono perfettamente anzi parvero aumentati di volume. Allora posi lo stesso prepai'ato in un bagno di cloroformio e ve lo lasciai per sette ore alla temperatura di fusione della pa- raffina, dopo questo trattamento non mi fu piìi possibile riscon- trare alcun cristallo. Stando le cose in questi termini mi pa- reva poter stabilire che si trattasse realmente di paraffina, la quale, come avviene per molte altre sostanze, fosse resa meno solubile dal suo stato cristallino, quando mi occorse di osservare un fatto che dimostrò falsa questa spiegazione. Ho messo a sparaffinare, in un bagno di essenza di terebentina otto sezioni fatte di se- guito sopra uno stesso pezzo ; in quel giorno ne colorii ed esaminai soltanto quattro nelle quali non trovai alcun cristallo. Lasciai soggiornare nella terebentina le altre sezioni durante quattro giorni in capo ai quali, coloratele ed esaminatele constatai la presenza di numerosi cristalli della varietà birifrangente solubile a 50° nel balsamo del Canada. 238 V. GRANDIS Dopo ciò mi pare di poter conchiudere che questi cristalli sono di una sostanza normalmente sciolta nel nucleo dove viene precipitata allo stato cristallino dalla trementina. Dopo aver stabilito le reazioni di questi cristalli la mia at- tenzione fu rivolta a cercare se essi potevano solo prodursi nelle cellule del rene oppure anche nelle cellule di altri organi. In questa numerosa serie di ricerche trovai che i cristalli birifrangenti si possono trovare pure nel fegato, nel pancreas, nell'intestino, nello stomaco. Devo avvertire, che per poter vedere i cristalli dentro quei nuclei che ne sono forniti, è indispensabile che la colora- zione sia molto leggera e che si adopri un colore chiaro affinchè il colore della parte periferica del nucleo non impedisca di ve- dere quello che vi è dentro. I colori molto scuri come Tema- tossilina non mi permisero mai di vedere chiaramente i cristalli anche quando si vedevano numerosi nelle sezioni dello stesso pezzo e trattate nello stesso modo , ma colorate con saffranina o pi- crocarmino. § 4. Non parlerò dei cristalli che si trovano nei nuclei delle cel- lule vegetali specialmente della pinguicola, dell'urticaria, della la- trea squamarla, nel ricino, nelle leguminose, etc. i quali secondo alcuni (1) sarebbero indizio dell'invecchiare della cellula. Trala- scierò parimente di parlare dei cristalli che si trovano nelle uova degli artropodi e di quelli che Lockwood (2) ottenne dai bruchi e mi limiterò a parlare di quelli trovati nelle cellule dei verte- brati. Leydig (3) parlando delle cellule in generale dice che esse possono contenere semplicemente dei granuli o delle forme cri- stalline, per esempio, laminette a riflessi metallici nei vertebrati inferiori. Wittich (4) nel suo lavoro sopra il colore della pelle delle (1) Klein, Cristalloid in the celi nuclei of Pinguicola and Urticaria. Jour- nal of the Microscopical Society, 1881, pag. 477. (2) Lockwood, Feather-crystalls of Urie acid from a Caterpillar^ Journal of the Microscopical Sociefj', 1886, pag. 428. (3) Leydig, Lp.hrhuch der Histologie. Frankfurt, 1857, pag. 20. (4) Wittich, Die grune Farbe der Haut unserer Frasche; ihre phgxiolo- gischen und pathologischen Verunderungen. Mùller 's Arch., 1854, pag. 41- CRISTALTI CHE SI TROVANO NEL NUCLEO PELLE CELLULE 289 rane parla di cellule così dette interferenti, che lui descrive come piene di cristalli ai quali attribuirebbe la proprietà di comuni- care i riflessi metallici alla pelle ed all'iride delle rane. Nei vertebrati superiori furono descritti quattro specie di cristalli, di emoglobina, di sostanza colorante della bile nell'ittero dei neo- nati e nellittero da toluilendiamina, i cristalli di Charcot e di Leyden e quelli di Bottcher nello sperma. Dopo quanto ho detto sui miei cristalli rnonorifrangenti non credo necessario insistere per dimostrare la loro differenza da quelli di emoglobina. Dirò soltanto che non si possono neppure confondere coi cristalli di emoglobina incolora osservati da Brond- geest (1) nelle rane congelate perchè questi anneriscono col calore. Negli stati patologici furono descritti dei cristalli anche nel- l'interno delle cellule da Virchow, da Buhl, da Neumann e da Klebs. Orth (2) dopo aver fatto la critica dei lavori precedenti riferisce d'averli trovati in 37 bambini morti per ittero dei neo- nati e ne distingue due forme, tavole rombiche corte, larghe e spesse oppure aghi o colonnette raggruppati in vario modo. Tutte e due le forme hanno secondo lui un colore rosso chiaro. Nel sangue ha trovato soltanto la forma ad aghi, nei reni invece trovò tutte e due le forme. Non li trovò mai nei corpuscoli rossi e qualche volta li vide raggruppati attorno ad un corpuscolo bianco. Nei reni li osservò nel tessuto intertubulare, nelle cellule epiteliari e specialmente sull'apice delle papille, noto, che sono assai scarsi nella sostanza corticale e che insieme con essi vi era colorazione gialla del nucleo delle cellule. Riguardo alle reazioni constatò che sparivano lentamente per azione dell'acido acetico. Dentro le cellule del fegato vide dei cristalli rossi o bruni. Egli crede che siano cristalli di bilirubina concordando in ciò con Meckel e Neumann mentre Buhl e Virchow li credono di ematoidina e Klebs crede siano un miscuglio degli uni e degli altri. Stadel- mann (3) osservò lo stesso fatto di Orth nei cani in cui aveva prodotto artificialmente l'ittero coli' iniezione di toluilendiamina. Appare evidente da quanto è detto sopra che i cristalli dei (1) Maly, Jahresb, der Thierchemie , voi. I, pag. 76. (2) Orth, Ueber das Vorkommen von Bilirubinkri/stallen bei neugéborenen Kindern. Virchow 's Arch , V. 03, pag. 447. (3) Stadei.mann, Icterus durch Toluy'.endiamin. Arch. f. exper. Path. XIV, pag. 231. 290 V. GRANDIS nuclei da me osservati non hanno nulla di comune con quelli di Orth. Per ciò che riguarda i cristalli di Charcot credo inutile di riportare la bibliografia che fu raccolta così diligentemente da Schreiner (1). Zenker (2) descrisse per il primo la presenza dei cristalli di Charcot nell'interno dei corpuscoli bianchi dei leucemici. Sebbene non parli del loro rapporto col nucleo tuttavia dalle figure che ne dà si vede stavano accanto e non neirinterno del medesimo. I cristalli di Charcot hanno tutti i caratteri della solubilità eguali a quelli dei cristalli monorifrangenti, però ne differiscono oltre che per la forma per due altri caratteri molto più importanti. Di tutte le reazioni che si possono fare al microscopio le più certe sono la reazione al calore ed alla luce polarizzata. Esaminando con questi reagenti fisici dei cristalli di Charcot ot- tenuti dal sangue di una leucemica ho trovato che essi sono birifrangenti sebbene rischiarino solo leggermente il campo oscuro del microscopio polarizzatore. Di più riscaldati sul tavolino di Schultze verso i 55" G. perdono il loro aspetto brillante diven- tando come appannati, si smussano profondamente i loro angoli per cui la loro forma caratteristica passa in una forma ovale più o meno allungata od in una forma irregolarmente poliedrica. Queste modificazioni non avvengono nei cristalli monorifrangenti che incontrai nei nuclei delle cellule. Le due forme di cristalli differiscono pure per il loro modo di comportarsi rispetto alla putrefazione: Zenker asserisce di aver ancora ritrovato i cristalli di Charcot in un campione di sangue conservato da tre anni mentre si è visto che i cristalli dei nuclei scompaiono presto per la putrefazione. Un'ultima differenza che non è priva d'importanza sta nel fatto che mentre i cristalli dei nuclei si trovano nell'organo vivo, è una condizione sine qua non per poter osservare i cristalli nel sangue dei leucemici, che l'individuo sia morto almeno da 24 ore. A. Bòttcher (3) osservò nello sperma essicato dei cristalli di dimensioni varie la cui forma ricorda quelle del i^leuro' (i) Schreiner, Ueber eine neue organische Basis in thierischen Organismen. Liebig's Annalen der Chernie u. Pharmacie. V. 194, pag. 69. (2) Zknker , Ueber Charcot^ schen Krystalle in Blut u. Geweben Leukd- mischer und in dea Sputis. Deuts. Arch. f. klinische Med., V. 18, pag. (3) A. BòTTCHEU, Farblose Krijslalle eines eiweissartigen Korpers aus dem menschlichen Spenna dargestelU. Virchow ""a Afch., V. 32. p. 525. CRISTALLI CHE SI TROVANO NEL NUCLEO DELLE CELLULE 291 sigma angulatmn. Schreiner (1) studiò chimicamente questi cri- stalli e credette di poter dimostrare la loro identità con quelli di Charcot. Siccome io non ho potuto ancora isolare i cristalli dei nuclei devo limitarmi a paragonare le loro proprietà micro- chimiche con quelle osservate da Bòttcher nei cristalli dello sperma. Questi cristalli sono soluhili in acqua e si sciolgono molto più rapidamente se vengono leggermente riscaldati ; per contro diventano insolubili se si riscaldano molto rapidamente, diventano opachi riscaldati alla lampada; si colorano in giallo senza scio- gliersi coll'acido nitrico a caldo e si colorano in rosso col reat- tivo di Millon. Non fa d' uopo aggiungere altri caratteri per differenziarli dai cristalli osservati nei nuclei. Quantunque tutte le reazioni fatte ed i caratteri che ho po- tuto osservare mi permettano di ritenerli differenti dai cristalli finora descritti nei tessuti, tuttavia non sono sufficienti per deter- minarne la natura. Kossel (2) ha trovato che la nucleina dei nuclei delle cellule può, decomponendosi, dare origine all'adenina, e questa alla sua volta all'ipoxantina ed alla guanina. Questi tre corpi sono i primi composti cristallizzabili che si possono ottenere dalla trasformazione della molecola molto com- plessa della nucleina, ed hanno molti caratteri che si avvicinano a quelli dei cristalli nucleari. Basandomi sopra i loro caratteri di solubilità ho già intrapreso una serie di ricerche per estrarli dagli organi allo stato di purezza, ma le difficoltà grandi che s'incontrano nello stabilire l'identità del corpo isolato con quello cristallizzato nei nuclei non mi permettono ancora di venire ad una conclusione. Però siccome mi fu già possibile di radunarli meccanicamente in un piccolo volume di detriti organici sporo di poter presto riferire dei risultati positivi. Laboratorio di Fisiologia della R. Università. Torino, Marzo 1889. (1) Schreiner, loco citato. (2j A. Kossel, Weitere Beitrdge zur Chemie des Zellkernes. Zeitschr. f. Physiol. Chemie, V. 10, p. 248. 292 Y, GRANDIS - CRISTALLI CHE SI TROVANO KEL NUCLEO ECC. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE FiG. I. — Rappresenta le varie specie di nuclei che si possono osservare in un preparato di rene fresco in glice- rina coll'obiettivo 8* di Koritska. In a è rap- presentato un cristallo disposto in senso perpendi- colare al piano del campo del microscopio, in h un cristallo disposto in direzione obliqua al piano stesso , ed in e un nucleo contenente nello stesso tempo granulazioni splendenti ed un cristallo. v> IL — Riproduce un nucleo fortemente disteso dal cristallo contenuto nel suo interno (Immersione omogenea ^/jg Koritska). » III. — Preparato di rene fresco in glicerina dove si vede un cristallo che esce dal nucleo rotto (obiettivo 8* Koritska). » IV. — Sezione di un pezzo della zona corticale di un rene. In a si vede un nucleo contenente un cristallo, in h un nucleo in cui il reticolo è rappresentato da gra- nulazioni finissime (obiettivo 8^ Koritska). » V. — Preparato di fegato fresco osservato in glicerina col- l'obiettivo apocromatico Zeiss, apertura 1,30. La cellula a è stata disegnata coll'obiettivo 8"^ Ko- ritska. » VI. — Preparato di fegato fresco colorato con picrocarmino (obiettivo 8^ Koritska). » VII. — Preparato di rene indurito in alcool ed incluso in paraffina (obiettivo 8^ Koritska) dove si vedono dei cristalli prodotti artificialmente. Fiu. I Fiff.Z Fiif.-4 .Fiff.3 ^ Ta\'.VI Fi(/. .') 293 Sopra alcune deduzioni della teoria di van t Hoff sulV equilibrio chimico nei sistemi disciolti allo stato diluito; Nota prima del Prof. Stefano Pagliani 1. È noto come il van" t Hoff in una importante Memoria sopra l'equilibrio chimico nei sistemi gasosi o disciolti allo stato diluito [Archives Iséerlandaises , Harlem 188G), ha dimostrato come i corpi in soluzioni diluite si trovino in uno stato parago- nabile allo aeriforme- Le esperienze di Pfeffer [Osmotische Untcrsuchimgen, Leipzig 1877) avevano fornito il mezzo di misurare, usando pareti semi- permeabili, la pressione osmotica, esercitata da una quantità data di sostanza disciolta in un dato volume di liquido. Ora questa pressione è quella che la stessa quantità di sostanza eserciterebbe se alla stessa temperatura e nello stesso spazio si trovasse allo stato aeriforme. Questa pressione osmotica è proporzionale alla concentrazione della soluzione, come per i gas la pressione è proporzionale al peso dell'unità di volume, secondo la legge di Boyle. La pres- sione osmotica nell'unità di volume è poi anche proporzionale alla temperatura assoluta, d'accordo colla legge di Gay-Lussac per lo stato aeriforme. PV L'equazione dello stato aeriforme, — B, è quindi anche applicabile ai sistemi disciolti allo stato diluito, quando si assuma per P la pressione osmotica, per V il volume nel quale si trova disciolta una molecola del corpo. Allora la legge di Avogadro può trovare anche la sua applicazione nelle soluzioni diluite, per le quali si può enunciare dicendo che le pressioni osmotiche, eser- citate da sostanze diverse disciolte, sono uguali quando le quantità disciolte nello stesso volume siano proporzionali ai pesi molecolari. La costante R della detta equazione per sistemi disciolti allo stato diluito va moltiplicata per un coefficiente che può avere valori diversi per le diverse sostanze. Chiamando i questo coeffi- 294 STEFANO PAGLIANI ciente avremo PV=iRT per questi sistemi. Il coefficiente i è uguale all'unità per alcune sostanze, ma può avere valori supe- riori per molte altre. Anzi è stato necessario ammettere ciò per spiegare le eccezioni che si presentavano alla teoria di van't Hoff. Allo stesso modo che le eccezioni alla legge di Avogadro per gli aeriformi vengono spiegate mediante fenomeni di dissociazione , così anche per certe sostanze sciolte si ammetterebbe che nelle loro soluzioni non si abbia un numero di molecole corrispondente a quello che si deduce dalla loro formola chimica, ma un numero maggiore, perchè queste sostanze vi si troverebbero dissociate (van't Hoff, Zeitschr. f. Phys. Chem., 1887, I. 481). 2. Equazione di Arrhenius. — Planck (ivi 577) ed Arrhenius (ivi p. 631) hanno sviluppato questo concetto. In una memoria sulla conducibilità elettrica degli elettroliti, Arrhenius chiamò, seguendo il Clausius, attive le molecole, i cui ioni sono indipendenti nei loro movimenti, ed inattive le altre, i cui ioni sono rigidamente collegati fra loro, ed ammise come probabile che in soluzione diluitissima tutte le molecole inattive si trasformino in attive. Chiamò poi coefficiente di attività il rapporto fra il numero delle molecole attive e la somma delle molecole attive ed inattive. Questo coefficiente sarebbe uguale all'unità per un elettrolito in soluzione indefinitamente diluita. Per diluizioni minori è minore dell'unità e può per soluzioni non troppo concentrate esser posto uguale al rapporto fra la conducibilità elettrica molecolare effet- tiva della soluzione ed il valore limite superiore al quale si avvi- cina la detta conducibilità col crescere della diluizione. Arrhenius dedurrebbe dalla conoscenza di questo coefficiente («) un modo per calcolare il coefficiente i di van't Hoff , che egli considera come il rapporto fra la pressione osmotica effettivamente eserci- tata da un corpo in soluzione e la pressione osmotica, che es'er- citerebbe quando fosse costituito soltanto da molecole inattive (non dissociate). Indicando con m il numero delle molecole inattive, con n quello delle altre, con h il numero degli ioni, in cui cia- scuna molecola attiva si scinde, si avrebbe : m -\- hi n i = ed « = . Da cui si deduce : « = 1 -f (Z; — 1) a . ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN'T HOFF 295 11 primo appunto che si potrebbe muovere a questa dedu- zione si è che Tequazione non è ugualmente applicabile a tutti gli elettroliti, perchè ve ne hanno alcuni, che presentano un massimo di conducibilità molecolare. Di più le ricerche sperimentali fatte sulla elettrolisi dimo- strano che il valore di h per un elettrolito può variare col variare delle condizioni di diluizione e di temperatura della sua soluzione. Quindi per applicare convenientemente l'equazione di Arrhenius bisognerebbe conoscere il valore che prende />■ per i diversi gradi di diluizione, quando non si tratti di composti binari. infatti è noto come nella elettrolisi di un composto, indipen- dentemente dalle azioni secondarie, che possono intervenire, non si hanno sempre gli stessi prodotti di decomposizione, ma questi possono variare anche solo secondo la concentrazione delle solu- zioni stesse. Il cloruro di ammonio in soluzione acquosa tende a scindersi in cloro e ammonio, il quale, se il catodo è di mercurio, vi si unisce formando un amalgama. In soluzione concentratissima e riscaldata tende a mettersi in libertà non solo del cloro, ma anche dell'azoto, i quali formano allo stato nascente del cloruro di azoto, per cui sembra che in quest'ultimo caso i prodotti della decomposizione siano idrogeno, azoto, cloro. Si vede che il numero degli ioni, k, che nel primo caso sarebbe solo di due [H^N e Ci) , può prendere in altri casi valori superiori. Una soluzione concentrata di ammoniaca si decompone in idro- geno e azoto, i cui volumi stanno nelle proporzioni indicate dalla formola H.^N, cioè ogni molecola si scinde in 3 atomi di idro- geno e 1 d'azoto. Una soluzione diluita , elettrolizzata con un catodo di mercurio dà luogo alla formazione di un'amalgama di ammonio e di ossigeno all'anodo, ciò che indicherebbe la decomposi- zione avvenire in H^N ed OIZ" di una molecola di HOH^N. Quindi nel primo caso si dovrebbe assumere ^=4, nel secondo Jì = 2. L'acido solforico in soluzione diluita si decompone in H., e SO^; concentrato può fornire idrogeno al catodo, zolfo all'anodo e H'^S, ciò che dimostrerebbe una decomposizione più profonda. Delle esperienze di Geuther hanno dimostrato che dell'acido sol- forico diluito con Yg del suo volume di acqua dà fino alla tem- peratura di 80" la decomposizione elettrolitica solita; al di sopra di 80" diminuisce il volume relativo di H messo in libertà, e si ha deposito di solfo. A 90° si ha solo solfo. Coll'aumentare della diluizione cresce la temperatura alla quale si ha solo deposito di 296 STEFAKO FAGLI AKI solfo. Finalmente un miscuglio di volumi uguali di acqua e acido dà a tutte le temperature solo idrogeno e ossigeno. Geuther am- mette nei casi sopra accennati la possibilità di una diretta de- composizione di SO^ in S e Oy Secondo alcuni l' idrato potassico si decomporrebbe in K ed OH, secondo altri in K, H ed 0. La formazione di ossigeno ozonizzato nella elettrolisi degli idrati potassico e sodico, umet- tati soltanto con acqua, e non nel caso della soluzione ordinaria, rende più probabile la decomposizione più profonda nel caso delle soluzioni più concentrate. Dei risultati ottenuti da Gray e anche da me {Atti Istituto Veneto, 18S7, [6] V) nella elettrolisi di soluzioni concentrate dei solfati ramico, ferroso e zincico, con grandi densità di corrente hanno dimostrato che è possibile la semplice dissociazione della soluzione di un sale in modo da deporsi sull'anodo l'idrato cri- stallizzato più stabile , mentre per soluzioni più diluite non si avrebbe che la ordinaria decomposizione dei sali. Questi ed altri fatti, i quali, d'accordo con altri osservati in un ordine diverso di fenomeni da Planck (Wied. Ann. 34, p. 146, 1888) dimostrerebbero che il grado di decomposizione cresce colla concentrazione , valgono pure ad affermare che il numero degli ioni può variare col variare delle condizioni del mezzo, nel quale avviene la elettrolisi. La supposizione che il numero delli ioni sia variabile e di- penda essenzialmente dallo stato di maggiore o minore diluizione delle soluzioni degli elettroliti, mi sembra anche d'accordo coi risultati delle deduzioni teoriche e delle ricerche sperimentali , secondo i quali si tende ad ammettere che gli ioni, i quali si trovano separati sotto l'azione della corrente, esistano già nella soluzione allo stato libero, concetto che si trova sviluppato in una recente nota di W. Ostwald e W. Nernst {Zcits. f. Phis. Chem. 1889, p. 120). È bensì vero che, mentre il valore numerico di k diminuisce collo aumentare della diluizione, si ammette che cresca invece il numero delle molecole dissociate. Cos'i si spiegherebbe perchè il valore di i, calcolato con questa equazione, come anche quello dedotto cogli altri metodi , cresca col crescere della diluizione , anche se diminuisce Jc. Se le variazioni delle quantità Jc ed n fossero tali che il numeratore della espressione di i si conser- vasse costante , i sarebbe costante. ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN't HOFF 297 Dalla detta equazione poi si deduce che la soluzione ideale, secondo il van't HofF, per la quale ^=l, sarà quella per la quale h=l, cioè le molecole saranno tutte non dissociate. Per i corpi non conduttori e per alcuni conduttori questa condizione si verifica colla concentrazione di 1 p. di sostanza per 100 p. di soluzione. Ma per molti altri ciò non si verifica. Il coefficiente k per i composti binari non può assumere valori diversi da 2, finché si suppone che, qualunque sia la concentrazione della soluzione la molecola loro abbia la costituzione data dalla formola chimica; per gli altri può assumere anche valori maggiori. Dalla equazione di Arrhenius si ha che per h = 2 , i = 1 -\- a , per ^ = 3 , ^=:l^-2a, ecc. Si avrebbe quindi il modo di determinare il limite di concentrazione della soluzione di un elettrolito, per il quale è applicabile l'uno o l'altro valore di Z; , e ciò determi- nando la concentrazione per la quale il valore di / soddisfa ad una delle dette relazioni. Per i composti binari si può anche stabilire subito quale è la concentrazione per la quale tutte le molecole dovrebbero essere dissociate, poiché essa é quella per cui « ^= 1 e quindi i ^=-h~2. Ora le determinazioni di Raoult per la maggior parte di essi {HCì, HBì'f HJ, Na CI, KJ, KBr) porterebbero alla conclusione che tale soluzione sia quella di una parte in peso di sostanza in 100 p. d'acqua, mentre i calcoli dell'Arrhenius darebbero per alcuni di quei composti un valore di i sensibilmente minore di 2, per una soluzione molto più diluita. Sfortunatamente i metodi di determinazione del coefficiente i sono fondati sopra leggi e principi, i quali sperimentalmente non si verificano entro limiti abbastanza estesi di concentrazione e di temperatura per essere qui convenientemente applicati. Così le ultime determinazioni di Eaoult sull'abbassamento del punto di congelazione dei solventi (Zcits. f. FJiys.Chcm. , 1888 II, 489) dimostrano che la legge di Blagden e Eijdorff non si verifica esattamente per tutte le concentrazioni. Quindi quella legge non si potrebbe prendere per base per dedurre l'abbassamento molecolare del punto di congelazione per qualunque concentrazione , e quindi pel calcolo di t. Di più le recenti determinazioni di Arrhenius (ibid. 491) sullo stesso ab- bassamento nel punto di congelazione condurrebbero al risultato che il coefficiente i, calcolato per mezzo di esso, per i corpi non conduttori aumenterebbe collo aumentare della concentrazione 298 STEFANO FAGLI ANI della soluzione risultante, mentre per gli elettroliti diminuisce, essendo questo ultimo fatto d'accordo colla ipotesi della dissocia- zione. Invece l'espressione di van't Hoff i = richiederebbe 1 0,5 che il coefficiente i cresca colla concentrazione in ogni caso, poiché i deve essere proporzionale allo abbassamento molecolare t, il quale sarà diverso se non si considera sempre la soluzione della molecola del sale in uno stesso volume di acqua. E riguardo alle prime verificazioni dello Arrhenius si deve appunto notare che nel calcolare i dallo abbassamento moleco- lare egli si è servito dei dati di Eaoult , che si riferiscono ad una concentrazione di circa 1 p. in peso di sostanza sciolta in 100 p. d'acqua, mentre per calcolare i dal coefficiente di con- ducibilità molecolare si è servito di valori di a i quali si rife- rivano a soluzioni molto più diluite (circa 1 gr, di sostanza per un litro di acqua). Quindi le concordanze fra i valori di i, cal- colati nei due modi, sono soltanto apparenti, come vedremo, non reali, perchè non si riferiscono a concentrazioni uguali. Le ul- time verificazioni pure di Arrhenius (ivi 1888, II, 495) dimo- strano che il rapporto fra il primo valore calcolato di i ed il secondo in generale è tanto più grande quanto maggiore è la concentrazione. Difficoltà analoghe per un' applicazione estesa presenta il me- todo di determinazione di i, mediante la diminuzione di tensione di vapore prodotta nei liquidi dalla soluzione di un corpo , nel quale si dovrebbe ammettere per ogni concentrazione sempre esatta la legge di Prinsep, la quale stabilisce che quella diminuzione di tensione sia indipendente dalla temperatura, mentre le espe- rienze di Tammann (Wiedcmann's Ann. , 1885, 24), sui sali, hanno dimostrato che tale legge presenta delle eccezioni; di più si dovrebbe sempre poter trascurare la differenza tra il peso spe- cifico dell'acqua e quello della soluzione. Quanto al metodo di determinazione di i mediante il coeffi- ciente isotonico , esso non può facilmente applicarsi al nostro scopo. Kitornerò in una seconda nota sopra i due primi metodi di determinazione del coefficiente i e sulle espressioni di questa quan- tità, che vi si riferiscono. Ora mi occuperò di un quarto metoda, che si potrebbe avere per la stessa determinazione. ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN't HOFF 299 3. Equazione del vani Hoff relativa al fenomeno della soluzione. — Questo metodo sarebbe fondato sopra una relazione fra la variazione della solubilità di un corpo colla temperatura ed il calore sviluppato allorché una molecola del corpo si separa dalla sua soluzione, che è pure il calore assorbito nella soluzione della medesima quantità. A questa relazione il van't Hoff giunse applicando all'equi- librio espresso dal simbolo: Corpo non sciolto ^ ^ Corpo sciolto le leggi generali dell'equilibrio nelle soluzioni. Essa è rappresentata dalla equazione : 0 lognat. C _ Q OT ~ 2iT^ ^ ' ' nella quale C è la concentrazione della soluzione satura d' un corpo alla temperatura T, Q la quantità di calore assorbita nella soluzione di una molecola del corpo, ed i il detto coefficiente, pro- prio di questo corpo. Questa relazione indicherebbe inoltre come il segno della va- riazione termica che accompagna Tatto della soluzione determina /Dir' quello della variazione della solubilità colla temperatura I quando si ha assorbimento di calore si dovrebbe avere aumento di solubilità nella soluzione, il contrario, quando si ha sviluppo di calore ; se poi non si ha variazione di calore nella soluzione, vuol dire che la solubilità sarà costante. 4. Sua applicazione alT assorbimento dei gaz — Equazione di Kirchhoff. — Applicherò anzitutto quella relazione allo as- sorbimento dei gas nei liquidi, ed istituirò un confronto fra l'e- quazione (1) applicata ai gas, per i quali ammetteremo per ora, con van't Hoff, i=l, ed un'altra equazione, che possiamo ri- cavare da una relazione, che il Kirchhoff già fin dal 1858 (Pogg. Ann. 103, p. 194), deduceva dai principii della Termodinamica per l'assorbimento dei gas nei liquidi, relazione che è rappresentata dall'equazione : ^~ J~' dT nella quale 5- è la quantità di calore assorbita nella soluzione di una quantità in peso g del gas nella unità di peso del li- 300 STEFANO FAGLI ANI quido, i? è la costante dello stato aeriforme per lo stesso gas, T è la temperatura assoluta, alla quale avviene la soluzione. J l'equivalente meccanico della caloria, [3 è il coefficiente di as- sorbimento espresso in unità di peso , cioè il peso di gas , che viene assorbito dall'unità di peso di liquido ad una pressione uguale all'unità ed alla temperatura T\ quindi |3 . Il per le soluzioni acquose non è altro che il coefficiente d'assorbimento secondo la definizione del Bunsen, cioè il volume di gas, che viene assorbito dall'unità di volume di liquido nelle stesse condizioni di tempe- ratura e di pressione ridotto a 0" e 760""" di pressione. Se vogliamo riferire la quantità q alla molecola del gas fac- ciamo q = il/, peso molecolare del gas , e indicando con Q la quantità di calore sviluppata nella soluzione di una molecola del gas avremo : MEI' 0 lognat. S.i? «=^A Vf^ (2)- Noi abbiamo cos'i due espressioni del calore d'assorbimento di un gas, la (2), e quella che si deduce dalla (1), nella quale si faccia 2=1, cioè : „ 0 lognat. C Q = '^r- — ^— — (3). Ora posto uguale a 2 il peso della molecola dell'idrogeno, secondo la legge di Avogadro e quella dei volumi, il peso della molecola di un altro gas nerfetto sarà dato da ilf = 2 - -,-, in a cui d è la densità assoluta di esso e cV quella dell'idrogeno, nelle stesse condizioni di temperatura e di pressione ; e se si indica con B' la costante dell'idrogeno si avrà MR = 2i?', ma i?'= 421 , quindi — — =: 2. Adunque per i gas perfetti, per i quali ap- u punto si ammette i = \ eà R e costante, le due equazioni con- durranno allo stesso valore di Q. Quando però per particolari condizioni di pressione e di tem- peratura, oppure per lo stato di condensazione per assorbimento in un liquido, o di diffusione in un vapore, la molecola del gas in questione subisse una qualche modificazione, cosicché il suo peso non fosse più quello, che si deduce dal valore della densità del gas nelle condizioni normali di temperatura e di pressione, ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. \'AN't HOFF 301 allora anche il valore di i dovrà essere assunto diverso dall'u- nità, e quindi quelle due espressioni non possono dare più valori concordanti di Q, se non si modificano convenientemente i valori di Jf e di ^. Anche qui si conferma che questi due valori stanno in intima relazione fra loro. Allo scopo di procedere in seguito al confronto dei risultati, che si ottengono mediante quelle due equazioni e nella supposizione di gas perfetti, con quelli ottenuti sperimentalmente, espongo qui sotto i risultati stessi coi dati, sui quali ho basato il calcolo di essi. Indico con a il valore - — — ' ^ . I calcoli sono stati {■!>.B dT fatti sulla equazione (3) ; le piccole differenze, che si possono avere nel calcolo colle due equazioni, dipendendo soltanto dalle differenze fra i valori sperimentali e teorici delle densità gassose. Ammoniaca. — Per il calcolo di a mi son servito dei risul- tati di Koscoe e Dittmar. {Ann. Cìiem. u. Pharm., 1859, cxlii, p. 817). Abbiamo così: a^— per t = 20° : ^ ' 0. 526 ^ Risulta: g=:4600. Anidride solforosa. — Dai risultati di Sims (Ibid. 1861 , 0,004 cxYiii, p. 333) , ho calcolato a = per t = 20° ; Risulta: ^ = 6400. Anidride carbonica. ~ Per questo gas il calcolo di Q dalla espressione (2) fu già fatto dal Riihlmann [Medi. Wdrmcthcorie, I, 763) il quale trovò Q—S^ÒO per t= 18°. Colla (3) si trova Q = 3382. Idrogeno solforato. — Il valore di a ho dedotto per la tem- peratura di 20° dalla seguente espressione del coefficiente di as- sorbimento (Schonfeld, Ann. Chem. ti. Pharm., 1855, 95) c= 4,3706 -0,083687^+ 0,0005213 ^'2. Risulta: ^ = 3739. Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Voi. XXIV, 22 302 STEFANO PAGLTANI Cloro. — Il valore di a a 20° fu calcolato dall'espressione di Schònfeld (loc. cit.) : c = 3,0361 - 0,04619r)^+ 0.0001107^. Eisulta: ^=3348. Acido cloridrico. — Dai risultati di Koscoe e Dittmar (loc. 0.005 „^„ cit.), si deduce: a= a 20°; quindi: (^=1199. Azoto. — Il valore di a per t = 20° si deduce dalla espres- sione di Bunsen {Gasoni. Meth. 1877): c = 0,020346 - 0,00053887^+ 0,000011156^2. quindi: ^=1142. Ossigeno. — Per questo gas abbiamo per a lo stesso valore che per l'azoto poiché, secondo Bunsen (loc. cit.), fra il coeffi- ciente di assorbimento dell'ossigeno e quello dell'azoto si avrebbe il rapporto costante 2,0225 per tutte le temperature. Quindi, per ^=20° risulta: (? = 1141. Per le soluzioni alcooliche citerò un esempio solo: Idrogeno. — Il valore di a si deduce dall'espressione del Bunsen : e = 0,06925 - 0,0001487^+ 0,00000U2. Quindi risulta per il calore di soluzione dell'idrogeno nel- l'alcool: (? = 285. Accennerò ora brevemente alle condizioni del processo di as- sorbimento supposte dai due autori nello sviluppo delle loro formole Il Kirchhoff dedusse la sua equazione dalla considerazione del ciclo di trasformazioni reversibile seguente (*). Supponiamo di tra- (*_) Quanto all'obbiezione, mossa da Duhem, che la diffusi^'ne, che inter- ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J, H, YAN'T HOFF 303 sformare il liquido in vapore alla temperatura T, e di lasciar espandere il vapore formato a questa temperatura fino a che esso si possa con sutficiente approssimazione considerare come un gas perfetto. Quindi mantenendo costante la temperatura e la pres- sione si portino a contatto fra loro il vapore e la quantità g di gas in un recipiente, la cui capacità sia uguale alla somma dei volumi dell'unità di peso del vapore e del peso del gas da scio- gliersi alla pressione attuale ed alla temperatura T, e si lascino diffondere il gas ed il vapore l'uno nell'altro. Compiuta la dif- fusione, si comprima, a temperatura costante, il miscuglio finché il vapore sia ritornato completamente allo stato liquido e tutto il gas sia stato assorbito dal liquido. Il van't Hoff ha dedotto la sua relazione applicando la pro- prietà di un ciclo di trasformazioni reversibile alla diffusione che avviene a traverso a pareti semipermeabili fra due sistemi di corpi disciolti, di concentrazione diversa ; nel nostro caso speciale si avrebbe una massa di gas, non disciolta, in presenza di una soluzione dello stesso gas, dalla quale per una variazione di tem- peratura si possa separare una certa quantità di gas oppure essere assorbita. Per i gas perfetti sembra adunque che le condizioni del fe- nomeno siano analoghe nei due processi considerati, che cioè per l'assorbimento del gas in un liquido una diminuzione di tempe- ratura nel solvente, produca lo stesso effetto di una corrispon- dente compressione di una mescolanza del medesimo gas col va- pore di quel liquido, quando nei due casi le masse dei due corpi siano quelle richieste dalle leggi di solubilità, e questo in modo generale qualunque sia la natura chimica del gas. Se ora per alcuni gas, per i quali fu determinato sperimen- talmente il calore di soluzione nell'acqua, si passa al confronto fra i risultati teorici, ottenuti con queste relazioni, e gli speri- mentali, vediamo che non vanno d'accordo. Già Kirchhoff aveva osservato questo per la sua equazione, calcolando per mezzo di essa il valore di c[ per l'ammoniaca e per l'anidride solforosa, e applicando la espressione del coefficiente di assorbimento data da Schonfeld; ma anche i calcoli da me fatti sui dati di Roscoe e viene nei cicli di trasformazione, applicati da Kirchhoff, van't Iloff ed altri al fenomeno dtlia soluzione, non sia un'operazione riversibile veggasi una nota di Gouy e ('haperon {Journ. Phys., 1889, p. 44). 304 STEFANO PAGLIANI Dittmar e di Sims, condussero ad analoga conseguenza, e così quello fatto da Eùhlmann per l'anidride carbonica. Parecchie sono le ragioni che si possono addurre per spiegare queste divergenze. Acciocché si possano meglio discutere queste ragioni io riferirò nella seguente tabella nella 2'' colonna il peso di gas g che si scioglie nell'unità di peso d'acqua alla temperatura considerata di 20°, nella 3" il numero n di molecole d'acqua corrispondente per ogni molecola di gas; nella 4" colonna i calori di soluzione calcolati colla (3), nella 5'' il numero n^ delle molecole d'acqua in cui fu sciolta una molecola del sale nelle determinazioni del Thomsen, nella G'' i calori di soluzioni Q^ determinati dal Thom- sen, nella 7" la frazione del volume primitivo a cui si riduce il volume della massa gasosa nell'atto deirassorbimento, per quei gas per i quali i valori di n^ sono più prossimi. Gas y n Q 'h Q. V m^N 0. 526 1 8 4600 200 8430 1 202 SO.^ 0. 104 34. 2 6648 250 7700 1 37 CO, 0. 9318 2. 6 3382 1500 5880 H,S 2. 905 0. 6 3739 900 4560 Ch 2. 156 1.8 3348 1000 4870 HCl 0. 721 2. 8 1199 300 17315 1 312 Anzitutto è bene notare che questa divergenza può derivare in parte dalla differente concentrazione delle soluzioni , per le quali è stato calcolato Q, e quelle per le quali è stato speri- mentalmente determinato. Come per i sali, l'influenza della massa del solvente deve farsi sentire, quantunque in molto minor grado, anche per i gas, ma ci mancano i dati sperimentali per stabilirla. Noi vediamo però che la minor discordanza si ha per SO^^ per il qual gas è anche relativamente minore la differenza fra n ed n, . ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN'T HOFF 305 Il Kuhlmann [ìoc. cit.) si è pure occupato della divergenza fra la forinola teorica del Kirclihoif e l'esperienza, ed La riconosciuto già che il non potersi considerare i due gas H^Js e SO^ come gas perfetti nelle condizioni supposte dal Kirchlioff non bastava a spie- gare quella divergenza. D'altronde vediamo come essa è presentata dal gas CO^ , ed il confronto sopra stabilito dimostra che i gas SO.^ , j?g , e Cì.^ , i quali certamente si trovano nelle stesse con- dizioni di temperatura e di pressione in uno stato assai più lontano da quello di gas perfetto che non l'anidride carbonica , danno valori di Q assai più concordanti che non quest'ultimo gas. Lo stesso fatto dimostra pure insufficiente la spiegazione dedotta dalla considerazione che un miscuglio di gas e di vapore acqueo non si comporta come un miscuglio di gas di eguale natura. Più soddisfacente mi sembra invece quella che si deduce dalla considerazione che nella mescolanza di gas molto solubili col vapor d'acqua e nella compressione di essa si abbiano dei lavori mole- colari analoghi a quelli che accompagnano le combinazioni chi- miche, e dal fatto che in tale mescolanza si ha una diminuzione di volume ed una variazione di temperatura, della quale non è tenuto conto nella deduzione teorica della formola del Kirchhoff, come pure dello sviluppo di calore, che si deve avere nella com- pressione del miscuglio. Diffatti noi osserviamo che i gas, i quali presentano una minore divergenza, anche tra quelli più solubili, sono quelli che presentano una minore riduzione di volume. Quanto alle divergenze presentate dalla equazione di van' t Hoff, queste possono dipendere dal valore assunto per il coeffi- ciente ?'. Noi abbiamo supposto fin qui, seguendo il van't Hoff, che esso si possa mettere uguale all'unità. Ma la condizione perchè ciò si verifichi si è che i gas seguano la legge di Henry. Ora il van't Hoff, mentre osserva che l'acido cloridrico non segue questa legge e quindi deve per esso assumersi un valore di ^, diverso dall'unità, e più precisamente uguale a 2, come si deduce dallo abbassamento molecolare del punto di congelazione delle sue soluzioni, ammette però che la seguano anche l'idrogeno sol- forato, l'ammoniaca e l'anidride solforosa, per i quali il detto metodo darebbe i= 1,03. Basta però consultare una discussione sui risultati delle esperienze di lioscoe e Dittmar e di Sims, già accennati, contenuta in una nota pubblicata dal Prof. Xaccari con me sull'assorbimento dei gas nei liquidi {E. Accad. deììe Scienze di Torino, voi, XV, 1879), per convincersi che tale am- 306 STEFANO FAGLIASI missione non è conforme alla realtà, almeno per l'ammoniaca e l'anidride solforosa. Quindi anche per questi gas dovrebbe adot- tarsi un valore di i maggiore dell'unità. D'altronde per l'acido cloridrico anche adottando il valore « = 2, si avrebbe ancora un risultato molto differente da quello ottenuto sperimentalmente. Ma abbiamo già accennato sopra come per le sostanze che non sono indifferenti per il solvente il coefficiente i deve prendere valori diversi dall'unità , perchè allora si può ammettere che il peso molecolare della sostanza nella soluzione non corrisponda alla formola chimica, che ordinariamente viene attribuita alla sostanza stessa. Noi potremmo forse ottenere dalla (2) dei valori di Q più con- cordanti con quelli dati dall'esperienza, adottando un valore di M conveniente, considerando che nella soluzione di un gas in un liquido, e sua conseguente condensazione, può avvenire una poli- merizzazione della molecola, oppure una combinazione di essa con una 0 più molecole di acqua. Cos'i pure dalla equazione (1) va- riando convenientemente il valore di i in relazione col valore di M adottato per la (2). A dimostrare che nello assorbimento di un gas, della natura di quelli di cui ci siamo qui occupati, possa avvenire una qualche modificazione nella costituzione della molecola di esso, si possono addurre alcuni fatti, osservati da diversi sperimentatori. Il gas cloridrico, quando è sciolto nell'acqua non può togliersi intera- mente da questa per mezzo di una corrente d'aria; quindi la distinzione fatta da qualcuno di una parte di esso piuttosto chi- micamente combinata, che fisicamente assorbita. Il Khanikoff e il Louguinine ed il Prof. Naccari con me in esperienze sopra l'anidride carbonica , ebbero occasione di osservare che quando l'acqua è stata saturata di gas sotto una data pressione , e si venga a diminuire questa , l'acqua resta soprasaturata di gas (Naccari e Pagliani, loc. cit). E certo che la risoluzione della questione relativa alla diver- genza fra le formolo teoriche di Kirchlroff e di van't Hoff ed i risultati dell' esperienza si avrà soltanto quando si abbiano dei dati sperimentali sul calore di soluzione dell'idrogeno, dell'ossi- geno e dell'azoto, 5. Applicazione dclV equazione di van't Hoff alla soluzione dei solidi. — Il van't Hoff ha calcolato per mezzo della equa- ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN't HOFF 307 zione (!) il calore di soluzione per alcune sostanze fondandosi sui valori di ^, dati dal metodo dello abbassamento del punto di congelazione , ma la concordanza fra i calori di soluzione così calcolati e quelli, misurati direttamente, non è sempre molto sod- disfacente e di più il numero di sostanze prese in esame ci sembra troppo limitato perchè si possa concludere sulla generalità della relazione in questione. Il van't Hoff poi nella verifica fatta, ha confrontato i valori del calore di soluzione così calcolati con quelli trovati per solu- zioni , la cui concentrazione era in generale molto diversa da quella delle soluzioni sature nello intervallo di temperatura per il quale è dato il valore della variazione della solubilità appli- cato, senza tener conto che i calori di soluzione variano assai secondo il rapporto fra la quantità del solvente e quella del corpo sciolto. Si può verificare la relazione (3) del van't Hoff in due modi. Nel primo modo si può calcolare il valore di i dato dall'espressione Q 3 c , 2 T^ or e vedere se questo valore cosi calcolato non varia col variare della temperatura; oppure, supponendo i costante colla tempe- ratura per una data concentrazione, come dovrebbe essere secondo la teoria di van't Hoff, verificare l'equazione: Q 01(7 T^ nella quale Q^ ^ Q sono i calori di soluzione, riferiti alla mo- lecola, quando le proporzioni fra sale e acqua sono corrispondenti alla concentrazione che si considera, alle due temperature T. e T, d^C e OC rappresentano le variazioni della solubilità a quelle due temperature. n primo modo ci permette di confrontare i valori di i così calcolati, con quelli dati dagli altri metodi. 1\ secondo modo ci permette di discutere subito sulle condi- zioni necessarie perchè la relazione del van't Hoff sia applicabile. So 8 STEFANO FAGLI ANI Supponiamo T^ > T, il rapporto — ^ sarà maggiore dell'unità. Ora si debbono anzitutto distinguere due casi: 1° Il calore di soluzione del sale diminuisce collo aumen- tare della temperatura, come avviene per la maggior parte dei sali, nella soluzione dei quali si ha assorbimento di calore, al- lora -^ < 1 e -^- — deve essere minore dell'unità, secondo la re- Q d\c lazione in discorso, cioè 0^1 C< 3 10. 2° Il calore di soluzione cresce collo aumentare della tem- peratura, come avviene per la maggior parte dei sali, nella so- Q luzione dei quali si ha sviluppo di calore, allora — p > 1 e quindi d \C ^ . ~ — , perchè si verifichi la detta relazione , può essere maggiore die ^^(y ^2 _ 0 minore dell'unità, purché —-pr -^ riesca > 1. 01(7 T^ In realtà se si considera come positivo il calore sviluppato nella soluzione e come negativo quello assorbito , se ne deduce che in valore numerico assoluto il calore di soluzione cresce in tutti i casi colla temperatura, ma preferiamo considerare la va- riazione relativa del calore di soluzione, prescindendo dal segno. Bisogna però subito notare come uno stesso sale può col va- riare della quantità di acqua, nella quale viene sciolta una quan- tità costante di esso, presentare l'uno o l'altro di questi casi , poiché il calore di soluzione non solo varia colla temperatura, ma anche colla concentrazione della soluzione risultante ed in generale diminuisce col crescere della concentrazione e può anche cambiare di segno, cosicché se per un dato intervallo di tempe- ratura e per determinati limiti di concentrazioni la relazione (1) è verificata, può non esserlo per temperature diverse e per altre concentrazioni. In una nota, che presenterò prossimamente, applicherò le con- siderazioni ora fatte ad alcuni casi speciali, e poscia passerò a paragonare fra loro le diverse espressioni del coefficiente i di van't Hoff. Torino, Marzo 1889. L'Accademico Segretario Giuseppe Basso. Tip. Biàlb-Pìravia. SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZE del 10 e 24 Marzo 1889 Pag. 253 Lessona — Relazione sopra la Monografia del Prof. Dott. Federico Sacco, « 1 Cheloni astiani del Piemonte n » 255 Aducco — Centro espiratorio ed espii'azione forzata ' , . >> 258 Grandis — Su certi distaili che si trovano dentro il nucleo delle cellule nel rene e nel fegato « 278 Pagliani — Sopra alcune deduzioni della teoria di J. H. vant't Hoff sull'equilibrio chimico nei sistenii disciolti allo stato diluito — Nota prima » 293 Torino - Tip. Roala-Paravìa. ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI VoL. XXIV, Disp. 11% 1888-89 Classe di Scienze Fisiche, Mateuiatiche e Naturali. TORINO ERMANNO LOESOHER Libraio della R. Accadomia delle Scienr.e 309 CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATUEALI Adunanza del 7 Aprile 1889. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presentii Soci: Lessona, Salyadori, Bruno, Berruti, SiACCi, Basso, D'Ovidio, Bizzozero, Ferraris, Naccari, Mosso, Spezia, Girelli, Giacomini, Camerano, Segre. Si legge l'atto verbale dell'adunanza precedente clie viene approvato. Tra le pubblicazioni offerte in dono all'Accademia sono se- gnalate le seguenti : « Un prccursorp- italiano di Legendre e di Lobatscliew- shj ; » Nota del Socio Corrispondente Prof. Eugenio Beltrami, presentata dal Socio D'Ovidio. « Sui fenomeni elettrici provocati dalle radiazioni ; > Memoria del Socio Corrispondente Prof. Augusto Kighi, presen- tata dal Socio Basso. « a) Chemisclie Analyse der Soolquelle in Admiralsgartcn- Bad zu Berlin. — b) Chemische Analyse der K. Friedrich- Quelle ( Natron-Lition- Quelle) zu O/fenhach am Main : » lavori del Socio Corrispondente Dott. N. Fresenius, presentati dal Socio CossA. Le letture e le comunicazioni si succedono nell'ordine se- guente : « Cenno sulla Nota del Prof. E. Beltrami : Un precursore italiano di Legendre e di Lohatscheivshj ; del Socio E. D'Ovidio; « Sulle tangenti triple di alcune superficie del sesto or- dine ; » Nota del Dott. Mario Pieri, Assistente alla Scuola di Geometria proiettiva e descrittiva nella R. Università di Torino, presentata dal Socio D'Ovidio, Atti della R Accad. - Parte Fisica, ecc. — Voi. XXIV. 23 310 E. D'OVIDIO « Sopra alcune deduzioni della teoria di Vani Hoff sulV equilibrio dinamico nei sistemi disciolti allo stato di- luito ; » seconda Nota del Prof. S. Pagliani , presentata dal Socio Naccari ; Il Socio Camerano legge una sua Memoria « Sui prim^i momenti delV evoluzione dei Gordii; la quale verrà pubblicata nei volumi delle 3Iemorie accademiche. Il Socio Succi legge una Commemorazione del compianto Presidente Prof. Senatore Angelo Genocchi, la quale verrà pure pubblicata nei volumi delle Memorie accademiche. LETTURE Cenno sulla Nota del Prof. E. B el trami : « Un precursore italiano di Lcgendre e di LohatschewsJcy * ; del Socio E. D'Ovidio Mi si permetta di richiamare l'attenzione della Classe sopra una Nota dell'illustre nostro Socio corrispondente, prof. E. Bel- TRAMi, intitolata: Un precursore italiano di Lcgendre e di Lo- iatschetvsJcy, ed inserita nei Rendiconti dell'Accademia dei Lincei (17 marzo 1889). Con l'aiuto del P. Manganotti d. C. d. G. e del Prof. Favaro, il Beltrami ha potuto procurarsi un' opera stampata a Milano nel 1733, dal titolo: Euclides ah omni naevo vindicatus, sive conatus geometricus quo stahiliuntur prima ipsa imiversae Geo- metriae principia, Auctore Eteronimo Saccherio, Societate Jesu, in Ticinensi Universitate Matìieseos Professore. 11 Saccheri era di San Remo, cominciò a insegnare in Pavia nel 1697, mori il 5 ottobre 17 73 (lo stesso anno della pubblicazione della sua opera) a Milano , rettore del Collegio di Brera. « Una buona metà di quest'opera, dice il Beltrami, è de- dicata ad una critica veramente accurata e profonda del postu- lato (delle parallele) di Euclide , critica nella quale vengono messi in sodo alcuni dei principi più fondamentali dell'odierna teoria delle parallele, in quella stessa forma, può dirsi, in cui si potrebbero oggi enunciare da noi. Che se disgraziatamente CENNO SULLA NOTA DEL PROF. E, BELTRAMl 311 TAutore finisce col concludere all'assoluta verità (di cui allora niuno dubitava) del famoso postulato, non bisogna fargliene so- verchio addebito; tanto più che la bonarietà colla quale egli si adopera, all'ultimo, a demolire tutto il proprio edifizio è di gran lunga superata dall'acume e dal retto senso geometrico di cui fa prova nell 'innalzarlo > .... « Ecco il punto di partenza del Saccheri, semplice e lim- pido quanto altro ra?i. Dalle due estremità A e B dì una retta AB si conducano a questa, da una stessa parte, due eguali per- pendicolari ACj BD e si congiungano gli estremi 0 e Z) di queste colla retta GB. Gli angoli che questa congiungente fa colle per- pendicolari CA, DB sono necessariamente eguali, e non possono quindi essere amendue che retti, od ottusi, od acuti: nel primo caso la congiungente CD è eguale ad AB, nel secondo è minore di AB^ nel terzo è maggiore di AB ; e viceversa. « Di questi tre casi, che l'Autore considera ah initìo come egualmente possibili , egli chiama il primo hypothesis anguli recti, il secondo hijpothesis anguli ohtusi , il terzo Jnjpothcsis anguli acuti; e dimostra subito che ciascuna di queste tre ipotesi si vel in uno casii sit vera, semper in omni casti iìla sola est vera. Questa è già, come ognun vede, una proposizione molto simile a quella ben nota di Legendre, salvo in quanto all'esten- sione sua, che è maggiore » « Spetta al nostro Autore la priorità del teorema, dato molto più tardi dal Legendre, che la somma dei tre angoli di un triangolo non può superare due retti ». « Quest'angolo acuto, unico e determinato, è manifesta- mente quello stesso che Lobatschewski doveva poi qualificare come angolo di parallelismo: il P. Saccheri era dunque pervenuto con tutte le cautele della classica Geometria, a stabilire netta- mente il concetto fondamentale di quest'angolo limite ». I pochi tratti che ho riportati della Nota del Prof, Delirami, bastano per mostrare l'importanza di essa. Mi associo a lui nel far voti perchè l'egregio P. Manganotti voglia con una p'iù estesa pubblicazione far meglio conoscere ai contemporanei l'opera del Saccheri , e render cos'i un segnalato servigio alla storia della Scienza italiana. Intanto sian rese vive grazie al Prof. Delirami pel graditissimo annunzio che ne ha dato ai cultori della Geometria. 312 MARIO PIERI Sulle tangenti trixìle di alcune superfìcie del sesf ordine Nota del Doti. Mario Pieri Nella presente nota sono descritti sommariamente i caratteri di una certa trasformazione irrazionale (doppia) tra due spazi (*), e ne è fatta applicazione allo studio delle tangenti triple di alcune superficie del sesto ordine dotate di una retta quadrupla e di dieci o più punti doppi (^^). Fra queste rechiamo ad es. la superficie col massimo numero finito di punti doppi, la quale offre delle analogie con la complexfldche del Pliicker : i suoi quat- tordici punti doppi stanno (necessariamente) a coppie sopra sette piani passanti per la retta quadrupla e tangenti lungo rette alla superficie, e le sue tritangenti formano sessantaquattro rigate quadriclie passanti ognuna per la retta singolare e per sette punti singolari. — Per via indiretta si giunge anche alla de- terminazione di alcune trasformazioni univoche involutorie di spazio (probabilmente nuove), che danno, con le loro coppie di punti coniugati, un complesso quadratico speciale di rette. 1. Una quartica gobba c\ di prima specie e cinque punti A'iy^ . . . J.'(3) posti in uno stesso piano II' e tali da formare , insieme coi punti comuni a questo piano ed alla curva, i nove punti base di un fascio di cubiche, determinano un sistema lineare oo^ di superficie generali O'g del terz'ordine. Due superficie ar- bitrarie di questo sistema si tagliano inoltre lungo una quintica variabile R'^ del genere 2, la quale si appoggia alla c'^ in otto punti variabili e passa per tutti i punti A'; e tre superficie (♦) Ci serviamo per questo dei principi generali contenuti nella memoria del Prof. R. de Paolis sopra le trasformazioni doppie dello spazio (Memorie della R. Accademia dei Lincei, marzo 1885), della quale adottiamo anche il linguaggio. La citeremo brevemente con d. P. (**) Esse appartengono alla nota categoria delle superficie (razionali) di ordine n con una retta multipla secondo n — 2. V. Nòther, Ueber Flàchen, velche Schaaren rationaler Curven besitsan, Math. Annal., Bd. HI. SULLE TANGENTI TRIPLE, ECC. 313 arbitrarie si tagliano in due soli punti non comuni a tutte le superficie del sistema. Pertanto, se lo spazio S' generato dalle superficie ' si riferisce proiettivamente ad uno spazio di piani S^ tra i due spazi punteggiati S (spazio doppio) ed S' (spazio sem- plice) verrà a stabilirsi una trasformazione doppia del terzo ordine e genere due (d. P., l, 10) (*). Le degenerazioni possi- bili della quartica e', considerata in relazione col sistema lineare delle ', ci daranno poi altrettante trasformazioni doppie di una medesima famiglia {**). 2. Alle rette dello spazio doppio S corrispondono nello spa- zio semplice S' le oo^ quintiche R\. (n. 1); ma in >S' vi è una retta fondamentale p, a cui corrisponde in S' tutto il piano II', per modo cioè che i punti della retta p danno le cubiche piane p del fascio individuato dai cinque punti A' e dalla quartica e (n. 1). Al fascio di piani, che ha per asse la retta p, cor- risponde il fascio di quadriche avente per base la curva c'^; ad ogni retta, che si appoggi in un punto alla p, corrisponde una conica, la quale incontra la cubica p' corrispondente al mede- simo in due punti variabili e la e in quattro punti variabili. — Tutte le superficie '3 che passano per un determinato punto di una qualunque cubica p la contengono tutta, e formano una (*) la questa, come in qualunque altra trasformazione doppia del genere 2 data da superficie *'„ razionali, sussiste il fatto, che le condizioni imposte alle *'' dai passaggi per gli elementi base del sistema lineare non sono tutte indipendenti, ma una è conseguenza delle altre. VAò può dimostrarsi osser- vando, che la stessa proprietà si verifica per tutte le reti di curve piane del genere 2, che trasformano un piano semplice in un piano doppio. Vedi p. es. Martinetti, Sopra una classe di sistemi lineari di curve piane algebriche, nei Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, marzo 1887 (pag. 1). (**) Oltre questa, vi sono altre due famiglie ben distinte di trasformazioni doppie del terz' ordine e genere due. Nell'una la base del sistema lineare delle superficie ^^ è constituita (nel caso piii generale) da una retta e da una conica non aventi alcun punto in comune, e da sei punti posti sopra una superficie del second' ordine passante per la conica. Neil' altra le superficie «l-'g hanno un punto doppio fisso, una retta fissa passante per il medesimo, un'altra retta fissa arbitraria, e eette punti fissi giacenti con la prima sopra una stessa quadrica. — Però le involuzioni che nascono da ciascuna di queste due famiglie sono tutte conosciute, e appartengono alla classe di quelle studiate recentemente dal Prof. D. Montes.^no nelle due iNote sopra le trasformazioni involutorie dello spazio che determinano un complesso lineare di rette (Rendiconti della R. Accad. dei Lincei, marzo 314 MARIO PIERI rete non avente altri elementi base oltre la j)' stessa e la e \ onde ogni cubica 'p è parassita, vale a dire tutta quanta con- giunta ad uno qualunque dei suoi punti. La superficie jacobiana delle (!>' si spezza nel piano Q' (d. P., 34) ed in una superficie 0' del settimo ordine, la quale passa pei punti A' e contiene la c\ come linea tripla (d. P., 37): questa è la superfìcie doppia della trasformazione. La superficie limite ù è del sesto ordine, ed ha la p per retta quadrupla (d. P., 36). — Ciascuna delle due corde h\,^, h\i^ di c'^ , che passano pel punto ^'(,), è del pari una linea parassita, appartiene alla superficie doppia, e corrisponde ad un punto fondamentale del- l'altro spazio, il quale è doppio per la superficie limite. Alle rette uscenti dal punto H^^i^ corrispondono in S' le quartiche di prima specie che hanno per corda la 7i'(,), passano pei quattro punti -4'(^) (con 5 ^ ^) e incontrano la e ^ in sei punti variabili. 3. Ai piani dello spazio semplice corrispondono nell' altro spazio le superficie _ del quinto ordine che hanno la x) per retta tripla, passano semplicemente pei dieci punti H, K e toc- cano altrove la superficie limite ovunque la incontrano (d. P., 11, 12, 33). Queste condizioni determinano il sistema oo^ delle 0. . — Alle rette di S' corrispondono in yS' le cubiche gobbe R^ che incontrano la retta p e toccano altrove la superficie Og in sette punti variabili (d. P. , 15, 16). — Una R.^ ed una 0_ arbitrarie s'incontrano in dodici punti non fondamentali: onde (d. P,, 17) la trasformazione involutoria J\ generata dalle coppie di punti congiunti di S\ è dell'undicesimo ordine. La Q!. (superficie punteggiata unita dell'involuzione J) e la superficie limite Og sono punteggiate univocamente fra loro: le sezioni piane della seconda danno sulla prima le intersezioni va- riabili di questa con le superficie ', e cioè curve del nono or- dine e genere 4 passanti pei punti A e incontranti sedici volte la quartica e'; e le sezioni piane della prima danno sull'altra le linee di contatto di questa con le superficie (I>, vale a dire curve del nono ordine e genere 3 passanti per i punti II, K e incontranti sette volte la retta p)- 4. Alla curva fondamentale c\ corrisponde nello spazio doppio una superficie rigata Fg dell'ottavo grado e genere 1, le cui generatrici (corrispondenti ai singoli punti di c'^) sono rette tri- taagenti la superficie limite: per essa la retta p è generatrice quadrupla e i punti H, K sono punti doppi (appartenenti a una SnLIE TANGENTI TRIPLE, ECC. 315 sua curva nodale). Alle rette di S' uscenti da un punto qua- lunque T' di c\ corrispondono in S quelle coniche, le quali si appoggiano in un punto variabile alla generatrice di T data dal punto T' ed alla retta fondamentale j), ed inoltre toccano la i\ in quattro punti variabili. Ne viene che la curva e' è fon- damentale per la trasformazione involutoria J' e precisamente quintupla (d. P., 2), per tutte le superficie P'j^ congiunte ai piani di S' (n. 3), e clie il luogo ad essa congiunto è una su- perficie del ventesimo ordine V'^^ (punteggiata univocamente alla r^), per cui la e' stessa è curva nonupla e le h\ k' sono rette doppie. Al punto J-'(,) corrisponde nello spazio doppio un piano «(,) passante per p e tangente la 0^^ lungo una retta (d. P., 21) che contiene i due punti doppi i?(,), K^^ (*) : le rette di questo piano corrispondono ai punti dell'intorno di -4'(,). Ad ogni retta l' passante pel punto -4'(,) corrisponde in S una conica, la quale tocca sei volte la superficie limite ed incontra quella retta di «(,) che corrisponde al punto di l' infinitamente vicino ad A'^^y. onde si ha, che il punto J.'(,) è fondamentale per l'involuzione J' e precisamente doppio per tutte le superficie P'j^; che esso è congiunto alla quadrica «'(.^ che lo unisce a c\; che la su- perficie r\-,Q ha un punto quadruplo in ciascun punto A'; ecc. Sono inoltre fondamentali per l'involuzione /' le dieci rette parassite Ji, Jc', semplici per tutte le P'^j. Oltre i punti e le linee fin qui considerate, la trasforma- zione doppia e la sua involuzione congiunta non hanno altri ele- menti fondamentali. — Le superficie congiunte a due piani ar- bitrari di S' si taglialo secondo la quartica e' contata venticinque volte, secondo le rette h', Jc e secondo una curva variabile R'j^ congiunta alla linea d'intersezione di quei due piani. Le curve (razionali) R'^^ hanno un nodo in ciascun punto A' e si appog- giano in venti punti variabili alla e' (formando per ciò appunto un sistema oo'*). 5. Alle generatrici della rigata Fg corrispondono in S' le curve congiunte ai punti di e : se T' è un punto di questa curva fondamentale, la sua curva congiunta è una quintica t\, che ha un punto triplo in T', coi tre rami ivi tangenti alle tre (*) Ossia un piano doppio di il. 316 MARIO PIERI falde di 0'. (n. 2) , incontra e in altri cinque punti e passa per ciascun punto Al . Delle nove falde, con cui la superficie F' passa per e (n. 4), tre sono rispettivamente tangenti lungo tutta questa curva alle tre falde della 0'„ clie si tagliano in essa. I punti infinitamente prossimi ad -4'(,) sono congiunti alle oc^ coniche tagliate sulla quadrica «'(,) (n, 4) dai piani pas- santi per J.'(,) ; la «'(,) e la 0' hanno nel punto ^'(,) lo stesso piano tangente (il piano delle due rette //(,), A;'(,|). 6. Nello spazio semplice, ogni quadrica del fascio e' è con- giunta a se medesima (n. 2), essendo congiunte fra loro le due schiere di rette in essa contenute. Due corde di e sono congiunte l'una all'altra, se passano per un medesimo punto (non fonda- mentale) di 0' ; e allora corrispondono entrambe ad una stessa retta dello spazio doppio, retta che si appoggia alla /) e tocca i2 in un punto. Viceversa ogni tangente di Q che incontri la j) ha per corrispondente in /S'' una conica , la quale si spezza necessaria- mente (d. P., 4) in due corde di e segantisi in un punto di 0'. I quattro coni quadrici che passano per la quartica e hanno i loro vertici sopra la Q! e segano questa superfìcie in coppie di rette incidenti ("') ; onde per p passano quattro piani tangenti propri di Q, ciascuno dei quali contiene due rette semplici di questa superficie i^*). Una costruzione assai semplice dell' involuzione J' è la se- guente. Dato un punto qualunque JJ\ si consideri la quadrica g che passa per esso e per c'^, e siano x, y le due genera- trici di questa, che s'incrociano nel punto U'. Per il punto X', dove la retta x taglia il piano Fi', passa una certa cubica p (n. 2), la quale incontra la conica determinata da X' e dai quattro punti comuni a fi' e a e' in un altro punto X'^ : allora quella generatrice di 5', che passa per X'j ed incontra x' sarà la retta x\ congiunta ad x. Nel modo stesso trovasi la retta y\ coa- (*) Su ciascuno di tali coni le coppie di generatrici congiunte formano un'involuzione avente queste due rette per elementi doppi. (**) Da ciò segue, che la superficie limite non ha altri punti doppi, oltre i punti //, K. — V. p. e. Salmon-Fiedleb, Analyt. Geom. d. Raumes, Dritte Aufl., pagg. 442-445. Similmente la superficie n^ non ha punti doppi, né possiede altre rette, oltre le dieci h^, W e le otto qui rammentate. — La superficie Qf appartiene alla nota classe delle superficie razionali d'ordine 2w+l con una quartica di prima specie n — -pia. V. Nuther, Ueber die eindeutigen Raum- trasformalionen. Math. Ann., Bd. III. SULLE TANGENTI TRIPLE, ECC. 317 giunta ad ?/' ; e le due rette x\, y\ s'incontrano necessariamente nel punto U\ congiunto ad U' . 7. La linea, secondo cui un piano qualunque P' di 8' è tagliato dalla propria superficie congiunta , spezzasi nella se- zione del piano stesso sopra la superficie doppia ed in due co- niche d' passanti pei punti comuni allo stesso piano e alla e ^'. ciascuna di queste due coniche è congiunta a se medesima, e corrisponde ad una retta doppia per quella superficie $-, che è data dal piano P' (d. P., 12). Le superficie ., oltre alla retta tripla p (n. 3), hanno due rette doppie sgheml)e d incontranti la p e variabili da superficie a superficie {*). Se il piano P' ruota intorno ad una retta r , le due coniche suddette generano una superficie H'. del quinto ordine , luogo delle coppie di punti congiunti allineate sui punti della retta r . Questa superficie passa per la r e per la R',, congiunta alla medesima, contiene come doppia la quartica e' e come semplice i punti a! : le corrisponde in S la quadrica H^ determinata dalla retta p e dalla cubica Pg corrispondente alla r' . Le superficie E' date da due rette sghembe qualunque hanno a comune una curva )/g del nono ordine e genere 4 (che in- contra sedici volte la e e passa pei punti A!), luogo delle coppie di punti congiunti situate sui raggi di una congruenza lineare arbitraria: essa corrisponde ad una cubica gobba )..^ avente per corda la retta p. Dalla intersezione di due superficie H' date da rette incidenti si staccano (d. P., 41) le coniche d' appar- tenenti al piano di queste, e resta una curva 1'^ del genere 2. che passa per i punti A! e si appoggia otto volte alla c'^: ad essa corrisponde in S una retta (|, che non incontra la p. Ogni ^'- è il luogo delle coppie di punti congiunti allineati sopra un certo punto arbitrario di S' (il punto comune a quelle due rette incidenti) ; onde le rette, che uniscono a due a due i punti con- (*) Ogni superficie ^r, possiede dieci rette, e cioè le quattro date dai punti di e' che stanno sul piano P\ e le sei corrispondenti alle rette che uniscono fra loro questi punti: quelle incontrano ambedue le rette doppie d, queste stanno in tre piani passanti per p. (V. Cremona, Ueber die Abbildung alge- braischer Flàchen, Math. Ann. , Bd. IV). — Si osservi la facilità, con cui si presentano sul piano P^ i caratteri tutti della rappresentazione piana di una tal superficie. — Trasformando una quadrica di 5' passante pei cinque punti A' si otterrebbe in 5 una superficie del quint'ordine con due rette doppie sghembe. 318 MARIO PIERI giunti dello spazio semplice, generano un complesso speciale del secondo grado, formato da tutti i raggi che incontrano la co- nica f' passante pei cinque punti A! [*). 8. Ad una retta tritangente fìg deve corrispondere nello spazio semplice una J?'- con tre punti doppi sopra ù' (d. P., 4). Ora, se i tre punti doppi si confondono in un unico punto triplo, questo dovrà appartenere a e ^ e la tritangente sarà una gene- ratrice della rigata T^\ in caso diverso la R'^ corrispondente alla tangente tripla si spezzerà necessariamente in una retta ed una quartica (di seconda specie) oppure in una conica ed una cubica gobba congiunte fra loro. Se ne deduce, che le tangenti triple (proprie) della superfìcie limite sono tutte e sole le rette corrispondenti in primo luogo ai punti di e' (ovvero alle quin- tiche t' congiunte ai medesimi), in secondo luogo alle rette che incontrano e e passano per uno qualunque dei punti A' (ovvero alle relative quartiche congiunte, le quali passano per quattro punti a! e incontrano sette volte e'), in terzo luogo alle co- niche passanti per due qualunque dei punti A! e incontranti tre volte la e' (ovvero alle cubiche gobbe passanti per tre punti A e incontranti cinque volte la e). Al cono r',^,) , che proietta la quartica e' dal punto ^'(,) , corrisponde nello spazio doppio una rigata T(,-, dell'ottavo grado e genere 1 , contenente la X) come generatrice quadrupla e i punti H, K come punti doppi. Le coniche passanti per i due punti -4.'(,), ^'(/) e appoggiantisi tre volte alla e formano un sistema semplicemente infinito, avente lo stesso genere della curva e', ed occupano una superficie dell'ottavo ordine ly^,, /, per cui la e' è tripla, i punti ^'(,), -4'(,) sono quadrupli, ed alla quale corrisponde pure una rigata c^^ ^^ dell'ottavo grado e genere 1, avente la p per generatrice quadrupla ed i punti H, K per punti doppi. Abbiamo pertanto, che nella superficie Qg del sesto (♦) Questa conica è dunque il luogo dei poli di tutte le involuzioni date dalle coppie di punti congiunti che stanno sulle coniche d^ — Una H'g è il luogo delle coppie di punti congiunti poste sui raggi di un complesso lineare speciale; una superficie qualunque del fascio determinato da due S'arbitrarle è il luogo delle coppie di punti congiunti poste sui raggi di un complesso lineare non speciale, e corrisponde ad una quadrica del fascio individuato da due H^ arbitrarie; ecc. ecc. — I coni quadrici, che proiettano dai vart punti di e le quintiche congiunte ai medesimi (n. 5), formano una congruenza dell'ottavo grado: e i raggi principali di 5^ un sistema (doppiamente infinito) del quarto ordine e sesta classe (d. P., 45). SULLE TANGENTI TRIPLE, ECC. 319 ordine con una retta quadrupla e dieci punti doppi, posti due a due su cinque piani doppi passanti per questa retta, le tritangenti proprie formano sedici rigate ellittiche dell'ottavo grado contenenti la retta stessa come quadrupla ed i punti stessi come doppi. 9. Col sussidio della nota rappresentazione piana delle super- ficie del sesto ordine dotate di una retta quadrupla, non è diffi- cile dimostrare che, viceversa: « ogni sìqìerficie del sesf ordine con una retta quadrupla e dieci punti doppi, posti a coppie sopra cinque piani passanti per questa retta, può sempre ot- tenersi come superficie limite di una certa trasformazione doppia, della specie considerata. » Infatti è noto , che ogni superficie del sesto ordine dotata di una retta quadrupla può esser rappresentata punto per punto sopra un piano P mediante un sistema lineare oo^ di sestiche aventi un punto quadruplo 0 e quattordici punti semplici fissi 1, 2, 3, 14; che per ogni punto doppio esistente sulla superficie, due di questi quattordici punti vengono ad allinearsi con 0 ; che la retta quadrupla della superficie è rappresentata sul piano P dalla curva del quint'ordine avente un punto triplo in 0 e passante semplicemente per ciascuno degli altri punti fondamentali {*), ecc. Se inoltre un piano passante per la retta quadrupla contiene due punti doppi della superficie, è chiaro che vi saranno sul piano P due punti fondamentali allineati con 0 e infinitamente vicini fra loro (e reciprocamente). Data pertanto una superficie arbitraria del sesto ordine, che chiameremo Q, con una retta quadrupla p e dieci punti doppi H, K, situati a coppie in cinque piani a passanti per 2^, se la supponiamo rappresentata univo- camente sul piano P, le sue sezioni piane avranno per imma- gini le sestiche : ^ 0*, 1 10, 2 il,..., 5 14,6,7,8,9 , dove i punti fondamentali 0, 1, 2, , 9 sono in posizione generale, e i punti 10, 11, , 14 sono infinitamente vicini ai punti 1, 2, , 5 nella direzione del punto 0, La retta quadrupla j) avrà per immagine la quintica: '»^''0', 1 10, 2 11, .. .5 14,6,7,8,9 , \*) ISòTHiOR, loc. cit., pagg. 185-86. 320 MARIO PIERI e i due punti doppi iy(,), iTj,, (/=:!, 2, , 5), appartenenti ad uno stesso piano doppio a,, della superficie, saranno rappre- sentati l'uno dall'intorno del punto fondamentale ?, l'altro dalki retta 0 i. Infine, la retta di contatto del piano «(,) con la su- perficie sarà rappresentata dal complesso di tutte le direzioni uscenti dal punto i e infinitamente prossime alla direzione Oi. Ora i punti 0, 1,2, , 9, possono anche riguardarsi come punti fondamentali della rappresentazione univoca , sullo stesso piano P, di una certa superficie razionale del settimo ordine, che chiameremo 0', dotata di una quartica di prima specie tripla e' . Le sezioni piane di quest'altra superficie hanno per imagini delle quintiche: e la quartica tripla una curva del nono ordine: 0», 12, 2^. ..,9'^ ^ 0M2 2^. ...9'^ ('^)' 11 punto 9+?' infinitamente vicino al punto i sulla retta 0 i rappresenta un punto A!^^^ comune a due rette //(,, , ^■'(,) della superficie O! : ed i cinque punti A! così determinati giacciono nello stesso piano II', la cui sezione è rappresentata in Q^. Ciò posto, poiché il luogo formato da una qualunque delle curve C' presa insieme con la curva fissa T'^ rappresenta l'in- tersezione totale della superficie Q! con una certa superficie del terz 'ordine passante per la quartica e' e pei punti A' , dovrà esi- stere un sistema lineare co^ di superficie ^'g passanti per la curva e ^ e pei punti A. Allora, considerando le due superficie Q. ed 12' come appartenenti a due spazi distinti S ed 8' , e fa- cendo corrispondere tra loro quei piani di /S' e quelle O'g di S\ che tagliano rispettivamente Q ed 0' secondo linee aventi la stessa rappresentazione su P, verremo a stabilire tra gli spazi S ed S' una trasformazione doppia della specie considerata ai numeri precedenti; e questa trasformazione avrà per superficie doppia la Q! stessa, perchè esiste una sola superficie del settimo ordine avente la e ^ per curva tripla e passante per le dieci rette lì, k' {**). Inoltre, poiché ai piani di /S' passanti per uno (*) NÒTHER, loc, cit., pag 570. (**) Se una data quartica di prima specie deve esser tripla per una super- SULLE TANGENTI TRIPLE, ECC. 321 stesso punto di Ù corrispondono le superficie 0' passanti per uno stesso punto di Q' (e viceversa), alla superficie Q! dello spazio semplice dovrà corrispondere nell'altro spazio la superficie Q: onde questa sarà la superficie limite della trasformazione. 10. 11 teorema suddetto permette di enunciare in generale tutte le proprietà della superficie limite fi^. Potremo così affer- mare in modo assoluto che (n. 8) : « Le tritangenti (proprie) della superficie del sesto ordine (e classe sedici) dotata di una retta quadrupla e di dieci punti doppi, posti a coppie su cinque piani doppi passanti per la me- desima^ formano sedici rigate ellittiche delVottavo grado conte- nenti quella retta come quadrupla e quei punti come doppi. » — Nei numeri seguenti sono accennati i casi particolari più no- tevoli della trasformazione doppia studiata precedentemente : essi conducono a superficie limiti aventi un maggior numero di punti e di piani doppi, e che possono riguardarsi come casi partico- lari della precedente. I ragionamenti fatti al n, 9 subiscono qualche lieve modificazione, che non staremo a rilevare per brevità, ma non cessano di valere sostanzialmente anche in ciascuno di questi singoli casi; cosicché di ogni superficie del sesto ordine, avente le medesime singolarità (retta quadrupla , punti e piani doppi) della superficie 0 data da una qualunque delle trasformazioni speciali che otterremo, si potrà egualmente affermare che essa sia la superficie limite di una trasformazione doppia della me- desima specie di quest'ultima : e quindi le proprietà di ciascuna di tali superficie potranno esser subito enunciate in generale. 11. La c^ (n. 1) può spezzarsi in una cubica gobba e/ ed in una retta e,', che incontra e/ in due punti M\ N' : le R\ si appoggiano alla Cj' in sei e alla e/ in due punti variabili. I punti M', N' sono quadrupli per la superficie doppia e corrispondono a due punti doppi M , N della superficie limite , per ciascuno dei quali passano due rette (distinte) della medesima. — La superficie Fg del caso generale si spezza in una rigata quadrica r^ passante per la retta p e per i sette punti K, M, N, ed in una rigata razionale F^, contenente la j9 come generatrice tripla, i punti H come doppi e i punti K, M, N come semplici. In fide del settimo ordine, l'equazione di questa non conterrà più che quindici costanti (lineari) arbitrarie. Ma per una tal superficie il contenere anche una coppia di corde incidenti della quartica tripla equivale a -^> ed in una rigata razionale del sesto grado contenente la p come generatrice tripla, i sette punti K^^^ H^i-^ 31, N come semplici ed i rimanenti cinque i7(,j, Kf^/^ come doppi; mentre la (7(,-,j si spezza in una rigata quadrica passante per jj e pei sette punti ff(^,y H^^iy K,,^ (con 5 ^ i, /), M, N ed in una rigata razionale del sesto grado avente la p per generatrice tripla, i sette punti stessi come punti semplici e i rimanenti cinque -ST^,-, , K^i-^, II^,-^ come doppi. Avremo dunque, per ciò che è stato detto al n. precedente, che: « Sulla superficie del sesto ordine (e classe dodici) dotata di una retta quadrupla p, di dieci punti doppi posti a coppie su cingile piani doppi passanti per la medesima, e di altri due punti doppi qualunque M, N, i primi possono essere ag- gruppati in sedici quintuple situate su altrettante rigate qua- driche passanti per questi ultimi e per la retta singolare (*) e formate di tangenti triple della super fì,cie. Le altre tangenti triple si distribuiscono in sedici rigate razionali del sesto grado, ciascuna delle quali contiene la retta p stessa come generatrice tripla, passa pei punti M, N e j9er i punti di una delle sedici quintuple, ed ha come doppi i punti della quin- tupla complementare. » 12. La c^ può spezzarsi in due coniche e/ aventi a comune due punti M\ N' : questi saranno allora quadrupli per la su- perficie 0^', la quale conterrà anche la retta 31' N'. I punti Jf, N, come sul caso precedente, sono doppi per la superficie limite, la quale però acquista ora anche un nuovo piano doppio, che contiene ambedue questi punti e corrisponde ai piani (con- giunti fra loro) di quelle due coniche. Oltre le rette di contatto dei sei piani doppi (di cui l'ultima corrisponde alla retta 31' N') la superficie Q^ possiede due coppie di rette incidenti, date dai due coni quadrici passanti per ambedue le coniche e (n. 5). La rigata V^ spezzasi in due rigate (razionali) del quarto grado contenenti la p come generatrice doppia e passanti per i dodici punti H, K, 31, N. Lo stesso avviene di ciascuna delle rigate reo-. Pertanto: (*) Due punti d'uaa stessa quintupla non giacciono mai in un piano con la retta singolare. SULLE TANGENTI TRIPLE, ECC. 323 « Le tritangenti della superfìcie del sesto ordine dotata di una retta quadrupla e di dodici punti doppi piosti a due a due sopra sei piani doppi passanti per la medesima, for- mano trentadue rigate del quarto grado, ciascuna delle quali contiene quella retta come generatrice doppia e x^assa per quei punti. » ('^■). 13. La c^ può spezzarsi in una conica e/ ed in due rette e/ aventi a comune un punto L' e incontranti la conica rispet- tiva nei punti M\ N' : ciascuna di queste rette è incontrata dalle R:^' in due punti variabili. L'attuale superficie doppia acquista, su quella del caso precedente, un nuovo punto quadruplo L', e la superficie limite un nuovo punto doppio L, pel quale passano due rette distinte della medesima. Di più una delle due rigate F^ del n. precedente si spezza ora in due rigate qua- driche contenenti la retta j; e il punto L e passanti Tuna per i sei punti H, M, l'altra per i sei punti K, N. Lo stesso avviene per una delle due rigate r^,) e per una delle due o-(, ,.. Talché : « Nella superfìcie del sesto ordine {e classe dieci) che ha una retta quadrupla p, dodici punti doppi situati a coppie sopra sei piani doppi passanti per questa retta ed un tredi- cesimo punto doppio L, quei dodici punti doppi possono essere distribuiti in trentadue sestuple poste sopra altrettante rigate quadriche passanti per p e per L e composte di rette tritangenti la superfìcie {**). Le altre tangenti triple di questa formano sedici rigate del quarto grado contenenti la p come genera- trice doppia e passanti per quei dodici pmiti. » 14. La e/ si spezza in quattro rette formanti un quadrila- tero sghembo. Le due coppie di piani passanti per questo qua- drilatero sono coppie di piani congiunti fra loro e corrispondono a due piani doppi di 0 : le due coppie di vertici opposti M' ed N\ L' ed /' corrispondono a due coppie di punti doppi di 0. T punti il/', N', L\ I', sono quadrupli e le rette 31' N', L'I' sono semplici per 0'. Tanto la rigata Fg , quanto ognuna delle <7j e Tg del caso generale, si spezza ora in quattro rigate qua- (*) La medesima superfìcie si può anche ottenere come superficie limite nella prima fra le due trasformazioni doppie accennate al n. 1 (in nota). (**) Due punti di una medesima sestupla non giacciono mai in un piano con la retta p. 324 MARIO PIERI driche passanti ciascuna per la retta singolare e per sette dei quattordici punti singolari, ecc. « Nella superficie del sesto ordine (e ottava classe) do- tata di una retta quadrupla e di quattordici punti doppi posti a due a due sopra sette piani doppi passanti per questa retta, i punti doppi possono distribuirsi in sessantaquattro scttuple contenute in altrettante rigate quadriche passanti per la mede- sima {*). Tali rigate quadriche compongono l'intero sistema delle tangenti triple di questa superficie. » — Altre possibili degenerazioni della quartica e' restano ancora ad esaminarsi, nelle quali comparisce una cubica piana ed una retta ad essa incidente. Le trasformazioni di questo nuovo gruppo (alcune delle quali date da superficie ^^ aventi un punto doppio fisso) si scostano però alquanto dal tipo precedente; e le superficie limiti da esse fornite saranno oggetto di uno studio a parte. Torino, Marzo 1889. (*) Due punti di una medesima settupla non sono mai in un piano con la retta singolare. — La stessa superfìcie si otterrebbe pure dalla seconda delle due trasformazioni indicate al n.l. 325 Sopra alcune deduzioni della teoria di van't Hoff suir equilibrio chimico nei sistemi disciolti alla stato diluito; Nota seconda del Prof. Stefano Pagliani 1. Le determinazioni, che servono meglio a stabilire la rela- zione fra la solubilità dei sali e la temperatura sono quelle, sulle quali Nordenskiold [Fogg. Ann. 1869, cxxxvi 309) ha basato il calcolo delle espressioni logaritmiche della solubilità di alcuni sali, e di queste mi sono servito {*). Quanto ai calori di soluzione ho applicato specialmente quelli trovati da Winkelmann {Pogg. Ann. 1873. 149, 22), da Pickering {Trans. Chem. Soc. 1887, 52, 290), e da Tilden {Proc. Boy. Soc. 1884-85. 38. 401). Eiguardo ai valori di Winkelmann debbo far notare che nella loro determinazione è stato adottato per calore specifico della soluzione un valore dedotto indiretta- mente dalla misura dello abbassamento di temperatura prodotto dalla soluzione del sale nell' acqua e ammettendo che il calore di soluzione varii poco colla temperatura, ciò che non è gene- ralmente. Perciò nei miei calcoli mi sono servito dei valori del calore di soluzione dedotti direttamente dai dati sperimentali, non di quelli che si calcolano dalle formole di interpolazione, pro- poste dall'autore. Eiguardo ai valori del Pickering non ho adottato quelli che egli dà come definitivi nelle tabelle , dove le tempe- rature sono date a intervalli di un grado, presentando essi molte irregolarità , ma ho calcolato i valori medii dei calori di solu- zione risultanti dai dati diretti delle sue esperienze, li ho costruiti graficamente, e per quelli, per cui fu possibile, ho calcolato una formola di interpolazione della forma Q=:a-{-bt-{-ct^ ( vedasi l'annotazione in fine di questa nota). (♦) Ancora recentemente Engel {Ann. Chim. Phi/s. [6], 13, 132, 1888) fa- ceva osservare come le determinazioni più esatte della solubilità dei sali a diverse temperature sono quelle del Gay-Lussac, poi verrebbero quelle di von MuLDER, indi di Kremer e finalmente di Poggiale. Atti delia R Accad. - Parte Fisica, ecc. — Voi. XXIV. 24 326 STEFANO PAGLIANI Per la variazione della solubilità dei sali colla temperatura abbiamo, come ho detto, delle espressioni logaritmiche, general- mente della forma : log S= — a + ht — ct^ , nella quale S è la quantità di sale che si scioglie nell'unità di peso di acqua alla temperatura t. Quindi si deduce dt 1 Q dìogC dovrebbe pure essere 77- > 1 • Invece le determinazioni di AVin- kelmann e di Tilden dimostrano bensì che nella soluzione del ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. YAN't HOFF 329 nitrato di sodio si ha assorbimento di calore nella soluzione, ma risulterebbe Q 1. Bisogna però subito notare che le concen- trazioni delle soluzioni risultanti, da essi studiate, sono inferiori a quella che corrisponde alla soluzione satura del sale a 0''. Le soluzioni studiate da Winkelmann hanno una concentra- zione variabile fra 0,03 e 0,70 di sale per 1 di acqua. Nella tabella seguente P è il peso di acqua, nella quale veniva sciolta l'unità di peso del sale, t^^ t-,, t^, t^ sono le temperature, alle quali corrispondono i calori di soluzione Q^ , Q^ , Q^, Q^ ^ re- lativi alla diluizione P, ma riferiti alla molecola del sale, e dedotti direttamente dai dati sperimentali del Winkelmann ; i^ , ?'o ^ ù 1 «4 sono i valori calcolati di i rispettivi. p ^ Q. ù t, Q2 h '3 ^3 '3 h Q. h 26.8 1.49 5200 3.84 28.12 5126 3.17 — — — 56.46 4215 2.18 20.8 2.58 5125 3.77 28.39 4593 2.83 — — — 52.26 4121 2.19 17.8 2.63 5064 3.71 28 21 4546 2.80 — — — 54.35 4059 2.13 11.9 3.53 4877 3.56 28.35 4422 2.73 — — — 52 65 4094 2.17 8.8 4.93 4642 3.37 27.23 4282 2 66 — — — 52.06 3972 2.11 6.0 7.31 4337 3.08 27.89 4091 2.52 — — 54.34 3876 2.02 5.2 8.61 4194 2.95 28.00 3988 2.47 — — — 56.21 3811 1.97 4.0 — — — 18. 82 3859 2 54 35.81 3790 2.23 55.09 3677 1.92 3. 196 — — 19.45 3687 2.41 35.59 3659 2.15 56 46 3563 1.84 2. 496 — — — 28. 75 3495 2 30 40.03 3458 1.98 57. 53 3427 1.77 2. 001 — — — .30. 50 3288 2.00 — — — 55 95 3304 1.79 1,667 — — — — — — 33.21 3175 1.90 54.57 3289 1.70 1. 427 — — — — — — 32. 17 3032 1.82 58.92 3118 1.59 Come si vede la relazione del van't Hoff non si verifica colle soluzioni di Winkelmann, ma ciò può dipendere da che le con- centrazioni corrispondenti sono inferiori a quelle delle soluzioni sature di nitrato sodico fra 0° e 120°, poiché a misura chela concentrazione della soluzione si avvicina a quella che corrisponde alla soluzione satura a 0" , le differenze fra i valori di i alle diverse temperature si fanno sempre minori. Di più si vede come 330 STEFANO PAGLIANl col variare della concentrazione può mutare il senso nel quale varia il calore di soluzione colla temperatura ; mentre per solu- zioni di concentrazione minore che quella di 1 di sale per 2 di acqua si ha : — ^ < 1 , per concentrazioni maggiori si ha ;^ > 1 » quindi ci avviciniamo alla condizione richiesta dalla equazione (1), per cui è probabile che per concentrazioni comprese fra 0,73 e 2,11 di sale per 1 di acqua e fra 0° e 120° si verifichi detta equazione. Ciò si vede anche meglio dalla seguente tabella, nella quale le lettere P, t, Q, cogli indici relativi hanno lo stesso significato che nella precedente , ed accanto ai valori del rap- Q. . . , . . . . , , cìAogs t:^ porto — SI sono messi i valori rispettivi del rapporto -r-, x -;^, , Q diogS T^ che chiamerò K. p h ^2 Q2 Q. K '3 K h Q2 K Q. Q, K 26.8 1.49 28.12 0.91 1.20 — 56. 46 0.81 1.43 0.82 1.19 20.8 2.58 28 39 0.90 1 19 — — — 52.26 0.80 1.38 0.80 1.16 17.8 2.63 28.21 0.90 1.19 — — — 54.35 0.80 1.40 0.89 1.17 11.9 3.53 28.35 0.91 1.18 - — — 52.65 0.84 1.38 0.92 1.16 8.8 4.93 27.23 0.92 1.16 — — — 52.06 0.86 1.36 0.92 1.17 6.0 7.31 27.89 0.94 1.15 — — — 54.34 0 89 1.36 0.94 1.18 5.2 8.61 28.00 0.95 1.14 — — — 56.21 0.91 1.36 0.97 1.19 4.0 — 18.82 — — 35.81 0.98 1.12 55 09 0.95 1.26 0.97 1.12 3.196 - 19. 45 — — 55 59 0.99 1.11 56.46 0.97 1.26 0.97 1.13 2.496 - 28. 75 - - 40.03 0.99 1.07 57.53 0.98 1.19 0.99 1.11 2.00 — — — — 30.50 — — 55.95 — — 1.05 1.17 1.667 — — — — 33.21 — — 54 57 — — 1 02 1.14 1 427 — — — — 32.17 * — — 58.92 — — 1.03 1 18 Si vede che il valore del rapporto fra i calori di soluzione a due temperature date cresce col crescere della concentrazione cioè a misura che ci avviciniamo a quella concentrazione , che corrisponde alla soluzione satura a 0° , e tende verso il valore ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN't HOFF 331 proprio del rapporto fra le variazioni della solubilità per le stesse due temperature. Confermano la conclusione relativa al valore di i anche al- cuni risultati delle esperienze del Person {Ann. Cliim. Flnjs. 1851 [3]. 33). p t Q i 20 22°. 8 4733 3. 04 10 20 . 1 4464 2. 91 5 22 . 7 3999 2. 55 Questi valori vanno sufficientemente d'accordo con quelli cal- colati dai dati del "Winkelmann. Non vi si accordano invece quelli che si deducono dai dati del Tilden. La soluzione da lui stu- diata corrisponde ad una concentrazione di 2,15 di acqua per 1 di sale, ed abbiamo : ^ = 16°. 17 ^ = 4786 i=2 09 t = hi. 61 gj=4255 i=2. 23 ^-y= 0.89 2 d^\ogS_ dìogS :1. 27 . Dai dati di Kaoult (1 di sale per 100 di acqua) si calcola «■=1,82; secondo Arrhenius (1 per 1000 di acqua): i'' = l,82. Dal coefficiente isotonico di H. de Vries (1 di sale per 90,5 di acqua) « = 1,50. Come si vede, havvi poco accordo fra i di- versi valori di /, tenendo conto delle concentrazioni delle solu- zioni. Cloruro di i^otassio. — L'espressione logaritmica del Nor- denskiold, calcolata sui risultati del Gay-Lussac e per l'intervallo di temperatura 0° a 110° è la seguente : log ^=-0,5345 + 0,003790 ^-0,000009^' dalla quale si calcola una temperatura limite superiore a 110°. Quindi in quei limiti di temperatura d log S sarebbe positivo, e 332 STEFANO PAGLIANI perciò si dovi'ebbe avere assorbimento di calore nella soluzione, almeno per le concentrazioni comprese fra 0,292 e 0,593 di sale per 1 di acqua. Riguardo al calore di soluzione abbiamo le determinazioni di Winkelmann e di Pickering , le quali danno appunto assor- bimento di calore nella soluzione del cloruro potassico. Le prime si riferiscono a concentrazioni comprese fra 0,03 e 0,294 di sale per 1 di acqua. Il calcolo della quantità i ha dato i se- guenti risultati : p ^1 Q. h h Q2 h h ^3 h 32.9 1.59 4948 3.79 28. 16 4034 2.94 53 43 3205 2 31 23.7 1.95 4906 3.75 27.17 4065 2.97 54 61 3221 2 32 17.9 2.81 4769 3.54 26.58 4042 2.95 54.43 3165 2.28 11.4 3.93 4555 3.47 28.17 3927 2.86 54.50 3215 2.32 8.G 7.41 4366 3.29 26.97 3908 2.85 55.32 3128 2.25 6.4 8.26 4277 3.22 27.36 3854 2.81 56.32 3128 2.25 4.94 — — — 26.99 3753 2.74 55.39 3091 2.23 3.97 — — — 27.46 3662 2.67 55 66 3069 2.21 3.4 — — — 27.53 3583 2.61 56.53 3029 2.18 Coi dati di Raoult (1 di sale per 100 di acqua) si calcola 2=1,82; secondo Arrhenius (1 per 1000 di acqua) 1,86. Dal coefficiente isotonico di H. de Vries (1 di sale per 95,8 di acqua) «=:1,54. Anche qui abbiamo poco accordo fra i diversi risultati. Da quei dati già risulta come la variazione di i colla tem- peratura diminuisce col diminuire della diluizione, e quindi la relazione di van't Hoff tende a verificarsi per le concentrazioni corrispondenti alle soluzioni sature nei limiti di temperatura, per i quali vale la espressione della solubilità. Questo si riscontra anche meglio se si mettono a confronto i valori del rapporto dei calori di soluzione e quelli del rapporto ] ^ -— ^ per la stessa alogo 1 temperatura. Vediamo pure come , anche per il cloruro potassico il va- lore di i calcolato dal calore di soluzione tende per una data ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN't HOFF 333 temperatura a crescere col crescere della diluizione, come per gli altri sali. Il Pickering ha determinato i calori di soluziime di una mo- lecola di sale in 400 molecole d'acqua, ciò che corrisponde alla concentrazione 1 di sale per 47,6 di acqua. Dai suoi risultati sperimentali ho calcolato l'espressione (vedasi annotazione in fine) : <2 = 5279,7 - 51,652 ^ + 0,86394 ^-. Il calcolo della quantità i ha dato i seguenti risultati: t=: 5° ^ = 5032 « = 3.82 ^=15° ^ = 4588 ?-=3.41 ^=25" Q — i2\S ^-=3.09 Questi valori confermano il risultamento che ?', così calcolato, cresce colla diluizione. Cloruro di ammonio. — L'espressione logaritmica calcolata da Nordenskiold sui risultati di G. Lindstrom per l' intervallo di temperatura 0 a 90° è la seguente: \o%S= - 0.5272 + 0,005483 ^ — 0,00001732 t- Da essa si calcola una temperatura limite superiore a 90°. Adunque, nei limiti di concentrazione compresi fra 0.297 e 0.672 di sale per uno di acqua e fra 0° e 90", dlC sarebbe positivo e quindi nella soluzione del cloruro d'ammonio si deve avere assorbimento di calore. Le determinazioni di Winkelmann danno per risultato che per concentrazioni comprese fra 0,03 e 0,25 di sale per 1 di acqua si ha assorbimento di calore nella soluzione. Nella tabella seguente riportiamo i risultati sperimentali ed i valori calcolati di i. p h ^1 h t.2 Q2 ^"2 h Q, ^■3 33. 0 1 74 4421 2.33 27.77 3648 1.75 — — — 17. 5 3 38 4335 2.27 27 24 3575 1.72 — — — 10. 0 — — — 20.71 3761 1.85 37.79 3313 1.54 G. 07 — — — 17.30 3840 1.91 40 12 3268 1.51 4 0(J — — — 18.48 3762 1.86 37.77 3377 1.67 334 STEFANO PAfiLIANI Coi dati di Kaoult (1 di sale per 100 di acqua) si calcola ?■ = 1.88. Arrhenius (1 di sale per 1000 di acqua) ha calco- lato ?= 1.84. Dal coefficiente isotonico di H. de Vries (1 di sale per 12(3 di acqua) i=. 1.55. L'equazione di van't Hoff anche per questo sale sembra verifi- carsi meglio per le soluzioni meno diluite, e quindi se ne può trarre la stessa conclusione che per gli altri sali. Nitrato potassico. — L'espressione logaritmica, calcolata da Nordenskiold sopra i dati sperimentali del Gay-Lussac, per le temperature fra 0° e 100" è la seguente {*} : log^: 0,8755 + 0,0200 ^ — 0,00007717 t' dalla quale si deduce per temperatura il limite t= 130°. Quindi fra quei limiti di temperatura e per le concentrazioni comprese fra 0.133 e 2.198 di sale per 1 di acqua dìC è positivo e dovrebbe verificarsi la relazione di van' t Hoff. Le soluzioni studiate da Winkelmann hanno una concen- trazione variabile fra 0.03 e 0.20 di sale per 1 di acqua. Kaccogliamo nella seguente tabella i risultati della esperienza e del calcolo. p h ^1 h ^2 Q2 h ^3 ^3 h 32.73 5.50 8831 1.29 27.64 8096 1.24 55.30 7130 1.25 24.10 4.33 8681 1. 26 27.13 7938 1.21 58.04 7024 1.26 17.89 3.19 8379 1. 22 26.52 7808 1.19 60-75 6901 1.27 11. 9 — — — 27. 60 7649 1.16 61.01 6758 1.24 9. 0 — — — 27.06 7552 1.18 57.70 6793 1.22 6.53 — — — 27.47 7209 1.10 59.70 6551 1 19 5.05 — — — 27.43 7000 1.07 60.93 6452 1.19 (•) Nella espressione data nella memoria di Nordenskiold deve essere occorso un errore di stampa. Invece di 0,2003 -tt^ dovrebbe essere scritto 2,0003 ^. ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN't HOFF 335 Abbiamo per il nitrato potassico anche le determinazioni di Person, le quali portano ai seguenti risultati : p ^1 ^1 h ^2 Q2 h 20 5 71 8725 1.25 19.7 8133 1.22 10 5. 5 8095 1.16 23.6 7839 1.19 5,5 — — 30 2 6953 1,07 Questi valori di i vanno abbastanza bene d'accordo con quelli che si ottengono dai dati di Winkelmann. I dati delle determinazioni di Tilden, che si riferiscono ad una concentrazione di 1 di sale per 17.8 di acqua danno i seguenti risultati: ^=15°5 f = 84° 5 ^= 53" 3 Q= 7917 Q= 7814 Q= 7541 i= 1.18 «■ = 1.22 ? = 1.30 Anche questi valori concordano abbastanza bene con quelli sopra riportati. Dai risultati di Pickering sul calore di soluzione del nitrato potassico nell'acqua nella proporzione di 1 di sale per 35.6 di acqua si calcola l'espressione: ^=9158.8 - 47.338 f + 0.44955 ^- Calcolando i valori di i per le temperature 5°, 15°, 25" si ottiene : per ^=5° i = 1.3l; per ^ = 15° «■ = 1.27 ; per ^=25° ? = 1.25 valori, che vanno d'accordo cogli altri. In generale vediamo che il valore di i, calcolato con questo metodo, anche pel nitrato potassico tende a crescere col crescere della diluizione. Dai dati di Kaoult (1 di sale per 100 di acqua) si calcola «■=1.67. Secondo Arrhenius (1 per 1000 di acqua) «=1.81. Dal coefficiente isotonico di H. de Vries (1 per 76,2 di acqua) si deduce / = 1.50, ^ ' 336 STEFANO PAQLIANI La relazione di van't Ho£f, contrariamente a quello che si è osservato pel nitrato sodico e pel solfato potassico, si verifi- cherebbe meglio per le soluzioni più diluite. Cloruro di Sodio. — L'espressione logaritmica calcolata dal Nordenskiold sui risultati, in parte proprii , in parte del Gay- Lussac, per le temperature comprese fra 1°, 5 e 110° è la se- guente : log;S= — 0.4484 + 0,000105^ + 0,00000319^^ Essa per concentrazioni variabili fra 2.8 e 2.5 di acqua per 1 di sale dimostra che dlC è sempre positivo nei limiti di die temperatura indicati ma 7777 risulta maggiore dell'unità, e quindi Q, ^ '^'^ dovrebbe essere 77 > ^ • Invece le determinazioni di Person , di Winkelmann e di Pickering dimostrano bensì che nella soluzione del cloruro di sodio si ha assorbimento di calore, ma che però ^<1. È bens'i Q vero che le concentrazioni, a cui si riferiscono sono tutte minori del limite inferiore sopra indicato , ma i risultati di Winkel- mann non permettono di dire che in quei limiti di concentra- ci zione possa diventare ^ > 1 , come si vede nel quadro seguente, nel quale )., \, 1^, J.g sono i calori di soluzione dati diret- tamente dal Winkelmann e riferiti all'unità di peso del sale. p t >. h >■■ ^2 ^2 ^3 h >-2 32. 37 18.67 19.50 — — 43.38 1 8.79| — — — 0.45 — 19.40 18.73 17.76 — — 43.37 9.30 — — 0 52 — 9.05 17.42 14.99 31.97 10.96 — — 46.76 6.37 0.73 — 0.42 5.84 17.46 12.32 32.30 9.12 — — 46.38 5.92 0.74 — 0.48 3.84 17.21 9.41 33.96 6.98 — — — — 0.74 — 1 I valori che si ottengono del coefficiente i da questi dati sono talmente difi'erenti da quelli ottenuti cogli altri metodi e ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. YAN't HOFF 337 da quelli relativi a sali analoghi, da doverli ritenere assoluta- mente come inattendibili. Conclusioni riguardo ai sali. — Gli esempi addotti mi sem- brano sufficienti per- dimostrare che la relazione di van't Hoff non ha quel carattere di generalità che parrebbe a tutta prima dovesse avere. Vediamo pure come il valore di ?, calcolato con questo me- todo, come cogli altri , diminuisce col crescere della concentra- zione , contrariamente a quanto vorrebbe la teoria. Se passiamo ora al corollario già nella prima nota indicato, della relazione del van' t Hoff riguardo alla uguaglianza di segno della variazione della solubilità colla temperatura e della va- riazione termica che accompagna l'atto della soluzione noi tro- viamo che esso soffre molte eccezioni, cioè in molti casi ab- biamo sviluppo di calore nella soluzione, accompagnato da aumento di solubilità colla temperatura, in altri assorbimento di calore nella soluzione e diminuzione di solubilità col crescere della tem- peratura. Le eccezioni si presentano specialmente nei sali. Cosi fra i cloruri fanno eccezione i cloruri di Litio, di Bario, di Stronzio, di Calcio, di Magnesio e di Cadmio, per i quali mentre si ha aumento di solubilità colla temperatura, si ha svi- luppo di calore nella soluzione. Noto poi che per i cloruri di ]\Iagnesio e di Cadmio si ha non solo sviluppo di calore nella soluzione del sale anidro, ma anche del sale idrato. E per quella stessa ragione fanno anche eccezione fra i bro- muri, quelli di Bario, di Stronzio, e di Calcio; fra i joduri quelli di Sodio e di Calcio ; fra i nitrati quelli di Litio e di Calcio ; fra i solfati quelli di Calcio, di Magnesio, di Zinco e di Cadmio. Per il solfato di Cadmio noto pure che si ha svi- luppo di calore anche per il sale idrato, mentre si ha aumento di solubilità colla temperatura. Fra i liquidi potremmo citare il Solfuro di Carbonio ed il Cloroformio ; la solubilità del primo nel secondo diminuisce collo aumentare della temperatura, quantunque nella mescolanza dei due liquidi si abbia assorbimento di calore. Una prima ragione delle divergenze fra le conseguenze della teoria del van't Hoff ed i risultati sperimentali si può trovare in ciò che per dedurre la sua relazione il van't Hoff applica le leggi generali dell'equilibrio nelle soluzioni, la seconda delle quali suppone che la trasformazione dell' un sistema nell'altro 338 STEFANO PAGLIANI avvenga a volume costante. Ora questo, come non è il caso delle soluzioni dei gas molto solubili, così non lo è pure quello delle soluzioni dei sali , specialmente dei sali anidri ( Gerlacli. Zeits. f. anal. Chem. 1887. 26, e 1888. 27). 2. Confronto della espressione finora considerata di i con quella dedotta dalla diminuzione di tensione nelle soluzioni e colle deduzioni teoriche del Kirchlioff relative a questo fenomeno. — Si potrà inoltre trovare per i sali ancora una spiegazione di quelle divergenze ponendo a raffronto i risultati di quella di- scussione con quelli di un' altra fatta dietro lo studio di un altro fenomeno relativo alle soluzioni, quale è quello della di- minuzione della tensione di vapore che si osserva in un liquido, quando in esso si scioglie un corpo solido. Il van' t Hoff ha dimostrato che la quantità i si può anche dedurre dalla diminuzione di tensione prodotta in un liquido dalla soluzione di un corpo in esso, e chiamando M il peso molecolare di un corpo, F la tensione di vapore del liquido puro ad una temperatura data, F^ la tensione di vapore della solu- zione che contiene 1 per 100 del corpo si avrebbe F — F Quindi per la concentrazione ora indicata e per la temperatura T si dovrebbe anche avere QM F-F^_ Q F ^cllC (2). (♦) Faccio osservare per incidenza che se fosse esatta la legge di Prinsep, cioè F — Fj fosse indipendente per una data concentrazione dalla temperatura, se fosse vera la regola enunciata dal Tamraann, secondo la quale per le so- luzioni diluite di uguale concentrazione e ad una stessa temperatura di sali di costituzione analoga le diminuzioni nella tensione di vapore sarebbero in- versamente proporzionali ai pesi molecolari dei sali sciolti, alloia i dovrebbe essere uguale per sali di costituzione analoga, ma né l'una né l'altra si ve- rificano esattamente, come ha dimostrato il Taramann stesso {,Vém. Acad. St-Petersbourg , voi. XXXV, n. 9, 1887). Quindi non è rigoroso, l'attribuire, come ha fatto il van't Hoff nella sua Memoria , ad un sale un valore di i identico a quello appartenente ad un altro sale, solo perchè di costituzione analoga. ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN*T HOFF 339 Ora supponendo di considerare solo quei limiti di tempera- tura per i quali —— e positivo, per quei sali per i quali ^ , et -L calore assorbito nella soluzione, è positivo, noi abbiamo che ge- neralmente esso diminuisce col crescere della temperatura , e quindi il secondo membro della equazione (2) deve diminuire col crescere della temperatura, come diffatti abbiamo osservato per F—F tutti i sali considerati. Quindi , supposto 31 costante , — — — - dovrebbe pure diminuire e quindi -^ crescere. Invece Tammann (TF/ef?.^«n., 1885.24) ha trovato sperimen- talmente che per i sali K,SO^, KNO^, KCl, NaNO.^, NH^Cl F il rapporto — ^ diminuisce. Quello stesso nostro risultamento sarebbe pure in opposizione colle deduzioni teoriche del Kirchhoff (■■) il quale partendo dalle leggi della Termodinamica avrebbe stabilita una relazione fra la variazione di calore, che avviene nella soluzione di un sale nel- F l'acqua ed il valore di — ^ . Secondo tale relazione questo rap- F porto sarebbe indipendente dalla temperatura, quando nella di- luizione della soluzione salina , non si ha variazione di calore ; aumenterebbe coll'aumentare della temperatura quando un sale si scioglie con sviluppo di calore, diminuirebbe invece colla tem- peratura quando un sale si scioglie con assorbimento di calore. Ma anche queste deduzioni teoriche del Kirchhoff non vanno sempre d'accordo coi risultati sperimentali, come lo ha dimo- strato il Tamraann; difatti egli ha trovato che per parecchi F, sali, specialmente i sali idrati, il rapporto — ^ cresce col crescere della temperatura, quantunque questi sali si sciolgano con as- sorbimento di calore. Però faccio osservare come il Tammann , in questa prima memoria, ha posto fra i sali solubili con assorbimento di calore alcuni, i quali invece si sciolgono con sviluppo di calore. Tali sono: Na.,CO^, Na^SO^, LiNO^, Li^SO^ . H^O , MgCì^. (•) Pogg. Ann, , 1858, i03, p. 194. NaCl, K^CO^-H^O, KFl, SrCI^dH^O, CaCì^dH^O, 340 STEFANO FAGLI ANI 6H^0, Be^{S0^\l2H,0 , Al^ (SO ^)^ . IS H,0. Per questi F ~ sali il rapporto — ^ va crescendo colla temperatura, quindi sod- F disfano alle deduzioni teoriclie del Kirclihoff. Resterebbero i seguenti sali, che non vi soddisfano : 3 2 BaBr^2H^0 , SrBr^ e, E, 0 , CaBr^ QH,0 , Fé SO^, 7H,0,{*) CuSO^hH.O / mSO^lH.,0 , 'Co SO^l E^O , ZnSO^lE.,0, MnSO^bE^O, MgSO^lE^O. Per gli altri sali citati dal Tammann cioè Li CI 2H^0^ LiBr 2E^0, Lil 2E.^0 , non ho potuto trovare i dati dei calori di soluzione. Ora per il cloruro di Sodio, il nitrato di Litio e per i sali anidri corrispondenti a parecchi di questi idrati sopra citati cioè: Li CI , Sr Ch , Mg CI, , Ca Ci, , Ba Br.^ , Sr Br, , Ca Br, , 3Ig SO^, Zn SO^ noi abbiamo trovato che la relazione di van't Hoff non si verifica. die Ma per i sali idrati corrispondenti, per i quali Q e — — - sono ambedue positivi , la relazione di van' t Hoff potrà valere per determinate temperature, e anche variare allora d'accordo i due membri della equazione (2), quindi la variazione del rap- F porto -^ può essere del segno voluto dai risultati dell'esperienza. F Quindi vediamo che, se si considerano i sali in soluzione allo stato anidro, la relazione di van't Hoff o non va d'accordo coi risultati dell'esperienza relativi alle tensioni di vapore e colle deduzioni teoriche del Kirchhoff, oppure non si verifica in uno dei suoi diretti corollari. Ma allo stesso modo che il Tammann, spiega la divergenza (*) Non so per quaìi ragioni il Tammann adotti in questa sua prima Memoria per alcuni sali delle formole e dei pesi molecolari , che non snno quelli che comunemente si adottano. Così le formole seguenti : Fé, SO. . bfhO, Ni S 0, 6 F, 0 , Co SO, Cy ff^O , Zn SO,, 6 H^ 0 , Mn SO^ .GH^O, Mg SO, . Gl/^O. Quindi sarebbero a ripetersi tutti i calcoli delle diminuzioni di tensione relative molecolari, se non fosse che il confronto fra questi valori presi alla temperatura di ebollizione dell'acqua per le soluzioni più diluite non può avere un grande interesse, non sapendosi quale sarà la costituzione dell'idrato salino che entra a formare quelle soluzioni. ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN't HOFF 341 dei suoi risultati per molti sali dalle deduzioni teoriche del Kirchhofif ammettendo che col crescere della temperatura avvenga una separazione parziale o totale dell'acqua di idratazione, così anche noi possiamo qui mettere d'accordo la relazione del van't Hoff coi risultati sperimentali del Tammaan ed i teorici del Kirchhoff facendo la stessa ipotesi. Diffatti supponiamo che alle temperature più basse un sale si trovi in soluzione non allo stato anidro ma che ciascuna mo- lecola di esso sia unita ad un determinato numero di molecole d'acqua, variabile colla temperatura in modo che col crescere della temperatura quest'acqua di idratazioDe si separi, allora la quantità 31 nel primo membro della equazione (2) decresce collo aumentare della temperatura e quindi i valori che essa va assu- F—F mendo possono essere tali che, anche crescendo — =-^ per i sali F anidri della prima serie considerata, come vogliono i risultati sperimentali del Tammann, il 1" membro decresca collo aumen- tare della temperatura come decresce il 2° membro, secondo i risultati della determinazione del calore di soluzione e della so- lubilità per gli stessi sali. Per i sali della seconda serie, se noi li consideriamo allo stato idrato, con diversi gradi di idratazione, essi non solo pos- sono soddisfare alla relazione del van't Hoff, ma anche ai risul- tati sperimentali del Tammann ed ai teorici del Kirchhoff, come si è visto sopra. Si potrà opporre che vi sono dei sali, i quali, come ho fatto osservare sopra, non solo allo stato anidro, ma anche allo stato idrato si sciolgono con sviluppo di calore, e per i quali tuttavia la solubilità aumenta colla temperatura. Però si può subito ri- spondere che il grado di idratazione di questi sali nella soluzione a bassa temperatura paò essere superiore a quello che conserva quando cristallizza, cioè quello che presenta nello stato a cui viene riferito il valore del calore di soluzione sperimentalmente determinato, ed in quello stato di maggiore idratazione, il calore di soluzione che gli compete può essere anche di segno contrario a quello che gli appartiene nel caso di una minore idratazione, poiché si sa dalle determinazioni del Thomsen che col crescere del grado di idratazione di un sale il calore sviluppato nella sua soluzione diminuisce e può anche cambiare di segno, cosi per i solfati di magnesio, di zinco ed altri. Atti R. Accad. - Pane Fisica, ecc. — Voi. XXIV. 25 342 STEFANO PAGLIANI In una sua memoria posteriore {Meni. Acad. St-Pétersbourg, XXXV, 9, 1887) il Tammann corregge alcune asserzioni della prima , dimostra che per 5 0 sali anidri i risultati delle esperienze vanno d'accordo colla teoria di Kirchlioff, e per i quattro sali NaCl, NH^Cl, [NH^^SO^, K^SO^ spiega le divergenze che si presentano, con una possibile grande variazione del calore di soluzione colla temperatura ; spiegazione però che non ha ancora il suo fondamento nell'esperienza. 3. Confronto con un'altra espressione di i dedotta dallo abbassamento nel punto di congelazione delle soluzioni. — Il van't Hoff, come già si è accennato, deduce il valore di i anche dallo abbassamento del punto di congelazione delle soluzioni me- t M/S, diante l'espressione i=^—-——, nella quale t= , dove M 18,5 p è il peso molecolare del corpo sciolto, p) è la quantità procentica in peso di corpo sciolto nella soluzione, A è l'abbassamento del punto di congelazione prodotta dalla quantità p di corpo sciolto. Il van't Hoff ammette poi che per ciascun solvente si abbia /7T2 t=:0,02 -— , dove T è la temperatura di solidificazione del sol- W vente e TTil calore di fusione del solvente, riferito all'unità di peso. Però la quantità t, chiamata anche abbassamento molecolare del punto di congelazione , come lo hanno dimostrato le più estese determinazioni di Eaoult, non ha veramente sempre il va- lore così calcolato, ne lo stesso valore per un dato solvente, ma per l'acqua specialmente può variare assai colla natura dei corpi sciolti. Ora ciò può forse dipendere da che nel dedurre la sua espressione il van't Hoff ha supposto che il peso molecolare del corpo sciolto fosse sempre quello che è rappresentato dalla for- mola chimica ; ma siccome per i diversi sali si può avere un grado di idratazione diverso anche per una stessa concentrazione, dipendente dalla natura del sale, così si spiega perchè special- mente quei corpi che hanno tendenza a combinarsi coli 'acqua producono un abbassamento molecolare del punto di congelazione, non rispondente al calcolo. Ora confrontiamo quest'ultima espressione di i colla prima scrivendo : _L ^ _ Q 18.5 p ~^dlG ^^• ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. A^AN't HOFF 343 Abbiamo veduto dagli esempi di sali, sopra riportati, che quésta eguaglianza in alcuni casi si poteva avere. Ho già fatto però A notare nella V nota come il valore di — non è sempre co- P stante , ma per alcuni corpi aumenta , per altri diminuisce col l'aumentare della concentrazione. Supponendo M costante, le stesse variazioni dovrebbe subire il 1° membro dell'equazione (3), mentre il 2° membro abbiamo visto che sempre decresce collo aumentare della concentrazione. Si può però spiegare questa apparente contraddizione , nel A caso in cui — aumenta colla concentrazione , ammettendo che . ^. nelle soluzioni più concentrate i sali presentino un grado di idra- tazione minore, quindi dovendosi dare alla quantità M valori sempre minori col crescere della concentrazione si avi'à che il A primo membro della (3), ancorché — cresca, può diminuire collo P aumentare della concentrazione. Vediamo ora come altre proprietà delle soluzioni saline confortino questa supposizione (*). 4. Costituzione delle soluzioni saline. — Questa ipotesi della formazione di idrati dei sali nell'atto della loro soluzione nell'acqua è ormai un concetto acquisito nella dottrina della costituzione delle soluzioni, e diverse proprietà di queste si spie- gano appunto con essa. Eiguardo però alla costituzione di tali idrati nella soluzione poco si sa ancora. I due metodi proposti da Kiidorff e da Men- delejew per calcolare la composizione di questi idrati ipotetici non danno risultati concordanti (Tammann, Wied. Ann., 1889, XXXVI, 708). Un tentativo in questa direzione é stato da me fatto nelle mie ricerche sui calori specifici delle soluzioni di alcuni (*) Equazione di Guldberg. — Se nella (3) si fa p = l, cioè si considera p p 1 la concentrazione dell'I p. 100, si potrà scrivere: 5. 6 — g^-' =To~r Ai quindi p p i* lo. 5 — -p — 1. 103. 6== A > e siamo così condotti ad un'equazione quasi identica con quella dedotta da Guldberg (Compt. Rend. 1870) per soluzioni molto diluite p p A ' . 104. 5-=z— . Ora tale relazione di Guldberg è confermata abbastanza Fp ' p bene dall'esperienza (Tammann, Mém. Acad. Sciences St-Petersbourg.XXXW , 9, 1887). Atti della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Voi. XXIV. 25* 344 STEFANO PAGLIANI sali (Atti R. Acc. Scienze, Torino 1881, voi. XVI). Allora io era giunto al risultamento che la quantità di calore neces- saria per elevare di un certo numero di gradi la temperatura della massa di una soluzione salina (sali minerali) è uguale alla somma delle quantità di calore necessarie per elevare del medesimo numero di gradi la temperatura delle masse dei suoi componenti, quando si ammetta nella soluzione l'esistenza di un idrato del sale, che vi si trova disciolto, ad ogni molecola del quale starebbe aggruppato un numero definito di molecole d'ac- qua ; che il grado di idratazione del sale dipende dalla concen- trazione della soluzione e dalla temperatura. Il confronto fra i valori trovati ed i calcolati dei calori molecolari, allora istituito, dimostrava come la concordanza fra di essi .era tanto maggiore se col crescere della diluizione si supponeva l'esistenza nella so- luzione di un idrato più ricco in acqua. Faccio notare che questo risultato si trova qui d'accordo colla supposizione fatta or ora di un minor grado di idratazione nelle soluzioni più concentrate per spiegare i fatti sovra esposti. Nello studio, accennato nella V nota, ebbi occasione di con- statare che per soluzioni diversamente concentrate di uno stesso sale il valore massimo della densità della corrente , per il quale si presenta il fenomeno della cristallizzazione del sale , ad una data temperatura cresce col crescer della diluizione della solu- zione e per una data soluzione quel valore cresce col crescere della temperatura; che d'altra parte se si confronta questo valore massimo per i sali diversi, cristallizzanti con molecole d'acqua di cristallizzazione , esso diminuisce col diminuire delle molecole d'acqua contenute in una molecola di sale cristallizzato ; proba- bilmente perchè con un minor numero di molecole d'acqua, si hanno sali idrati di costituzione più semplice, o più facilmente si può vincere l'affinità del sale per l'acqua, e si richiede quindi una minore quantità di elettricità a parità di sezione dell'elet- trolito. Quindi se ne conchiude pure che nelle soluzioni concen- trate si hanno idrati salini meno ricchi in acqua che non nelle più diluite, e che col crescere della temperatura si ha una di- minuzione del grado di idratazione dei sali, appunto d'accordo colle conclusioni , che si deducono dallo studio delle altre pro- prietà delle soluzioni. Aggiungerò ancora come se, conoscendo la composizione di questi idrati salini , si potesse nel calcolo della conducibilità ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN't IIOFF 345 elettrica molecolare delle soluzioni tener conto della variazione del peso molecolare di questi idrati col variare della concentra- zione, forse i massimi, che si osservano nei valori della condu- cibilità molecolare, scomparirebbero. Diffatti chiamando col Kohl- rausch (Wied. , Ann., VI, 145, 1879) concentrazione moleco- lare in delle soluzioni il rapporto fra la quantità in peso di elettrolito 2) , che si trova in un litro di soluzione e il peso molecolare dell'elettrolito stesso, abbiamo m = ^r:z. Se noi, va- ili riandò la concentrazione in peso, consideriamo il peso moleco- lare M , come costante , allora m è proporzionale a jj. Ma se si consideri che 31 diminuisca col crescere della concentrazione, perchè si formano degli idrati sempre meno ricchi in acqua , allora m crescerà più rapidamente di p , col crescere della con- centrazione, e quindi le curve, che si ottengono costruendo gra- ficamente le conducibilità' molecolari, presenteranno una curva- tura molto meno sentita , che non quando si considera il peso molecolare come costante. Diffatti nelle curve del Kohlrausch ve- diamo che presentano una curvatura maggiore precisamente le curve relative ad elettroliti, che hanno maggior tendenza a for- mare degli idrati. E così la conducibilità specifica — che è data dal rapporto ni fra la conducibilità jK" e la concentrazione molecolare, e che se- condo il Kohlrausch misura la mobilità dei joni, diminuirebbe più rapidamente col crescere della densità lineare delle molecole, i/ m , che non risulti dando a 31 un valore costante, e costruendo graficamente i valori di — in rapporto coi valori di l^ ni , si ni otterrebbe forse un andamento più regolare. Si osserva appunto come quei sali, che prese)itano minor tendenza a formare degli idrati come KCl, NaCì, K.-,SO^, sono quelli che presentano una maggior regolarità nelle loro curve. Si intende però che questo modo di calcolare la conducibi- lità molecolare è indipendente da qualunque altro concetto che noi ci possiamo formare dello stato di dissociazione maggiore o minore delle molecole dell'elettrolito per le soluzioni più o meno diluite. Si potrebbe obbiettare che se nell'atto della soluzione abbiamo la idratazione delle molecole del sale, come avvenga che in molti 346 STEFANO PAGLIANI casi si ha assorbimento di calore, e come questo assorbimento di calore cresca col crescere della diluizione e col diminuire della temperatura, alla quale avviene la soluzione, mentre risulta che il grado di idratazione diminuisce col crescere della concen- trazione e cresce col diminuire della temperatura. E non è a dire che tale assorbimento di calore possa spiegarsi colla fusione del solido perchè da un lato in molti casi la grandezza del calore di fusione non sarebbe sufficiente a tale spiegazione, ed essa va diminuendo col diminuire della temperatura , e d' altra parte i risultamenti della determinazione dei calori specifici delle soluzioni portano alla conclusione che le molecole dello idrato salino non facciano che interporsi fra le molecole dell'acqua (*). Mi sembra però che a quella obbiezione si possa facilmente rispondere appunto fondandoci sulla teoria del van't Hoff. Essa ci dice che una sostanza sciolta in un eccesso di solvente si trova in uno stato paragonabile allo stato aeriforme, quindi nell' atto della soluzione abbiamo tendenza nella sostanza ad assumere questo stato e perciò possiamo dire che il detto fenomeno sia accompagnato da una specie di vaporizzazione, se è concessa questa espressione , la quale deve naturalmente assorbire una certa quantità di calore. Se questa quantità di calore risulta superiore a quella sviluppata nella idratazione del sale, si avrà assorbimento di calore ; nel caso opposto, sviluppo di calore. Col crescere della diluizione cresce la quantità di calore richiesta da quella specie di vaporizzazione, col diminuire della temperatura diminuisce il calore dovuto alla idratazione, ed ecco perchè in ambedue i casi abbiamo aumento nella quantità di calore as- sorbita nella soluzione. Questa considerazione ci spiega anche come non sia neces- saria la uguaglianza di segno della variazione della solubilità colla temperatura e della variazione di calore nell' atto della soluzione, perchè se, p. es. una maggior solubilità del sale nel- l'acqua dimostrerebbe che un aumento di temperatura ha per effetto di rendere più facile questa specie di vaporizzazione del sale e diffusione delle sue molecole nel liquido, d'altra parte ne è indipendente il valore relativo del calore di idratazione e di quello dovuto alla vaporizzazione, quantità di calore che ten- dono a diminuire entrambi col crescere della temperatura. *) PaqlianI; Sui calori specifici delle solmioni saline, loc. cit. ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN't HOFF 347 Nel caso della soluzione dei sali idrati interviene secondo la maggiore o minore concentrazione una parziale maggiore o minore dissociazione dell'acqua di idratazione, la quale assorbe pure calore. Quando poi la quantità di liquido, nella quale vien sciolto il sale, è molto grande, può anche intervenire una dissociazione pili profonda del sale nell'acido e nella base liberi, come ha dimostrato Thomsen per i solfati acidi, ed anche questa disso- ciazione richiede assorbimento di calore. Di piìi, come ho detto precedentemente, si tenderebbe ad ammettere resistenza allo stato libero dei joni a cui deve dar luogo il sale nella elettrolisi di esso. Eiguardo al coefficiente i di van't Hoff, le divergenze che si osservano fra i valori di esso calcolati coi diversi metodi, la variazione di tali valori col variare della concentrazione delle so- luzioni e la teoria, si potranno forse spiegare compiutamente quando si conosca la composizione e la costituzione degli idrati salini, che si formano nei diversi casi, e si sappia quindi dare un valore conveniente al peso molecolare del sale disciolto, che si deve portare in conto nei diversi modi di calcolo. Così la teoria del van't Hoff, saldamente stabilita nelle sue leggi fondamentali per ciò che riguarda i sistemi dei corpi di- sciolti allo stato diluito, potrà ricevere una più estesa applica- zione ed essere quindi completata da una migliore conoscenza della costituzione delle soluzioni saline, mentre d'altra parte, come abbiamo veduto, può servire di valido appoggio alla teoria della costituzione stessa delle soluzioni saline. ANNOTAZIONE. Riguardo alla variazione del calore di soluzione dei sali colla temperatura credo interessante aggiungere alcuni risultati che si deducono dalle determinazioni del Pickering, Come ho detto sopra, i valori, dati come definitivi da questo autore, presentano molte irregolarità ; conviene invece, dai risultati diretti delle esperienze, che si riferiscono a temperature molto vicine , anche prese in diverse serie di determinazioni , dedurre il valore medio per la temperatura media corrispondente, e poscia costruire graficamente questi valori medi in funzione delle temperature, e calcolare, per quei sali, per i quali è possibile una formola di interpolazione 348 STEFANO PAGLIANI della forma : Q = a -\- It -\- d', la quale ci dà il calore di solu- zione, riferito alla molecola del sale, per le diverse temperature. Kiferirò qui le espressioni calcolate, colle concentrazioni delle soluzioni, e gli intervalli di temperatura per cui sono applicabili. La quantità d' acqua adoperata per la soluzione era di 600 grammi ; la quantità di sale una frazione di peso molecolare , espressa in grammi, diversa per i diversi sali. Cloruro di potassio — Yj, di molecola. — Calore assorbito, fra T e 25°. ^ = 5279.7 -51.652^ + 0.36394^-. La differenza massima fra i valori trovati ed i calcolati è 0,35 per 100. Cloruro di sodio — 7o di molecola. — Calore assorbito, fra 3° e 25°. ^ = 1908.8 — 45.288^ + 0.39626^-. Differenza massima 1,4 p. 100. Nitrato di lìotassio — Ve di molecola, — Calore assorbito, fra 3" e 25°. ^ = 9158.8-47.338^ + 0.44955^2 Differenza massima 0,4 p. 100. Solfato di potassio — ^/^^ di molecola. — Calore assorbito, fra 3° e 20°. ^ = 8376 - 119.60^+1.0474^-. Differenza massima 0,4 p. 100. Solfato di magnesio anidro — ^/^^ di molecola. — Calore sviluppato, fra 3° e 20°. ^=18816 + 97.163^-0.61183^1 Differenza massima 0,1 p. 100. Solfato di magnesio idrato — ^/^^ di molecola. — Calore assorbito, fra 4° e 20°. g = 4321. 3 -33. 902 ^ + 0.60028^-. Differenza massima 0,2 p. 100, ALCUNE DEDUZIONI DELLA TEORIA DI J. H. VAN't HOFF 349 Solfato di rame anidro — ^/^^ di molecola. — Calore svi- luppato, fra 4*^ e 20°. ^ = 14601 + 99. 668 ^- 1.2757^-. Differenza massima 0,02 p. 100. Solfato di rame idrato — ^/^^ di molecola. — Calore as- sorbito, fra 4° e 20°. ^==3320.2-37.823^ + 0.3895^-. Differenza massima 0,5 p. 100. Cloruro di stronzio anidro — ^j., di molecola. Calore sviluppato, fra 6° e 24'': ^ = 9623 + 92.462^. Differenza massima 0,5 p. 100. Fra 4° e 16°: ^ = 9623 + 96.155^. Differenza massima 0,2 p. 100. Fra 18° e 24°: ^ = 9623 + 90.333^. Differenza massima 0,2 p. 100. Cloruro di stronzio idrato — Yi? di molecola. — Calore assorbito, fra 3° e 25°. ^ = 8382-55.896ì^ + 0.499r\ Differenza massima 0,3 p. 100. (Si trascurarono i valori rela- tivi a ^=10.0 e ^=8.0, perchè troppo discordanti). Per l'acetato di sodio tanto anidro che idrato non è stato possibile calcolare una formola che ne rappresentasse i risultati. Si vede in generale che quando si ha assorbimento di calore nella soluzione, la quantità di calore diminuisce col crescere della temperatura. Quando si ha sviluppo di calore nella soluzione, allora il calore di soluzione cresce col crescere della temperatura. È questa del resto una regola abbastanza generale stabilita dal Thomsen. L'acetato di sodio idrato vi fa però eccezione. Torino, marzo 1889. L'Accademico Segretario Giuseppe Basso. Tip. BBia,s- Paratia. SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del 7 Aprile 1889 Pag. 309 D' Ovidio — Cenno sulla Nota del Prof. E. Beltbami : « Un precur- sore italiano di Legendre e di Lohatschewsky » 310 Pieri — Sulle tangenti triple di alcune superficie del sest'ordine . « 312 Pagliani — Sopra alcune deduzioni della teoria di J. H. vant't HofF sull'equilibrio chimico nei sistemi dìaciolti allo stato diluito — Nota seconda » 325 Torino - Tip. liealB-ParaT». ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI VoL. XXIV, Disp. 12% 1888-89 Classe (li Seienzo Fisiche, Mateniatiehe e ^^aturali. TORINO ERMANNO LOESOHER Libraio della R. Accadumia dello Scianzo 351 CLASSE DI SCIIilNZE FISICHE, MATEMATICHE E NATUEALI Adunanza del 28 Aprile 1889. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, Lessona, Salvador!, Bruno, Basso, D'Ovidio, Naccari, Spezia, Giacomini, Camekano, Segre, Il Segretario legge l'atto verbale dell' adunanza precedente die è approvato. Tra le pubblicazioni presentate in omaggio all'Accademia ven- gono segnalate le seguenti : 1. « Commem or aziono, di Giuseppe Meneghini letta alia Società geologica italiana del Prof. Giovanni Capellini ; 2. « Bollettino dei Musei di Zoologia e di Anatomia com- parata della R. Università di Torino (Voi. IV, n. 53-Gl); pre- sentato da parte dei rispettivi autori dal Socio Basso ; 3. « Quattro volumi pubblicati per cura del Comitato diret- tivo della Società meteorologica italiana, comprendenti V Annuario meteorologico italiano dal 1886 al 1889; 4. « I poligoni di Poncelet: Discorso pronunziato alla R. Università di Genova dal Prof. Gino Loria. Si dà lettura di una lettera del Signor L. Mirinny di Pa- rigi, accompagnante un suo lavoro manoscritto che ha per titolo : « A propos des canaux de Mars ». Questo lavoro viene pure oiferto in dono all'Accademia. Il Socio Cossa, Direttore della Classe, ricorda la deplorata morte dell'illustre Chimico Michele Eugenio Chevreul, nato in Angers il 31 agosto 1786, morto in Parigi il 9 aprile 1889, il quale da lunghi anni faceva parte dell'Accademia come Socio Straniero. Lo stesso Socio Cossa accetta T incarico commessogli dal Presidente di leggere in una prossima adunanza una Notizia biografica del venerando Scienziato. AUi della li. Accad. - Porle Fisica, ecc. — Voi. XXIV. 2P) 352 FEDERICO SACCO Le letture e le comunicazioni si succedono nel modo clie segue : « Il seno terziario di Moncalvo » ; lavoro del Prof. Fede- rico Sacco, presentato dal Socio Spezia ; « Su alcune anomalie di sviluppo delV Embrione umano » ; comunicazione 2' del Socio Prof. Carlo Giacomini. » LETTURE lì seno terziario di Moncalvo ; Studio geologico del Dott. Federico Sacco Se si osserva nel suo complesso la tettonica delle colline Torino- Casale Valenza si vede come esse rappresentano una specie di cor- rugamento, più 0 meno accentuato, diretto ad un dipresso da Ovest-Nord-Ovest ad Est -Sud-Est; però questa ruga allungata non si presenta generalmente semplice ma spesso invece è costituita di due 0 più corrugamenti subparalleli, ciò che ci fa supporre come sotto alla pianura padana ed alla grande conca pliocenica dell'Astigiana i terreni miocenici ed eocenici si presentino pure disposti in rughe subparallele più o meno accentuate. Ora siccome tali corrugamenti si costituirono specialmente durante la prima metà dell'era terziaria, così ne deriva che ta- lora tra l'una ruga e l'altra si poterono depositare i terreni della seconda metà dell'era terziaria, formando cosi quivi delle specie di seni o golfi più o meno profondi. Ne è esempio tipico quello di Moncalvo di cui voglio appunto trattare in questa Nota. Nelle colline Torino-Valenza la regione in cui i corrugamenti sovraccennati sono più numerosi è quella compresa tra la pia- nura vercellese e le colline astigiane di Tonco. Quivi infatti os- servasi dapprima , a Nord , un' anticlinale , in parte mascherata dalle alluvioni quaternarie del Po, presso Trino ; ne vengono a giorno persino i terreni liguriani. Succede a Sud la sinclinale su- perficialmente elveziana di Castel San Pietro. Eiappare poi una se - conda anticlinale, quella di Mombello-Fabiano, dove anche spunta fuori una piccola zona Ugariana. Tien dietro ancora una grande IL SENO TERZIARIO DI MONCALVO 353 sinclinale pure superficialmente olveziana che costituisce l'ampia vai di Stura. Dobbiamo poscia constatare una terza grandiosa anticlinale, quella di Montalero-Ponzano-Ottiglio, vero asse della catena collinosa in esame, e dove pure viene ad affiorare in diversi punti il terreno ìiguriano. A Sud di questa grandiosa ruga vediamo la sinclinale di Oddalengo piccolo -Moncalvo, entro alla quale appunto si sviluppa il seno mio-pliocenico che vogliamo esaminare in questa Nota. Una quarta potente anticlinale è ancora da indicarsi, quella di Villadeati-Penango, in cui gli affioramenti liguriani appaiono solo nella parte Nord-Ovest in Val Stura. Ma con ciò non terminano ancora i corrugamenti subparalleli di questa complicata regione collinosa, poiché al Sud della conca 0 sinclinale pliocenica di Calliano-Grana-Montemagno vediamo ricomparire sotto al Piaccnziano ampi affioramenti mcssiniani, i quali ci indicano certamente una quinta anticlinale che però non può molto esplicarsi esternamente, ne dare origine ad affio- ramenti miocenici ed eocenici. Volendo ora trattare più minutamente della sinclinale o conca di Moncalvo, dobbiamo esaminare dapprima i terreni più antichi che costituiscono la parte assiale delle anticlinali fra cui giace detta sinclinale, risalendo quindi man mano sino ai più giovani. Liguriano (Parisiano). Ho già sviluppato altrove (1) il concetto che il nome di Li- guriano, essendo stato tratto originariamente da depositi di Flysch e questo terreno sviluppandosi dal Cretaceo all'Oligocene in grado più o meno vasto secondo le regioni, non può, secondo il mio modo di vedere, detto nome rappresentare un piano geologico fisso, determinato nelle serie stratigrafica dei terreni, ma solo una facies speciale , la quale , più che altrove , si presenta sviluppatissima nell'Eocene di una parte notevole della superficie terrestre. Così appunto verificasi in generale nel Piemonte, dove il Li- guriano costituisce gran parte della serie eocenica. Nella regione che vogliamo esaminare il Liguriano appare solo per brevi tratti nella parte centrale dell'anticlinale di Pe- nango cioè presso C. Spinosa alta, dove costituisce un'elissoide (1) F. Sacco, Le Ligurien. Bull. Soc. Géol. de Franco. Sèrie 3®, tome XVlJ, 1888. 354 FEDERICO SACCO allungata, e presso borgata Percivalli, dove affiora appena per un duecento metri circa; in ambidue le regioni questo terreno è costituito come di solito da marne argillose grigio -brune fra cui appaiono numerosi frammenti di Calcare alberese, di Macigno, di Argillo-schisti arenacei, ecc. Detti affioramenti bastano già ad indicarci come l'anticlinale accennata abbia a base una potente e molto compressa ruga 11- giiriana. Una costituzione consimile deve pure verificarsi nell'an- ticlinale di Villadeati-Penango, solo che quivi il Liguriano npn riesce ad affiorare che nella parte occidentale, cioè fuori della regione in esame. Bartoniano. Si ritenne finora che l'orizzonte hartoniano stesse sotto a quello liguriano ; basandomi su dati paleontologici e stratigrafici io provai nella Nota sovraccennata e nella descrizione del bacino terziario del Piemonte (1) come in verità il Bartoniano (o Gas- siniano) sta invece sopra al Liguriano. Anche nella regione in esame tale fatto si può osservare assai bene poiché sopra alla zona liguriana di C. Spinosa alta ve- diamo che dal lato Sud si appoggiano, con hyatus notevolissimo, i terreni tongriani e dal lato Nord invece si applicano potenti banchi marnoso-calcarei i quali , per la fauna ricchissima che racchiudono sono attribuibili al Bartoniano. Questo orizzonte è costituito essenzialmente da marne gri- giastre frammentarie fra cui, specialmente al fondo del vallone sotto borgata liaviara, raccolgonsi numerosissimi fossili, special- mente Litotamni, Orbitoidi , Nummuliti , Pentacrinidi, Cidariti, Molluschi, ecc. ; fra queste marne compaiono irregolari banchi o lenti calcaree che formano spuntoni lungo i pendii collinosi e costituiscono il rilievo esistente a Nord di C. Spinosa alta. Tali formazioni calcaree sono in gran parte un vero impasto di fossili; per estrarli facilmente è necessario portarsi specialmente sull'alto delle colline dove il lento lavorìo degli agenti atmosferici ha li- berato i fossili dalla ganga avvolgente pur lasciandoli ancora sparsi sul terreno. (1) F. Sacco, Il terreno terziario del Piemonte. Parte I. Bibliografia ed Eocene. Atti Soc. Ital. di Se. rat. , 1888. IL SENO TERZIARIO m MOXCAT.VO 355 Questa zona hartoniana si sviluppa assai verso l'Ovest-Nord- Ovest, ma si va restringendo notevolissimamente ; anzi scompare quasi completamente nella collina eli C. il Gallo, dove i banchi oligocenici inferiori delle due gambe dell'anticlinale vengono fra di loro a contatto. Ma poco ad Ovest rivediamo affiorare i terreni hartoniani nelle colline tra C. della Costa e Cadefranco; anche quivi predominano le marne grigie frammentarie, sollevate quasi alla verticale , inglobanti straterelli calcareo -arenacei con Num- muliti ed Orbitoidi. La zona hartoniana, viene poi a scomparire completamente sotto le alluvioni terrasziane di Val Colobrio verso C. Quartera, né ritorna ad affiorare che molto più ad Ovest in Val di Stura. Sestiano. Questo sottopiano geologico che serve di passaggio tra l'Eocene e rOligocene, nella regione in esame si distingue assai facilmente dal Bartoniano, da cui è separato per un leggero ht/atits, ed in- vece si collega strettamente col Tongriano inferiore; sono soltanto i caratteri paleontologici i quali ci avvertono che alcuni banchi dell'Oligocene inferiore sono probabilmente riferibili al Sestiano. Infatti percorrendo le colline di C. Spinosa, sia alta che bassa, frammezzo a certi banchi arenacei, fortemente drizzati e facenti parte della gamba meridionale dell'anticlinale di Ponzano-Ottiglio, potei raccogliere in più punti resti di Nummulitidi ; fra questi, oltre alla N. Ficldeìi tanto comune nel Tongriano, trovansi pure alcune forme di Nicmmuìites e di Orhitoidcs, simili a quelle che raccolgonsi nelle arenarie del Bric Sac presso Brusasco, cioè in banchi che paiono riferibili al Sestiano, facendo già il passaggio alla formazione hartoniana. Ma non credo dover insistere qui su tale oiizzonte geologico, sia perchè lo ritengo solo un semplice sottopiano del Tongriano, sia perchè nella regione in esame esso non si presenta abbastanza individualizzato ; d'altronde i caratteri paleontologici fondati sulle Nummulitidi non sono del tutto sicuri poiché manca ancora uno studio completo di questi fossili tanto interessanti, anzi credo che qui, come in generale, i fossili di un orizzonte passino facilmente all'orizzonte vicino senza che sia possibile segnare una linea netta di divisione fra i due. 356 FEDERICO SACCO Tongriano. La formazione tongriana, potentissima, costituisce gran parte delle anticlinali in esame. Essa consta essenzialmente di banchi sabbiosi ed arenacei che inglobano spesso potenti banchi o lenti ciottolose ad elementi talora assai voluminosi ; non sono però né rare ne sottili le zone marnose che spesso si possono seguire anche col solo esame orografico della regione, in causa delle valli e delle depressioni a cui devono origine in generale. Neil' anticlinale Ponzano - Ottiglio vediamo che nella gamba settentrionale i banchi sabbioso-arenacei sono sollevati quasi alla verticale ed anzi talora persino rovesciati, come osservasi ad est di Val Colobrio presso C. il Gallo ; ma il massimo sviluppo del Tongriano si presenta nella gamba meridionale dell'accennata anticlinale ; quivi gli strati arenacei grigi o giallastri , potenti , numerosi , sollevati sovente quasi alla verticale , inglobano lenti di ciottoli e di ciottoloni ; questi elementi si trovano talora anche sparsi irregolarissimamente frammezzo alle sabbie più o meno marnose. I banchi arenacei sono spesso fossiliferi, ma, ad ecce- zione delle Nummulitidi , tali resti sono per lo più in troppo cattivo stato di conservazione per esser ben determinabili ; sono ad esempio ricchi in Nummulitidi alcuni strati arenacei che co- stituiscono il rilievo del cimitero di Castellino , e che danno origine nell' alta valle Spinosa ad una copiosa sorgente presso la quale abbondano pure i resti sovraccennati. Ad Ovest di Val Colobrio i banchi sabbiosi giallastri si svi- luppano straordinariamente nella parte meridionale esterna della zona tongriana assumendovi un' inclinazione più o meno forte verso Nord, per modo che pare si debba qui ammettere un ro- vesciamento stratigrafico, fenomeno che d'altronde si è già osser- vato ad Est e che continua a verificarsi per lungo tratto verso Ovest ; tali formazioni sabbiose costituiscono colline a pendii ri- pidi, talora franosi per la poca coerenza di certi banchi sabbiosi. Le lenti ghiaioso - conglomeratiche abbondano specialmente nella parte inferiore del Tongriano, cioè nelle colline di C. Ar- signano , di C. Casali e specialmente poi delle borgate Stara, Parcivalle, ecc. dove questo terreno appoggiasi direttamente sul Liy urlano. Qui come altrove i ciottoli di questo orizzonte sono in parte di calcare alberese ; taluni presentansi schiacciati, fran- IL SENO TEIÌZIATÌIO PI MONCALVO 357 tiimati e coi frammenti spostati ma tuttora rilegati assieme. Fra questi conglomerati sgorgano talora sorgenti sulfuree, come per esempio si osserva a Nord-Ovest di borgata Parcivalli. In certi banchi arenacei non sono rare le Xummulitidi, spe- cialmente la N.. Fichteìi , come ad esempio nei banchi che si incontrano a circa mezzo cammino salendo da Val Colobrio a Stara lungo lo stradone ; quivi gli strati marnosi, ripetutamente alternati con quelli sabbiosi, si presentano fortissimamente incli- nati a Nord- Est. E sempre molto difficile nella parte esterna di tutta questa area iongriana di segnare i limiti di divisione di tale terreno dal circostante Aquitaniano , quantunque esista fra di essi un forte liyatiis , mancando qui lo Stampiano che appare invece per brevi tratti più ad Ovest. Passando ora all'esame dell' anticlinale Villadeati - Penango troviamo anche qui sviluppatissima la formazione tongriana rap- presentata essenzialmente da depositi sabbiosi giallo- grigiastri poco coerenti che danno origine alle regioni franose di Val C. Stella ; sono pure assai rappresentate le arenarie calcaree specialmente al Eric Castello , dove anzi per la loro resistenza sono talora utilizzate onde estrarne pietrisco. Non mancano neppure i banchi marnosi grigio-bleuastri specialmente nella parte settentrionale della zona in esame. Ciò che caratterizza la massima parte della formazione ton- griana in studio è l'abbondanza di lenti ciottolose i cui elementi, talora voluminosissimi, spesso di calcare alberese, sovente fran- tumati nel modo già detto sopra, si presentano spesso sparsi ir- regolarmente frammezzo alle sabbie; per l'erosione causata dagli agenti esterni tali ciottoloni si trovano ora sul dorso delle colline 0 al fondo dei valloni simulando ciottoli erratici. Fra queste sabbie ed arenarie tongriane non sono rare le sorgenti solforose, di cui alcune abbastanza copiose. Nelle colline di Eric Castello l'inclinazione degli strati è di 40 a GO*" circa verso il Sud-Ovest od il Sud ad un dipresso; invece sulla destra di Val C. Stella e nelle colline del Cimitero di Alfiano Natta la pendenza dei banchi sabbiosi diventa assai più dolce, cioè di circa 25°, verso Sud-Ovest, verso Sud o verso Sud-Est, secondo i punti in cui si osserva. Nelle regioni collinose di C. Marmetta, di C. Rocco e di Cascinotto, cioè attorno a Val Bizara , hanno ancor prevalenza 358 FEDERICO SACCO assoluta i banchi sabbiosi, la cui inclinazione a Sud-Est diventa sempre più dolce, ciò che ci indica come ci troviamo qui al termine dell'elissoide tongriana di sollevamento. Notiamo però subito come di tale elissoide non affiora in Val Bizara che la gamba meridionale, giacché quella settentrio- nale è completamente mascherata dai depositi mcssiniani ; però verso Nord-Ovest anche i banchi tongriani di quest'ultima gamba vengono poco a poco ad affiorare , tant' è che nelle colline di C. Lunga gli strati marnoso-sabbiosi , inglobanti lenti ghiaioso- ciottolose, pendono nettamente a Nord-Ovest, fatto che ancora più chiaramente si può poi osservare più ad occidente. Ad ogni modo riesce ben chiaro come l'elissoide tongriana ora esaminata è in gran parte sepolta sotto ai terreni terziari più giovani , dei quali quindi è separata con un hyatiis spesso notevolissimo, per quanto non esista generalmente una forte di- scordanza stratigrafica fra questi orizzonti geologici. Aquitaniano. Nella regione in esame, per le trasgressioni sovraccennate non apparendo le formazioni marnose dello Stampiano^ dobbiamo pas- sare senz'altro all'esame dei terreni aqiiitaniani ; ma neppure quest'orizzonte geologico è quivi molto sviluppato. Su ambi i lati dell'anticlinale di Ottiglio-Moncalvo , sopra ai terreni arenaceo sabbiosi del Tongriano vediamo disporsi una zona di marne grigiastre , alternate con strati sabbiosi o mar- noso-sabbiosi pure dello stesso colore ad un dipresso , oppure passanti al biancastro od al gialliccio; questi banchi pendono di circa 40° a Nord -Est nella zona settentrionale abbastanza ampia, e di 45°, 50° e più nella zona meridionale invece molto stretta, per modo anzi che pare talora che essa scompaia quasi del tutto sotto alle formazioni elveziane ; si comprende quindi facilmente come nell' anticlinale di Murisengo-Penango, dove le trasgressioni tra l'Oligocene ed il Miocene sono fortissime, manchi completamente ogni traccia di Aquitaniano. I residui fossili, solo marini, sono assai scarsi in questi de- positi e sempre assai difficili ad estrarsi completi. IL SENO TERZIAKIO DI MONCALVO 359 Langhiano. Quest'orizzonte che nel Piemonte in generale è rappresentato da depositi marnosi di mare tranquillo, non viene quasi ad ap- parire nella regione in esame, a causa delle trasgressioni sovrac- cennate ; possiamo solo menzionare al riguardo come strati marnosi grigi, duri, di facies ìanghiana appaiono qua e là alla base della formazione elveziana, specialmente a Sud di Castellino ed a Nord di C. Coconota ; manca ogni traccia di questo terreno nell'anticlinale oligocenica di Alfiano Natta , quantunque esso compaia poscia poco ad Ovest ma già fuori dal nostro attuale campo di studio. Elveziano. Quest'orizzonte geologico è qui, come in generale, notevolmente sviluppato ; consta in massima parte di banchi marnoso-arenacei compatti, piuttosto regolari, grigiastri, che per la loro resistenza all'erosione spesso costituiscono creste collinose assai frastagliate. Della grande zona elveziana Rosignano-Sala-Cereseto-Ser- ralunga di Crea, ecc. non appaiono nella nostra regione di studio che pochi banchi basali, a Nord di C. Coconota, dove essi pre- sentansi fortissimamente sollevati ed inclinati a Nord-Ovest. Invece appare per lungo tratto la zona Ottiglio-Oddalengo che costituisce le colline di Patro, di Sagliano, di Perno, ecc. ; quivi i banchi pendono in complesso verso Sud-Ovest, di circa 40° alla base ma solo più di 25°, 20", ed anche meno, nella parte superiore ; notansi poi sovente delle varianti locali nella pendenza che talora è anche verso Sud o Sud-Est, In tutte queste regioni è attivissima l'escavazione delle com- patte marne calcaree dell' Elveziano perchè vengono utilizzate come pietre da costruzione {cantoni) eleganti e solide nel tempo stesso; sono specialmente i banchi dell'^/z^mawo medio-superiore che si presentano più atti all'uopo. Alla base à^W Elveziano non è raro di incontrare sorgenti acquee, generalmente però non abbondanti, le quali derivano sem- plicemente dalle acque di pioggia che, dopo aver attraversata lentamente la serie elveziana, scorrono lungo la linea di trasgres- sione tra il Miocene e l'Oligocene. 360 FEDERICO SACCO Verso Ovest la zona eìvesiana in esame si incurva gradata- mente a Sud, in causa del ravvicinarsi delle due anticlinali fi- nora nominate, per modo che nelle colline di Oddalengo piccolo risulta una conca regolare aperta a Sud-Est, i cui banchi pen- dono in tale direzione di circa 40°, 45°. Ma avvicinandosi all'anticlinale oligocenica di Alfìano i banchi eìvcziani assumono poco a poco un'inclinazione più forte verso l'Est ed anche verso il Nord-Est, ma ad ogni modo è sempre con una forte trasgressione stratigrafica che essi appoggiansi diretta- mente sulla formazione tongriana. Dal lato meridionale di questa anticlinale oligocenica, essendo ancor più forte la trasgressione stratigrafica che dal lato nordico, non vediamo apparire traccia di zona eìveziana che viene a giorno solo molto più ad Ovest presso Villadeati. I terreni in esame , specialmente alcuni banchi un po' sab- bioso-arenacei sono per lo più assai ricchi in fossili; vi si rin- vengono comunemente denti di squalo di varie forme. Tortoniano. La formazione tortoniana è ampiamente sviluppata nella re- gione in esame ; essa presenta la caratteristica facies di marne grigiastre, alternate talvolta con banchi marnoso -sabbiosi special- mente alla base dove avviene il gradualissimo passaggio aXVEl- veziano superiore ; si tratta di un deposito di mare tranquillo ed abbastanza profondo. In stretto rapporto colla natura del terreno sta la configu- razione del suolo, per cui vediamo che le colline iortoniane sono relativamente basse, rotondeggianti, ed a pendii morbidissimi, spesso osservandosi bassi colli ed ampie vallate, caratteri esterni assai utili per distinguere in complesso i terreni tortoniani da quelli eìveziani. Siccome la zona tortoniana segue abbastanza bene l'anda- mento di quella eìveziana, cosi vediamo come essa, sviluppatis- siraa nel casalese meridionale , si estende nella regione in esame da Grazzano a Perno inferiore , con V inclinazione di una de- cina di gradi circa verso il Su'd-Ovest; poscia si incurva a Sud formando una conca aperta a Sud-Est, ma nello stesso tempo restringesi rapidamente in modo che viene a scomparire nella IL SENO TEKZIARIO DI MONCALVO 361 valle di Molino Moretta, in causa della solita notevolissima tras- gressione stratigrafica che quivi si verifica. Vediamo poi ancora ricomparire, ma per breve tratto ed in sottilissima striscia, le marne tortoniane sul lato Sud-Ovest del- l'anticlinale oligocenica di Alfiano Natta, dove esse si appoggiano direttamente e trasgressivamente sul Tongriano inferiore. Non si trovano facilmente resti fossili nella zona tortoniana, ciò che pei;ò dipende in gran parte dalla scarsità di tagli na- turali che mettano a nudo questi terreni ; i fossili sono però assai ben conservati ma non sempre facili ed estrarsi intieri. La configurazione sovraccennata delle regioni tortoniane le rende molto atte alla coltura, specialmente viticola. Messiniano. Importantissima è la zona messiniana sia per il notevole svi- luppo, sia per la costituzione che presenta nella regione in esame. Qui, come in generale, questa formazione è in gran parte ma- remmana 0 lagunare, però in parte deve essersi depositata in un mare basso e tranquillo bensì, ma libero. Nella sua costituzione predominano le marne più o meno ar- gillose di varia tinta, sovente grigie passanti al verdastro od al gial- liccio, oppure brunastre; talora queste marne si presentano bian- castre, compatte, alquanto straterellate, come ad esempio si osserva alle falde occidentali della collina di San Bernardino (Moncalvo), alle falde meridionali dei colli di Alfiano Natta, ecc. In certi banchi compaiono poi anche formazioni sabbiose. Ma il carattere essenziale dell'orizzonte messiniano si è d'in- globare frequenti zone più o meno estese, di Gessi e di Calcare. Nella regione in esame la lente gessosa più importante è quella che a forma di irregolare mezzaluna si estende ad Ovest di Moncalvo, costituendo diverse colline sopra una delle quali giace una borgata che prese appunto il nome di Gessi. Il Gesso si presenta sia in piccoli che in grossi cristalli frammischiati alle marne, ma costituenti nell'assieme banchi abbastanza regolari ma non continui. Questo materiale viene escavato in vari punti ovunque esso viene ad affiorare ; molto attiva è la cava di C. Chioso in causa della sua posizione speciale. Altri minori lenti gessose compaiono presso Penango, presso C. Castelmerlino, presso C. Borghi, presso C. Gesso, ecc. 362 FEDERICO SACCO Più a Sud, sotto la zona pliocenica riappare la formazione messinimia con nuove lenti gessifere. Quanto alle lenti calcaree esse sono ancora più irregolari di quelle gessose ed appaiono quasi solo come arnioni frammezzo a marne ed a sabbie; per lo più questi calcari sono cariati, gra- nulati, bianco-giallognoli. Ne troviamo diversi affioramenti ad Est ed Ovest di Grazzano; ma sviluppansi specialmente nelle colline di Penango da borgata Gessi alle case del Molino, ed in queste regioni il materiale calcareo viene attivamente escavato , quan- tunque dia della calce di qualità piuttosto inferiore; altri afìfio- ramenti calcarei troviamo nelle colline di C. Salata, di San Lo- renzo, ecc., cioè specialmente là dove le zone messiniane medie vengono a giorno. In complesso si vede che queste formazioni calcarifere ac- compagnano da vicino oppure sostituiscono le lenti gessose. Nell'andamento generale la zona messiniana accompagna molto bene le curve del seno di Moncalvo, applicandosi sia re- golarmente sui terreni tortoniani^ sia trasgressivamente su quelli tongriani : ma in ogni caso la stratificazione è sempre abbastanza regolare con pendenze assai dolci ma varie a seconda dei punti in cui si osserva la zona messiniana. La potenza della serie messiniana non è generalmente molto grande, in complesso si può valutare ad una cinquantina di metri. Per quanto la formazione messiniana sia di natura ben di- versa da quella piacenziana tuttavia tra questi due orizzonti geologici esiste quasi sempre un passaggio abbastanza graduale od almeno una concordanza stratigrafica assai notevole. La natura stessa e quindi il modo d'origine del terreno mes- siniano ci avverte come debbanvi scarseggiare affatto i fossili, come verificasi in verità ; tuttavia in alcuni banchi sabbioso- marnosi si possono raccogliere resti specialmente di molluschi bi- valvi marini, ma di mare basso passante quasi a laguna ; par- ticolarmente utili per tali ricerche sono le cave di calcare, frammisto ad arenaria, del fianco occidentale di Mongrande presso Penango. La zona messiniana oltre che per i materiali gessosi e cal- carei che contiene è pure importante dal lato agricolo special- mente per la viticoltura. IL SENO TERZIARIO PI MONCALVO 368 Fiacenziano. L'orizzonte geologico da esaminarsi rappresenta un deposito di mare tranquillo ed abbastanza profondo, come ce lo indicano le marne azzurrastre racchiudenti fossili marini assai ben conservati. Esso si presenta abbastanza sviluppato nella regione in esame, per essere quasi orizzontale, quantunque in verità abbia ben poca potenza ; infatti se verso Sud la serie pìacenziana può raggiun- gere lo spessore di una cinquantina di metri, essa si va assot- tigliando verso Nord sino a terminare ad unghia tra Moncalvo e Grazzano, per modo che non è sempre possibile il distinguerlo tra VAstiano ed il Messiniano. È sempre molto difficile il seguire la linea di separazione tra il Piacenziano e V Astiavo, in causa specialmente di marne grigio- giallastre che formano il graduatissimo passaggio tra questi due orizzonti geologici; tant'è che in alcuni punti rimane incerto se debbasi o no segnare una placca astiana sul Fiacenziano. I fossili sono quasi ovunque molto comuni ed anche assai ben conservati nelle marne piacenziane: ne è più facile ed ab- bondante la raccolta nei banchi superiori passanti sXV Astiano. Per la sua natura litologica questa formazione costituisce colline rotondeggianti a pendìo dolcissimo, molto atte alla viti- coltura; forma poi larghe vallate ed ampi bassipiani a coltiva- zione pratense che riesce assai bene a causa deirumidità delle marne un po' argillose ; per la stessa ragione ci spieghiamo il velo acqueo che esiste sovente tra VAstiano ed il Piacenziano. È in gran parte all'alterazione ed al rimaneggiamento delle marne piacenziaìie clie debbonsi quei depositi giallastri che osservansi al fondo delle vallate e che vengono talora utilizzati come materiali per laterizi. Astiano. La formazione terziaria più recente che appare nel seno di Moncalvo è VAstiano, che vi si presenta sviluppatissimo indican- doci per tal modo come durante l'epoca pliocenica non siansi ve- rificati movimenti sismici, i quali invece si accentuarono fortis- simamente alla fine di detta epoca, segnandone anzi la chiusura. Per essere Torizzonte più giovane, VAstiano costituisce il co- 364 FEDERICO SACCO cuzzolo di quasi tutte le colline e, per le erosioni avvenute nel qua- ternario, presentasi ora diviso in numerosi e svariatissirai lembi, spesso solo ridotti a semplici placche sottilissime. La formazione asticina consta di marne e di sabbie marnose giallognole, alternate verso la base con strati grigiastri che for- mano graduale passaggio al sottostante JPiacenziano : nella parte alta della serie astiana prendono gradatamente la prevalenza i banchi sabbiosi passanti talora a vere arenarie compatte che ci indicano un deposito littoraneo. È con questa facies arenacea che presentasi per lo più la cima delle colline da Grazzano a San Bernardino. Lungo questa linea, ma specialmente a Moncalvo ed a S. Bernardino, i banchi arenacei sono zeppi , impastati , direi , di resti di molluschi , di molluscoidi, di foraminiferi, ecc., che servono appunto come ce- mento alla massa sabbiosa. Tutto ciò ci indica come verso la fine del periodo astiano il golfo marino di Moncalvo si presen- tasse riccamente popolato di animali della zona littoranea; i loro resti, sovente sbattuti e quindi frantumati dal movimento delle onde e delle lame di fondo , venivano ad accumularsi in gran numero fra le sabbie che si andavano allora deponendo. Le colline astiane si presentano per lo più di un color gial- lastro abbastanza caratteristico anche di lontano appunto per il colore originario del terreno; i banchi di quest'orizzonte sono leggerissimamente inclinati verso il Sud all'incirca; ma verso la Val Grana, per l'apparsa dei terreni messiniani, i sovraccennati banchi divengono quasi orizzontali. Per quanto apparentemente la formazione astiana sia molto estesa, in verità essa non ha che pochissimo spessore ; talora solo di tre 0 quattro metri, come in certe placche attorno a Penango ; tutt'al più di una quarantina di metri come presso Moncalvo, dove essa è spinta sin oltre i 300 metri di elevazione. Spesso le marne sabbiose delV Astiano inglobano resti fossili, intieri o frantumati, oppure anche solo ridotti a semplice mo- dello ; dove la raccolta ne riesce più facile ed abbondante è nei banchi arenacei dello sperone di Moncalvo, giacche quivi i fos- sili costituiscono talora quasi da soli intieri strati. Per la sua natura specialmente sabbiosa l'orizzonte in esame è permeabile al sommo e quindi piuttosto aride si presentano le regioni che ne sono costituite; ma il poco spessore del terreno fa si che poco profondo è il velo acqueo utilizzabile, almeno per Bartoniano Tongnano At^uitaniano Langhiano Ilveziano TorUmiann fìacewiano Astiano Tm: V// Lungitud ne dal Mer d ano di Roma 1 IL SENO TERZIARIO DI MONCALVO 36 5 USO domestico. Le colline astiane sono molto atte alla viticoltura come quelle dell'Astigiana in generale ; si distinguono anche solo nell'aspetto orografico da quelle xìiacensiane e messiniane a causa dei pendii più ripidi che talora anzi si cangiano in veri scoscen- dimenti pili 0 meno profondi. In alcuni casi si escavano le sabbie e le arenarie astiane come materiale da costruzione ma di poca importanza. Quaternario. Siccome durante l'epoca quaternaria la regione in esame venne soggetta ad un'erosione potentissima, così veri depositi quater- nari non vi si poterono formare ; possiamo solo accennare in pro- posito a lembi di loess giallastro o rossiccio che osservansi qua e là sul fianco delle colline, e che si sono prodotti in parte sulla fine del Sahariano ma in parte maggiore durante la prima metà del Tcrrasziano. Quanto alle alluvioni terroso-sabbiose che coprono il fondo delle vallate esse furono deposte nella seconda metà del periodo terrazziano, la loro importanza è grande dal lato agricolo, co- stituendo essenzialmente Yhwnus. KIASSUNTO. Da quanto si è esposto nelle pagine precedenti risulta : 1" che nella regione studiata si può seguire quasi perfettamente l'intiera serie terziaria, spesso riccamente fossilifera, dall' Eocene al Pliocene superiore ; 2° che in detta regione, durante il Mio- cene, per compressioni laterali, agenti da Nord-Est verso Sud- Ovest, si verificarono due potentissimi corrugamenti, diretti da Nord-Ovest a Sud-Est, fra di loro quasi paralleli e facenti parte regolare del generale corrugamento che originò i colli Torino- Valenza; 3" che fra queste due rughe eo -mioceniche si costituì uno stretto e profondo seno marino, regolare, tranquillo, che durò per tutta l'epoca pliocenica, finche il grandioso movimento sismico che chiuse detta epoca cangiò in regione continentale l'in- tero golfo padano; 4° che l'attuale configurazione della regione nominata è dovuta essenzialmente ai fenomeni di erosione acquea verificatisi durante l'epoca quaiternaria. 366 e. GIACOMINI Su alcune anomalie di svilup'po dell'embrione umano; Comunicazione seconda del Socio Prof. C. Giacomini Lo studio delle Anomalie di sviluppo dell'ernìji-ione umano, che io ho iniziato nella Comunicazione che ho avuto l'onore di fare alla Accademia nello scorso anno (1) promette risultati non indifferenti e tali da compensare certo le lunghe e minuziose cure che richieggono siffatte ricerche. Dopo quella prima Comunicazione io ho avuto dalla gentilezza dei Colleghi altri embrioni in di- versi stadi di sviluppo , alcuni dei quali non si presentavano in condizioni normali. Studiando queste forme anomale, ho trovato particolarità le quali possono avere un certo interesse per la storia dello sviluppo dell' uomo , e che desidero presentare alla Acca- demia in questa 2^ Nota. OSSERVAZIONE III. Nelle ore antimeridiane del 30 Giugno scorso il Dott. Ac- conci, mi portava all'Istituto un ovulo umano che era stato emesso la sera avanti da una giovane donna. Essa aveva già avuto 7 parti fisiologici ed a termine, e 4 allattamenti. L'attuale gravidanza se- condo i calcoli ostetrici avrebbe cominciato alla fine di Aprile od al principio di Maggio. Venuta a Torino da una città della Provincia il 29 Giugno, si trovò bene tutta la giornata; alle ore 5 pom, incominciarono i fenomeni dell'aborto, il quale avveniva spontaneamente alle ore 10 di sera senza complicazioni. Fino al momento in cui io ho ricevuto l'aborto, esso era stato (1) Su alcune anomalie di sviluppo deir etnbrione umano' Alti della R. Accademia delle Scienze, voi. XXI li, 1888. ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMRRIONE UMANO 367 conservato in una soluzione di cloruro di sodio. L'ovulo presen- tava le membrane perfettamente intatte, era rivestito dalla caduca uterina ed ovulare ben distinguibili in tutta l'estensione, e fra esse si trovava interposto uno spazio. Il corion isolato dalla caduca ovulare aveva l'estensione di 5 centimetri. Le villosità non erano uniformemente sparse e pre- sentavano un colore giallastro. L'amnios era strettamente appli- cato alla superficie interna del corion, e lo spazio molto grande da esso circoscritto era pieno di un liquido trasparente. L'aper- tura delle membrane fu fatta da me presente il Dott. Acconci. L'embrione occupava un piccolo punto della superficie interna del corion. Era ridotto ad un tubercolo leggermente curvo colla con- vessità rivolta verso il centro e la concavità verso la parete, alla quale aderiva per mezzo di un breve e rotondo peduncolo che rap- presentava il funicolo ombellicale, e sorgeva dalla estremità cau- dale dell'embrione. L'esame esterno del prodotto (Fig. P e 2*) anche con lenti di ingrandimento dimostrava ben poco. L'estre- mità cefalica era quella che si presentava più fortemente colpita dal processo morboso, essa era piegata orizzontalmente e finiva in avanti in una parte acuminata. Non si notava traccia alcuna delle vescicole cerebrali. Le sezioni microscopiche però dimostra- rono che il sistema nervoso non solo esisteva , ma che aveva sub'ito verso l'estremità cefalica un forte incurvamento per modo da spingersi colla sua estremità anteriore molto in basso. Ai lati della parte acuminata esisteva una depressione, la quale come vedremo corrispondeva alla formazione del cristal- lino (Fig. 2^ L), e più in basso si osservavano due leggeri rilievi diretti ventralmente e caudalmente, che appartenevano all'appa- rato branchiale, e probabilmente al 1" arco branchiale {A B). Dorsalmente da questi si trova una sporgenza emisferica (0) , che corrispondeva internamente ad un spazio cavo senza limiti ben distinti. Subito al dissopra dell'origine dall'embrione del cor- done ombellicale si osserva una superficie un po' irregolare la quale si riferisce alla disposizione epatica (Fig. 2"^ F). La curvatura caudale era molto pronunciata, e si dirigeva in avanti ed a sinistra, terminando in un tubercolo che si trovava al lato sinistro del cordone ombellicale , la cauda [C). Manca- vano completamente le estremità. Concentricamente alla curva dorsale e nei limiti fra la regione dorsale e la ventrale, alla parte superiore del tronco si poteva Mli della R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Voi. NXIV. 27 368 e. GIACOMINI distinguere un solco superficiale, nel fondo del quale, con un certo ingrandimento , si osservavano piccole depressioni susseguentesi Tuna all'altra. Questa disposizione non fu bene espressa dal di- segnatore nella fìg. 2^ Per il modo di presentarsi questo rudimento embrionarie do- vrebbe appartenere alle forme atrofiche di His. L'arresto però era meno avanzato di quello che ho descritto nella seconda os- servazione della precedente comunicazione. La massima lunghezza raggiungeva appena i 5 millimetri. Tutto l'embrione unitamente al cordone ombellicale ed al tratto di corion sul quale prendeva inserzione, fu convenientemente co- lorito col Borace-carmino, incluso in paraffina e diviso in sezioni trasversali, incominciando dalla estremità cefalica, andando verso la caudale; e furono così fatte 485 sezioni. Esse non riescirono perfettamente trasversali, ma leggermente oblique da sinistra a destra e dall'alto in basso, per cui le diverse particolarità nelle sezioni compaiono prima a sinistra e più tardi a destra. Questo fatto fu in parte causato dall'assimetria che presentava l'embrione e può essere facilmente corretto. La parte che si riscontra in tutte le sezioni è il sistema ner- voso centrale, ed esso occupa anche maggiore estensione princi- palmente nella parte cefalica. Compare già alle prime sezioni e non cessa che nelle ultime. Ma esso è profondamente modificato nella sua costituzione. Risulta formato da una grande quantità di quei piccoli elementi fortemente coloriti, dei quali ho parlato nella mia precedente comunicazione. Questi si trovano irregolar- mente disposti in molti punti, divisi talora da ammassi granulari ; in altri essi si comportano in modo da ricordare ancora la parete che circoscrive il canale centrale , ma questa parete assume un decorso fortemente ondulato, descrivendo circonvoluzioni svariate, che ho già detto essere un sicuro indizio della sua avanzata alte- razione. Questa adunque ci è indicata sia dal modo con cui si presentano gli elementi costitutivi considerati in se , sia per il modo con cui essi si associano. La cavità centrale, quando esiste, è generalmente piena di un precipitato irregolare. Il sistema nervoso, anche qui, in molti punti è ben limitato dagli elementi del mesoderma, per mezzo di una sottile lamina basale. In certi tratti esso corrisponde alla lamina cornea senza, interposizione di mesoderma. Le poche sezioni che vennero riprodotte, le credo sufficienti ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 369 per dimostrare il grado e l'entità del processo che ha colpito il canale centrale, e le altro parti dell'embrione (Fig. 3, 4, 5, 6). Lo studio delle sezioni dimostra che all'estremità cefalica, il sistema nervoso ha subito una forte incurvazione , per modo che la parte corrispondente alla vescicola cerebrale anteriore si estende di molto caudalmente fino alla sezione 183 (Fig. 4^ Ve) , e perciò per quasi i due quinti della lunghezza totale. Nel punto ove termina la vescicola cerebrale anteriore si trova ventralmente e lateralmente abbracciata dai due tratti sporgenti sulla superficie esterna e che a mio giudizio sono i rappresentanti del 1° arco branchiale o mascellare inferiore (Fig. 4"). Nel mentre cessa la vescicola cerebrale anteriore , compare un cumulo di elementi vivamente coloriti e meglio conservati , i quali per la località in cui si trovano possono essere conside- rati come dipendenze dell'intestino cefalico o della regione car- diaca. Non é possibile riconoscere le vescicole oculari ; si possono però considerare come tali due ammassi dei medesimi elementi che compongono il canale midollare , in corrispondenza di due gruppi di cellule epiteliari , che considero come rappresentanti della lente cristallina. Questi due gruppi di cellule epiteliari non si possono scorgere contemporaneamente sullo stesso preparato per la direzione obliqua delle sezioni. Alla 31* sezione incomincia il cristallino di sinistra, in cor- rispondenza di quella depressione che si è notata sulla superficie esterna. È ben isolato dalle cellule ectodermiche e forma un gruppo di cellule che nelle prime sezioni si presenta abbastanza regolarmente sferico, disposte in un unico strato e circoscriventi una piccola cavità. Gli elementi hanno tutti i caratteri di un epitelio cilindrico, molto alto con nucleo ovulare pronunciato. 11 gruppo di queste cellule va ingrossando nelle sezioni successive e va facendosi nello stesso tempo irregolare nella forma ; si allon- tana dalla superficie ectoderraica e nella sua parte interna è cir- condato dagli elementi del canale midollare. Dura fino alla se- zione 58". Alla 49^ sezione si trovano due cospicue cellule nucleate di oltre 45 p. di diametro, strettamente applicate l'una su l'altra, con protoplasma completamente ialino ed incoloro. Esse furono com- prese in tre sezioni. Sembrano due cellule vegetali. Il modo di presentarsi di queste due cellule, identico a questo che ho potuto 370 e. GIACOMI NI riscontrare in altri cristallini d'embrioni umani non normali, con- ferma il significato che abbiamo dato alle cellule che stiamo studiando. Quando termina il cristallino di sinistra incomincia quello di destra (Fig. 3" L) e dura j&no alla sezione 82\ Nella sua ori- gine è pili ventralmente posto ; quando è nel suo massimo svi- luppo è formato da due strati di cospicue cellule cilindriche, le quali circoscrivono una rima allungata. Sorprende il vedere questi elementi normalmente costituiti in mezzo ad altri colpiti nella loro evoluzione. Se la causa che ha prodotto l'arresto nel nostro embrione, ha fatto sentire la sua influenza su tutto il cristallino per modo da impedire una formazione normale, gli elementi però che lo costituivano si presentavano ancora in condizioni fisiologiche. Interpretate come lente cristallina le due produzioni epite- liari abbastanza simmetricamente disposte, l'ammasso di cellule midollari colle quali esse si trovano in rapporto, costituirebbe la vescicola cerebrale intermedia. Alla sezione 119 il sistema nervoso della estremità cefalica incomincia a dividersi in due parti ; una posta ventralmente più voluminosa (cervello anteriore), e l'altra situata dorsalmente più ristretta (cervello posteriore). Questo nel mentre si è reso indi- pendente, risulta formato da un robusto nastro, avente eguale spessore nei vari suoi punti, e descrivente inflessioni in diverso senso. Lo spazio circoscritto è abbastanza ampio (Fig. 4"). Appena si è prodotta questa divisione, nello spazio di meso- derma che si interpone fra le due parti del canal midollare e che va sempre più aumentando nelle sezioni successive, incomincia a comparire la corda dorsale (sezione 128), la quale nella prima sezione è colpita in due punti a causa delle inflessioni che de- scrive alla sua estremità anteriore. (Fig. 4^, 5*, 6" Co). La corda mantiene costanti i suoi rapporti col canale midol- lare e può essere seguita fino alla estremità caudale, dove termina confondendosi con gli elementi del canale midollare. Nel punto dove termina esiste un gruppo di cellule ectodermiche che si spinge nel mesoderma. La corda nel nostro embrione si presenta di un volume un po' superiore al normale, e mantiene, pressoché invariato questo volume per tutta la sua estensione. La sua costituzione non è però normale, si distingue ancora molto bene la sua guaina, che la isola dalle parti circostanti ; lo spazio che questa guaina cir- ANOMALIE DI SVILUPPO PELL'EJIBRIONE UMANO 371 coscrive di forma generalmente ovulare è in parte occupato da nuclei fortemente coloriti ed irregolarmente disposti. La corda è circondata dal mesoderma che non assume disposizioni speciali. Le sezioni più inferiori dimostrano come il rudimento embrio- narie verso la estremità caudale subisca un forte incurvamento nel piano sagittale e laterale per modo che la cauda viene a col- locarsi al lato ventrale ed a sinistra del peduncolo ombellicale. Tanto la corda come il canale midollare seguono questa curva- tura e vengono a terminare a poca distanza dalla cauda. (Fig. 2"^, e 6^ Cau). La Corda ed il Canale midollare malgrado le loro modifi- cazioni nella forma e nella costituzione sono le sole parti che possono essere ben seguite in tutta la lunghezza dell'embrione, ed alle quali può essere data una giusta interpretazione. Nel meso- derma difficilmente si riscontrano formazioni, le quali siano rife- ribili a quanto si osserva nelle condizioni normali. Nei punti dove sulla superfìcie esterna si notano quelle emi- nenze sferiche, il mesoderma incomincia a rarefarsi. Si riscontrano cellule fusiformi con nuclei allungati e pallidi , congiunte fra loro per mezzo di prolungamenti, dando così origine ad un tes- suto reticolare ; poi si manifesta nel centro una cavità mal cir- coscritta, senza contenuto, la quale all'esterno è in rapporto di- retto con la lamina cornea, che qui assume maggiore spessore ; più in basso le due cavità si restringono, si spingono verso la linea mediana, si confondono fra loro e finalmente scompaiono. Non è possibile dire che cosa esse rappresentino. (Fig. 4" 0). Meglio distinti sono due spazi circolari simmetricamente di- sposti ai lati della linea mediana, un po' avanti della Corda dor- sale; i quali incominciano a comparire nella sezione 155 prima a sinistra e poi a destra; contengono generalmente nel loro in- terno elementi con nuclei circondati da un alone poco colorito: sembrano globuli sanguigni in via di alterazione. Questi due spazi sono senza dubbio due vasi sanguigni e probabilmente le due aorte (Fig. 4^ A). Si originerebbero in alto verso l'arco branchiale; in basso si avvicinano e si congiungono alla sezione 198, poi di nuovo si di- vidono e più tardi non possono più essere seguiti, si confondono col tessuto circostante. Sono questi gli ultimi avanzi dell'apparato vascolare. La disposizione del fegato può essere facilmente riconosciuta ; 372 e. GIACOMINI occupa una larga estensione della parte ventrale nelle sezioni subito al disopra dell'inserzione del peduncolo ombellicale. Inutile sarebbe per ora di voler prolungare la descrizione delle altre particolarità che presenta il mesoderma, perchè ad esse non possiamo dare alcuna interpretazione. Notiamo solo che nel cordone ombellicale non si distinguevano traccie di vasi sanguigni ; in un tratto del suo breve decorso si osservava una piccola cavità rivestita da epitelio, ultimo resto del canale vitellino. Appena il peduncolo prendeva la sua inserzione sulle mem- brane, compariva tra l'annios ed il corion un canale rivestito da un doppio strato di cellule epiteliari ben distinte, che poteva essere seguito per un lungo tratto, era il canale vitellino. La ve- scicola ombellicale non fu riscontrata. L'amnios ed il corion erano normalmente costituiti. (Fig. 6% Vi). Ma le particolarità più interessanti e più singolari del nostro embrione, le troviamo nella lamina cornea dell'ectoderma. Essa forma il rivestimento esterno, ed in nessun punto si trova man- cante. Bisulta generalmente di due strati di cellule cubiche, meno alte le superficiali, i cui contorni sono ben distinguibili, il nucleo rotondeggiante , centrale e mediocremente colorito , protoplasma completamente incoloro. La lamina cornea si presenta vale a dire pressoché nello stesso modo come nell'embrione descritto nella precedente comunicazione ; se nonché in quello che stiamo studiando gli elementi erano meglio conservati, più voluminosi e si avvicinavano di più alle condizioni normali. Essi erano strettamente applicati fra loro ed al meso- derma sottostante. In nessun punto si trovò isolata la lamina cornea dalle parti sottostanti, come occorre non raramente di osservare in embrioni normali. Era sostenuta da un sottile strato amorfo più intensa- mente colorito, ed al disotto di esso si trovavano più numerosi quegli elementi degenerati che erano irregolarmente sparsi nel mesoderma. La lamina cornea non si presenta egualmente nelle diverse parti dell'embrione. In tutta la faccia ventrale della estremità cefalica era ridotta ad un unico strato di cellule fortemente ap- piattite, ma continue. Nello stesso modo si comportava al disso- pra dell'inserzione del peduncolo ombellicale di fronte, vale a dire alla disposizione epatica. Il passaggio fra la costituzione ANOMALIE DI SVILUPPO PELL'EMBHIONE UMANO BtS a due strati e quella ad uno strato solo avveniva in modo brusco. Sulle parti laterali invece ed in ispecie in corrispondenza delle sporgenze 0 raggiungeva il massimo spessore, essendo costituita da 5 a 6 strati di cellule aventi tutti lo stesso carattere. In corrispondenza della parte che abbiamo considerata come rudimento dell'apparato branchiale, la lamina cornea si comporta in modo da venire in appoggio di questa nostra idea. Così dal fondo della depressione che si nota alla superficie esterna nel punto A^ parte un prolungamento ectodermico (se- zione 64°) il quale si isola e si spinge allinterno ed in avanti, e nelle successive sezioni si può accompagnare finche esso si con- giunge di nuovo con la lamina cornea in avanti ed in basso nel punto B (sezione 118). Si avrebbe così un cordone cellulare che va da ^ in 5 procedendo obliquamente dall'alto in basso e dall' indietro in avanti, circondando alla parte interna quella sporgenza che abbiamo detto potersi considerare come prolun- gamento mascellare superiore del 1° arco branchiale. Quando il prolungamento epiteliare ha raggiunto la superficie ventrale si continua ancora caudalmente con un solco ben pronunziato, il quale va a finire alla parte profonda del primo arco branchiale costituendo cosi l'epitelio della fossetta boccale. Nelle sezioni successive l'estremità distale del 1" arco bran- chiale si spinge verso la linea mediana, s'incontra con quella del lato opposto, si fonde prima il rivestimento epiteliare poi la parte mesodermica, venendo in tal modo ben circoscritta la fossetta della bocca tutta rivestita dagli elementi della lamina cornea (Fig. A' M). Dietro la depressione della bocca, che va subito restringen- dosi per quindi scomparire, si trova ancora la vescicola cerebrale anteriore ben pronunciata, la quale forma una sporgenza me- diana e divide lo spazio circoscritto dai due archi in due parti laterali (Fig. 4* V). La parte sinistra più ristretta scompare dopo poche sezioni ; la destra invece più ampia, si mantiene tale per un certo tratto ; poi modifica la sua forma, si dirige all'esterno e dorsalmente si avvicina sempre più alla superficie laterale e finalmente il suo epitelio si continua con la lamina cornea (se- zione 202). Tutto ciò che siamo andati descrivendo per quanto anomalo sia e per quanto sia difficile di metterlo in rapporto colle con- 374 e. GIACOMINI dizioni ordinarie di sviluppo, ciò nondimeno può essere ancora compreso trattandosi di una regione dove le dipendenze del- l'ectoderma sono frequenti a riscontrarsi e sotto tutte le forme. Ma ciò che sorprende di più sono i prolungamenti della la- mina cornea che si osservano abbastanza regolarmente nella re- gione dorsale, e che andremo ora descrivendo. Già esaminando attentamente la superficie esterna dell* embrione e con un certo ingrandimento abbiamo notato nei limiti tra la regione dorsale e la ventrale due linee, una destra e l'altra sinistra, concentri- camente disposte alla curva dell'embrione, sulle quali potevano osservarsi microscopiche depressioni o fossette susseguentisi l'una all'altra. L'esame delle sezioni ha dimostrato che lungo queste due linee laterali la lamina cornea presenta disposizioni molto im- portanti. In alcuni tratti si trova un solco ben pronunciato dove l'ectoderma ha maggior robustezza (Fig. S" E E), in altri punti il solco è meno evidente, ma questa regione è facile a distin- guersi, perchè qui si accumulano in maggior abbondanza e al dissotto dell'ectoderma, quegli elementi piccoli, diversamente co- loriti che si trovano sparsi nel mesoderma. Tenendo dietro ad un certo numero di sezioni, si trova che le cellule della lamina cornea, tratto tratto si spingono profon- damente nel mesoderma, con direzione ventrale e mediale, pro- ducendo cos'i un cordone epiteliare, il quale generalmente si pre- senta ingrossato alla sua estremità libera ed assottigliato nel punto in cui esso sta per mettersi in congiunzione con l'ecto- derma. Assume perciò nelle sezioni trasversali un aspetto piri- forme, quando questo prolungamento ectodermico ha raggiunto un certo sviluppo. Poi il peduncolo che teneva sempre legato l'af- fondamento epiteliare colla lamina cornea scompare ed allora noi troviamo in mezzo del tessuto mesodermico gruppi epiteliari, i quali risultano costituiti da una maggiore o minore quantità di cellule, le quali conservano tutti i caratteri degli elementi della lamina cornea e sono perciò abbastanza distinguibili da quelli che li circondano (Fig. 4^ e ò"" E E). Il numero delle cellule in ciascuna sezione può variare da 4 ad 8 fino a 80 e 40 ed anche piìi. Hanno questi cordoni epi- teliari forma regolarmente circolare, e sono limitati dal mesoderma da una sottile linea fortemente colorita che ci rappresenta una membrana basale o di sostegno. ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 375 Possono in queste condizioni essere seguiti per un numero diverso di sezioni finché scompaiono. Talora prima di scomparire si congiungono di nuovo per mezzo di un prolungamento colla lamina cornea. Generalmente noi troviamo che questi cordoni cellulari sono completamente pieni ; ma nei più cospicui di essi si riscontra talora una piccola cavità, posta più o meno al centro, la quale può essere vuota, ovvero contenere piccoli nuclei rotondi, coloriti, cir- condati da sostanza granulare, i quali probabilmente provengono dalla disagregazione degli elementi epiteliari più centrali e forse anche dalla penetrazione di quelli che stanno ammassati intorno al cordone epiteliare nel mesoderma. Ad ogni modo noi possiamo considerare questa vacualizzazione come un segno di regresso nella evoluzione del cordone epiteliare. Ora il fatto più singolare si è che queste disposizioni si ri- petono abbastanza regolarmente a destra ed a sinistra della linea mediana in modo simmetrico. Possono variare nel volume, nella estensione nelle loro connessioni con la lamina cornea, ma il fatto essenziale si è che le ripetizioni avvengono in modo da ricordare una disposizione metamerica o segmentaria. Per evitare una lunga descrizione e per essere nello stesso tempo più chiaro nella esposizione, ho tentato di ricostrurre una figura, la quale ci dia una idea esatta della disposizione osservata sui due lati. Questa figura fu ottenuta nel seguente modo. Su carta divisa in millimetri, io considerava ogni divisione corrispon- dere ad una sezione dell'embrione, e dopo aver segnato due linee parallele e verticali rappresentanti il lato destro e sinistro della lamina cornea nel punto in cui essa somministrava i suoi pro- lungamenti, nell'esame dei preparati io notava sulle linee orizzon- tali le particolarità osservate. In tal modo io aveva sottocchio il momento in cui cominciava a prodursi un affondamento epiteliare sui due lati, il punto in cui questo si isolava dalla lamina cornea e l'estensione sua nel mesoderma. In questo modo si potevano ancora con facilità paragonare le disposizioni di destra con quelle di sinistra. La figura schematica riprodotta è il terzo dell'originale (Fig. 7^). Essa si estende dalla 30^ sezione dove incomincia il primo pro- lungamento di sinistra, e giunge fino alla 374' sezione dove ter- mina l'ultimo di destra. Convien qui ricordare l'obliquità che presentavano le sezioni 370 e. GIACOMINI da sinistra a destra e dall'alto al basso, perchè essa ci rende ragione della diversa estensione della disposizione epiteliare nei due lati. Per correggere questa obliquità delle sezioni, basta spo- stare un pò" in alto la linea di destra od abbassare la sinistra, ed allora troviamo che la nostra particolarità si origina e ter- mina pressoché al medesimo livello sui due lati. T tratti oscuri servono ad indicare che il prolungamento epiteliare in tutto questo tratto era sempre congiunto con la lamina cornea. In questo modo noi possiamo enumerare dieci prolungamenti epiteliari a destra e dieci a sinistra di forma ed estensione di- versa ; però si scorge tosto come essi siano più voluminosi e piii estesi verso la estremità cefalica, diminuendo sempre più quanto più ci portiamo verso la caudale. 11 1° prolungamento di sinistra si distingue da tutti gli altri perchè appena si è originato, si rende tosto indipendente; poi si divide in due parti o cordoni epiteliari, dei quali l'uno giunge fino alla 60" sezione, Taltro si estende fino alla 75*. Il 6° prolungamento di sinistra merita pure un cenno perchè esso ci rappresenta un semplice cordone epiteliare, disposto sulla medesima linea degli altri, il quale non ha nessuna connessione con la lamina cornea. Esso compare alla 247^ sezione e termina alla 265\ Il 5° prolungamento di destra rappresenta uno stadio di pas- saggio tra quello descritto e gli altri. Esso infatti è completa- mente indipendente nella massima sua estensione, ma è congiunto alla lamina cornea alle sue due estremità. Si estende dalla 19P se- zione fino alla 248^ Generalmente la parte libera sotto forma di cordone epiteliare si dirige verso l'estremità caudale. Nei più inferiori però troviamo invece una disposizione opposta. Nel 6° e 7° di destra e nel 7° e 8" di sinistra incomincia a comparire nelle sezioni la parte libera la quale poi caudalmente si congiunge con la lamina cornea. Quando incominciano e presentarsi queste disposizioni, si trova che esse sono prenunziate da un solco ben evidente, il quale è quello che si scorgeva anche nell' esame della superficie embrio- nale ; si mantiene più o meno profondo fino alla regione del tronco. La simmetria bilaterale nella regione cefalica, atteso la maggiore deformazione che essa aveva subito, è meno manifesta, questa però si conserva in tutto il resto come si può scorgere dalle poche sezioni riprodotte (Fig. 5). ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO SII In nessun altro punto si riscontrano formazioni simili a quelle descritte solo nelle sezioni che interessavano la cauda, compariva un breve prolungamento ectodermico, il quale corrispondeva al punto dove la corda ed il canale midollare si confondevano in- sieme (Fig. 6. Cau,). Credo inutile di spendere altre parole per dimostrare la sin- golarità di questa formazione epiteliare. Essa è singolare non solo considerata in sé stessa, ma maggiormente per la regione in cui si trova e per la disposizione che assume. Considerata in se stessa come produzione epiteliare, non sa- rebbe difficile di darle una spiegazione, pensando ad una maggiore attività degli elementi ectodermici, per rispetto alle altre parti dell'embrione, per cui si producevano degli zaffi epiteliari, i quali in alcuni punti rimanevano uniti alla lamina d'origine, in altri invece se ne rendevano indipendenti. E nel nostro caso speciale si potrebbe dire che mentre tutte le parti componenti l'embrione, erano state profondamente colpite dalla causa che ha prodotto l'arresto, la lamina cornea fosse rimasta attiva ancora per qualche tempo e proliferasse in alcuni punti della sua faccia profonda somministrando i cordoni epiteliari che abbiamo descritto. Il processo non sarebbe nuovo e troverebbe il suo riscontro in tutte le formazioni ghiandolari ed epiteliari. E malgrado l'os- servazione non abbia dimostrato nulla di simile in stadi di svi- luppo corrispondenti al nostro caso , ciò nondimeno la spiega- zione potrebbe venir considerata come soddisfacente, essendoché non si avrebbe avuto che una precoce manifestazione di un prò- cesso che doveva aver luogo più tardi. E per cercar di chiarire questo punto, io ho passato in ras- segna la mia raccolta di embrioni umani e di animali deformati, e non mi sono mai incontrato in formazioni consimili. Solo in un embrione umano del principio del secondo mese che ho avuto dal Dott. Canton, e che malgrado esso fosse molto guasto per i ma- neggi dell'aborto, ho voluto sezionare e conservare come mate- riale di confronto, ho osservato all'estremità caudale e sulla linei, mediana una disposizione epiteliare la quale ricorda in propor- zioni maggiori ciò che siamo andati studiando. Credo conveniente per l'interesse del fatto di darne qui una breve descrizione. L'embrione non era normale, l'estremità cefa- lica però era quella che si presentava più deformata. Il tronco e l'estremità caudale furono sezioliati in senso longitudinale. Nelle 378 e. GIACOMIKI sezioni che comprendevano l'estremità caudale e la parte termi- nale del canal midollare, subito al dissotto di questo, dall'ecto- derma, costituito da elementi ben conservati, partiva un cospicuo prolungamento, il quale si dirigeva in alto fino a mettersi in contatto colle estremità del canale midollare. Nella sua parte centrale presentava una cavità piena di nuclei intensamente co- loriti, identici a quelli notati nel nostro caso. Assumeva maggior sviluppo in senso trasversale, ma solo alla sua parte mediana era congiunto con un peduncolo alla lamina cornea. Fatte le debite proporzioni, questo prolungamento epiteliare, aveva gli identici rapporti colla cauda e col canal midollare di quello osservato nel nostro embrione ( Fig. 6' Cau) , e proba- bilmente essi hanno l'identico significato che ora non voglio di- scutere Malgrado la cauda non sia una regione indifferente per il nostro scopo, essendoché le connessioni tra l'ectoderma e le parti profonde, si riscontrano normalmente e forse non sono ancora tutte ben studiate, tuttavia questo secondo caso serve a confer- mare che l'ectoderma in date circostanze può mandare prolife- razioni verso le parti sottostanti, le quali proliferazioni possono talora rendersi indipendenti, e così rimaner là in mezzo al me- soderma od agli organi che da esso provengono dei gruppi cel- lulari d'origine ectodermica, sulla sorte dei quali noi non possiamo ancora dir nulla. Certo si è, che se venissero ben determinate le cause e le circostanze per cui si producono tali formazioni, e se venisse ben dimostrato come tali circostanze non sempre sono fatali per il normale svolgimento del futuro organismo, noi avremmo allora una prova inconcussa per sostenere la teoria dei germi cutanei in mezzo ad organi di provenienza esclusivamente mesodermica. E molti fatti che si osservano nell' ulteriore sviluppo avrebbero una facile e naturale spiegazione. Tutto ciò che siamo andati dicendo, se serve a dimostrare tutto l'interesse che noi possiamo trarre dallo studio delle forme anomale di sviluppo, se può dimostrarci ancora una certa indi- pendenza nello sviluppo delle primitive formazioni embrionarie, non vale però a spiegarci interamente la disposizione osservata nel nostro embrione. Le precedenti considerazioni sarebbero applicabili al caso nostro quando le proliferazioni ectodermiche si fossero manifestate ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 379 irregolarmente sulla superficie embrionaria. Nel fattispecie in- vece troviamo che esse avvengono solo lungo due linee laterali, limitrofe della regione dorsale e ventrale, che percorrono quasi l'intera lunghezza dell'embrione, che sono disposte simmetricamente mantenendo sempre gli stessi rapporti, e ripetendosi nello stesso modo per rispetto alle parti assili dell'embrione, corda dorsale e canale midollare. Questo modo di presentarsi merita certo tutta la nostra attenzione onde trovarne la ragione ed il significato. Ed innanzi tutto la disposizione non può essere puramente accidentale. Tutta la descrizione parla contro questa idea. La causa che ha agito doveva quindi essere influenzata da speciali circostanze, forse da ricordi filogenetici. Per quanto si voglia esser severi e rigorosi nella interpreta- zione di fatti anormalmente sviluppati dei primi periodi, non si può a meno di riconoscere nel nostro caso una disposizione seg- mentaria; vale a dire che le singole produzioni epiteliari hanno fra loro un intimo legame, devono essere considerate della stessa natura e devono essere prodotte da una identica causa. Se nella costituzione e nella successione dei singoli segmenti la disposi- zione non si presenta sempre in modo regolare ed uniforme, ciò è certo da imputarsi non solo al disturbato sviluppo, ma in specie allo stadio ed al periodo in cui era giunto. Esaminato in un pe- riodo più anteriore il nostro embrione, la particolarità si sarebbe presentata meglio evidente ; mentre se avesse continuato a rima- nere nel seno materno ancora per qualche tempo, l'involuzione degli elementi avrebbe fatto maggiori progressi. Poiché l'idea più semplice che noi possiamo farci dell'insieme della disposizione, si è che a destra ed a sinistra della linea mediana ai lati del canale midollare si trova una lamina epite- liare che possiamo considerare come continua e che si affonda nel mesoderma e dalla profondità di essa si distaccano prolun- gamenti epiteliari. Per avere un paragone si potrebbe ricordare il modo con cui si produce dal muro gingivale la lamina epi- teliare e da essa ne provengono i germi per lo smalto. Quale significato adunque possiamo noi dare a quella estesa produzione epiteliare ? Dobbiamo considerarle come manifestazione puramente individuale di un alterato processo di sviluppo, op- pure avrebbe essa rapporti od omologia con formazioni che si ri- scontrano in alcuni vertebrati? In breve dobbiamo spiegarla con la Paiolo fjia e colla Discendenxa. 380 e. GIACOMINI La risposta non è certo facile. E per rispondere convenien- temente a queste domande converrebbe entrare in lunghe discus- sioni per le quali fino ad ora non abbiamo una larga base di osservazione. Sarà meglio attendere quindi nuovi fatti prima di sollevare questioni così ardue, onde non compromettere Targo- mento. Intanto però , se noi non possiamo giungere ad afferrare il suo giusto significato, non possiamo trattenerci dal dire, come in presenza di questa disposizione la nostra mente ricorre agli Or- gani della linea laterale, che furono descritti in diversi animali ed in specie dal Balfour negli Elasmobranchi. Anche qui noi tro- viamo che la linea laterale si forma da una proliferazione lineare ectodermica, che si estende dalla regione del capo fino alla parte posteriore del tronco; e tenendo dietro alle modificazioni che essa subisce, troviamo molti punti di contatto colla nostra osserva- zione, non solo nell'insieme, ma anche nei particolari, per cui meriterebbe d'essere presa in considerazione questa supposizione, per quanto strana essa ci appaia a primo aspetto e per quanto urti le nostre cognizioni sulla costituzione normale dell'embrione umano e dei vertebrati superiori nei primi periodi. Ciò che avrebbe potuto portare un po' di luce nella questione che stiamo trattando, sarebbe stato il modo di comportarsi del sistema nervoso periferico rispetto alla lamina ed ai prolunga- menti epiteliari. Ma nel nostro esemplare esso non poteva essere riconosciuto in nessun punto. Ed a questo riguardo devo qui aggiungere una circostanza, l'esame delle sezioni del nostro rudimento embrionario ci ha di- mostrato come non esista traccia di vescicole uditive; malgrado che all'epoca in cui abbiamo supposto essere avvenuto l'arresto, queste dovessero essere già ben sviluppate ed anche isolate dal- Tectoderma. E sorprende ancora il non trovarne traccia, pensando come l'ectoderma dal quale provengono, si era mantenuto nel nostro caso in condizioni abbastanza normali od almeno fu l'ultimo a risentire l'influenza della causa morbosa. Ora se noi consideriamo come esatta la supposizione che la lamina epiteliare laterale del nostro embrione sia una formazione corrispondente alla linea laterale che si osserva in molti verte- brati inferiori, in allora non potrebbe forse considerarsi come rap- presentante dell'organo dell'udito l'estremità anteriore di questa, vale a dire la parte che si trova all'estremità cefalica, dove come ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 381 abbiamo veduto la lamina epiteliare si presenta meglio sviluppata, si dispone sotto forma di un solco evidente, e dove i prolunga- menti epiteliari nel mesoderma sono più voluminosi, piii estesi ed a sinistra divisi in due parti? Conforterebbe questa ipotesi Tidea di John Board, il quale appunto considera l'organo dell'udito dei vertebrati come una parte individualizzata del sistema degli organi sensitivi della linea laterale. Come si scorge per renderci ragione delle particolarità osser- vate nel nostro embrione , noi siamo condotti a fare ipotesi su ipotesi, le quali se possono per un momento sorridere alla nostra mente, non hanno per ora un fondamento veramente scientifico. Attendiamo perciò nuove osservazioni. Concludo quindi con le medesime parole, con le quali inco- minciava la mia prima comunicazione : noi siamo ancora lontani dal poter stabilire le leggi che regolano la produzione di così fatte anomalie, per ora lo scopo nostro deve essere più modesto, limi- tandoci alla descrizione esatta e precisa di quanto cade sotto la nostra osservazione, lasciando ad altra epoca, quando le descri- zioni si saranno moltiplicate, il trarre conclusioni , che sorgano spontanee dal confronto dei diversi casi, e che servano ad inter- pretare l'origine ed il significato di così frequenti disposizioni. E quando negli anatomici si sarà ingenerata la convinzione che gli arresti e le deviazioni dei primi stadi di sviluppo tanto del- l'uomo come degli animali, oppure quei prodotti che senza essere deformati vengono colpiti da morte prima della loro emissione, non devono essere considerati come materiali di rifiuto o tutto al più utilizzati come esercizio di studio, ma che meritano invece di essere oggetto di minute ed accurate ricerche , sollevando il loro studio questioni non solo istologiche ma morfologiche del mas- simo momento, io credo che in allora le nostre cognizioni su questo argomento avanzeraimo rapidamente. E se non si potesse ottenere altro risultato che quello di ben stabilire e precisare la condi- zione normale e fisiologica dell'embrione, non solo nella sua con- formazione esterna, ma ancora nel modo di presentarsi delle parti interne e degli elementi costitutivi, con ciò si sarà operato un reale progresso, poiché si eviteranno le lunghe e non sempre piacevoli discussioni che si rinnovano ad ogni nuovo embrione umano che compare nella scienza per determinare il suo stato normale o patologico. ,-.. . Eicordo a questo proposito l'embrione che il Pruschen h^ 3 82 e. GIACOMINI descritto in una lunga ed elaborata memoria. Io fui dei primi (nota a pag. 1 7 della mia prima comunicazione) a considerare questo embrione come non normale. Son lieto ora di veder con- fermata questa mia opinione da altri autori ed in specie dal His in una lettera al Prof. Bardeleben pubblicata neW Anatomischer An^eiger (1889, n. 1°). Kesterebbe ora a dire del processo per mezzo del quale avven- gono così gravi modificazioni o metamorfosi nella costituzione del- l'embrione, e delle cause capaci a determinarle ; ma essendo esse questioni troppo generali, per la soluzione delle quali ci manca ancora il conveniente materiale, possiamo senza alcun pregiudizio rimandarne la discussione ad altra circostanza. Intanto però dal poco che conosciamo appare manifesto che non tutti i fenomeni che si osservano sono un semplice effetto della morte del prodotto : molte parti vengono risparmiate, continuano per un certo tempo ancora a vivere e forse anche a svolgersi ; benché esse non rie - scano mai ad alcun risultato. Kiguardo alle cause voglio per ora notare, che recentemente per mezzo di sperimenti sul coniglio sono giunto a produrre delle forme atrofiche perfettamente identiche a quelle che siamo andati descrivendo. Questi tentativi sperimentali che io descriverò in una prossima comunicazione, potranno tornarci di qualche aiuto non solo per interpretare le anomalie di sviluppo dell'embrione umano, ma ancora per ben caratterizzare i processi per mezzo dei quali si produce la distruzione degli organi già formati. OSSERVAZIONE IV. Dallo stesso Dott. Acconci nel mattino del 17 gennaio ul- timo scorso io riceveva una piccola vescicola la quale era stata espulsa dall'utero la sera avanti. Fu conservata col solito pro- cesso del liquido picrosolforico ed alcool. La donna da cui proveniva era d'anni 27 di professione cu- citrice, lavorando quasi esclusivamente colla macchina da cucire. Era affetta da leggera endometrite cervicale. Menstruata a 15 anni, passò a marito a 23 anni. Ebbe due gravidanze, due parti e due puerperi regolari. Il primo parto a 24 anni il seconda a 26 anni. Allattò ambedue le volte. Dopo r ultimo allattamento, che fu protratto per 1 5 mesi, ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 383 fu menstruata regolarmente per 3 volte. Quindi avvenne la gra- vidanza dell'aborto attuale, l'ultima menstruazione finì agli 8 no- vembre. Al 15 gennaio incominciarono i fenomeni dell'aborto con per- dita abbondante di sangue, per cui fu chiamato il medico, il quale avendo trovato il collo uterino trasformato e dilatato estrasse col dito la vescicola che studieremo. Il puerperio decorse nor- male. La donna da qualche tempo soffriva di tosse. È esclusa ogni affezione sifilitica. L'età approssimativa dell'aborto sarebbe all' incirca di due mesi. Questi sono i dati clinici e ginecologici che ebbi dalla gentilezza del Dott. Acconci. Veniamo ora all'esame dell'ovulo ( Fig. 8"). Appena messo nel liquido picrosolforico essa ci appariva sotto forma di una vescicola ovulare, limitata da pareti sottilissime e perfettamente trasparenti. Misurava nella massima lunghezza 1 Y., centimetro. Verso la piccola estremità si notavano due sottili prolungamenti filiformi che sembravano villosità o brandelli di Corion. Sul fondo della grossa estremità appena fu messa nel liquido conservatore comparvero delle piccole macchiette opache irrego- larmente disposte. Si potevano considerare per l'aspetto che pre- sentavano come residuo della vescicola ombellicale. Esse erano applicate alla superficie esterna. Il contenuto della vescicola era formato esclusivamente da un liquido trasparente ed acqueo. La faccia interna della parete si presentava regolare, ed in nessun punto di essa si notavano particolarità le quali facessero credere all'esistenza di un em- brione 0 di un rudimento embrionario. Mancava quindi ogni traccia di resti embrionali tanto nella parete quanto nel liquido che riempie la cavità. A meglio caratterizzare questa formazione sarebbe stato di grande interesse l'esaminare le parti che furono espulse insieme 0 successivamente alla vescicola, onde vedere il modo di compor- tarsi delle altre membrane involgenti l'ovo. Ma non mi fu pos- sibile di ciò fare. Quel poco che ho potato esaminare del se- condo parto consisteva esclusivamente di grumi sanguigni di vo- lume diverso indipendenti e modellati, il che dimostrava come essi non avessero avuto più rapporto alcuno col prodotto del conce- pimento ; e fra essi non ho potuto riconoscere traccia di Corion 0 di Caduca. Alti della R Accad. - Pctrte Fisica, ecc. — Voi. NXIV. 2S 384 e. GIACOMINI Malgrado questa deficienza nella nostra osservazione, noi pos- siamo tuttavia considerare la vescicola come un piccolo sacco amniotico, nel quale il prodotto era completamente scomparso per difetto di sviluppo. L'aspetto esterno della presente vescicola rassomiglia in modo così distinto a quella descritta nella precedente comunicazione {2" Osservazione) clie non possiamo a meno di considerarla come identica, come identico deve essere stato il processo per cui essa si è distaccata dal Corion. Solo in una esisteva ancora traccia di embrione, mentre nel- l'altra manca aifatto. Se questa identità fosse dimostrata, sa- rebbe anche confermato quanto io diceva in allora che cioè il rudimento embrionale avrebbe finito per scomparire totalmente se esso avesse soggiornato ancora per qualche tempo nel seno materno. L'aspetto interno invece della nostra vescicola ci ricorda la disposizione della 1^ osservazione già descritta. Là come qui ab- biamo una vescicola a pareti sottili con contenuto liquido senza rudimento embrionarie. Basterebbe supporre, per spiegarne le dif- ferenze, che le vescicole che si sono originate dal Corion, ed al quale erano aderenti per un peduncolo, per il progressivo ingran- dimento, questo si fosse reso più sottile e più debole, in seguito si fosse rotto , in specie quando si iniziarono i primi sintomi dell'aborto, avendosi in tal modo una vescicola del tutto indipen- dente della sua primitiva origine. Queste sono le idee che ci vennero in mente ad un primo esame di questo aborto. Vedremo tosto se la intima costituzione della parete della vescicola può dar fondamento all'uno od al- l'altro di questi concetti. L'intera vescicola fu tutta utilizzata per l'esame microsco- pico. La piccola estremità fu distaccata dal resto, divisa in diverse parti, colorita con ematossilina, con borace carmino o con car- mino alluminato , e quindi distesa su un vetrino portaoggetti e chiusa in gomma d'Amar o glicerina. Dalla arossa estremità fu tolta la parte che conteneva quei punti opachi biancastri , colorita con borace carmino e divisa in oltre 400 sezioni che tutte furono conservate nell'ordine con cui vennero fatte. Altri piccoli tratti han subito lo stesso trat- tamento. L'esame delle sezioni è più istruttivo per dimostrare le ANOMALIE PI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 385 particolarità di struttura. Da esso noi possiamo dire che la co- stituzione è identica nei diversi punti. È più robusta la parete alla sua grossa estremità, ma questo maggior spessore dipende non da modificazioni nella costituzione ma da parti si aggiun- gono alla sua superficie esterna. Partendo dalla faccia interna e venendo alla esterna noi troviamo le seguenti parti. Tutta la faccia interna è rivestita da un unico strato di cellule che si presentano nelle sezioni forte- mente appiattite e fusiformi. I nuclei voluminosi , sferici , in- tensamente coloriti sporgono molto sulla superficie libera, e sono situati a distanza varia. Là dove l'intervallo è maggiore sono meno sporgenti e si allungano d'alquanto. Essi generalmente sono cir- condati da un protoplasma reticolato pochissimo colorato il quale costituisce una specie di alone incoloro che meglio si scorge nei preparati visti di fronte. Questa disposizione si manifesta nelle cellule che presentano il nucleo molto sporgente, nelle altre che sembrano più appiattite è meno visibile o manca affatto. Questo diverso modo di presentarsi dell'epitelio di rivestimento della ve- scicola è senza dubbio dovuto al diverso grado di distendimento che esso ha subito (Fig. 9% 1). Al disotto di questo strato che rappresenta l'epitelio della vescicola, se ne trova un secondo più robusto da 10 a 15 mi- cromil., il quale in gran parte si presenta completamente amorfo, jalino, poco colorito. In esso non si possono distinguere ne fibre, ne elementi cellulari. Ha l'aspetto di un sottile nastricino uni- formemente disposto che serve di sostegno alla parte epiteliare a cui esso appartiene (Fig. 9% 2). Segue un terzo strato continuo pure per tutta l'estensione della vescicola il quale è formato da cellule a aspetto endoteliare, leggermente appiattite e disposte generalmente in doppio ordine. Queste cellule si mostrano delicate con nucleo ovulare, meno co- lorito di quelle del rivestimento interno, ma talora più volumi- nose. Il protoplasma è finamente granulare, in alcuni tratti esso è l'unico rappresentante di questo strato poiché i nuclei non sono uniformemente sparsi (Fig. 9\ 3). Il doppio ordine di cellule appare evidente là dove i nuclei si corrispondono. In allora una cellula sembra applicata alla faccia esterna dello strato amorfo e l'altra situata più esterna- mente ed aderente allo strato che sussegue nel modo stesso con cui si comporterebbero elementi endoteliari. Ciò che distingue an- 380 (;. GIACOMINI Cora questo strato si è che le cellule non sono strettamente unite fra loro, ma si notano dei numerosi piccoli spazi fusiformi di- retti parallelamente alla superficie della vescicola, circoscritti da prolungamenti delle cellule, quasi fossero il residuo di cavità più ampie, scomparse o ridotte per l'avvicinarsi dei due strati cel- lulari. Quando si esaminano i lembi della vescicola distesi sul ve- trino colla faccia interna rivolta in alto, possono essere ben os- servate queste cellule subito al dissotto dello strato epiteliare, ed amorfo ; ed allora meglio possono essere stabiliti i contorni delle cellule i loro mutui rapporti, i prolungamenti che somministrano e le differenze che presentano paragonate col rivestimento epiteliare. Gli elementi che formano questo strato sono una dipendenza della lamina di connettivo che normalmente sostiene l'epitelio del- l'Amnios ; le cellule connettive invece di trovarsi poco numerose, sparse qua e là e divise da sostanza interposta finamente fibril- lare, qui si trovano accumulate nello straticello che abbiamo descritto, il quale divide la parete della vescicola in due parti ben distinte in tutta la sua estensione. Ali esterno di queste cellule si trova un quarto strato for- mato essenzialmente da sottili fibrille strettamente unite che de- corrono in diverso senso. Esso è generalmente meno robusto dello strato amorfo. Il limite interno servendo come di sostegno alle cellule del terzo strato è ben marcato , il limite esterno invece si va insensibilmente confondendo con un tratto piìi delicato della parete che si lascia facilmente smagliare, aumenta così lo spessore della parete, ed appare costituito da un tessuto reticolare, entro il quale si trovano qua e là piccole cellule rotondeggianti ana- loghe ai leucociti. Esso rappresenterebbe qui i residui di quella sostanza gelatiniforme che riempie lo spazio amnios-coriale. La superficie esterna della vescicola si presenta un po' irrego- lare. In molti punti di essa ed in specie verso la grossa estre- mità, si trovano fasci più o meno voluminosi di tessuto più com- patto, i quali da una loro estremità si dimostravano lacerati, e dall'altra dissociandosi si applicavano alla superfìcie della vescicola rinforzandone le pareti. Questo fatto era reso più dimostrativo con preparati visti di fronte. Questi fasci eran quelli che stabi- livano le connessioni tra la nostra vescicola e la faccia interna del corion e devono essere considerati come dipendenza del con- nettivo di quest'ultima membrana. ANOMALIE DI SVILUPPO ITELL'EMBRIONE UMANO 887 In un punto delle parti laterali della vescicola, in mezzo al tessuto reticolare nelle sezioni compariva un cordone abbastanza regolarmente cilindrico pieno completamente di elementi cellulari d'aspetto epiteliare con contorni ben marcati, il quale poteva essere seguito per un gran numero di sezioni, poi si dissociava e scom- pariva affatto. Questa disposizione deve senza dubbio essere inter- pretata come residuo del canale vitellino e forse anche dalla vescicale orabellicale. Questi sono in breve i risultati del nostro esame microscopico. Possiamo noi dire che essi corrispondano a quanto noi conosciamo sulla struttura delTAmnios? In verità troviamo qualche differenza. Siccome le descrizioni che vengono date di questo involucro fetale , per ciò che riguarda la sua intima costituzione , come pure per ciò che riguarda la sua formazione non sono completa- mente d'accordo; e siccome non sappiamo ancora bene la ragione di queste discordanze e non è ancora bene stabilito se l'Amnios si mantenga eguale nella disposizione delle sue parti costituivo dall'epoca in cui compare lino al termine della gravidanza, noi possiamo considerare le differenze riscontrate nel nostro caso, come variazioni accidentali dipendenti in principal modo dall'alterato processo di sviluppo. Se noi paragoniamo la struttura delle pareti della nostra vescicola con quella dell'amnios dell'embrioue che fu descritto nella 1* osservazione della precedente comunicazione, il quale anch'esso si era distaccato spontaneamente dal Corion , troviamo che in quest'ultimo la parete è più sottile, le cose sono piìi semplicemente disposte, mancando qui il sottile strato amorfo e lo strato di cel- lule connettive poste subito all'esterno di esso. Ma trattandosi qui non di parti nuove che si aggiungono alle pareti della vescicola, ma solo di modificazioni di quelle esistenti, essendoché questi due strati possono facilmente essere spiegati come un maggiore differen- ziarci del tessuto mesodermico che sostiene l'epitelio dell'amnios, d'origine ectodermica, fatto che può essere verificato in altri em- brioni del medesimo periodo di sviluppo, noi possiamo conchiudere che nel nostro caso si trattasse di un vero sacco amniotico, con mancanza dell'embrione. Resterebbe cosi bene stabilita la possibilità di poter riscontrare le membrane ovulari, che si formano in dipen- denza dell'embrione completamente vuote, senza alcun prodotto. Come ciò avvenga non è certo facile a comprendersi. La causa deve aver agito nei primissimi stadi , subito dopo che l'amnios B88 e. GlACOlaiNl si è ben costituito. Resosi allora indipendente, ha continuato per un certo tempo a svilupparsi malgrado Tembrione avesse cessato di partecipare alla vita generale e fosse entrato in un periodo di regresso. Sarebbe questo l'estremo grado di atrofia a cui può giun- gere un ovulo quando è disturbato nella sua evoluzione. Sperimentalmente nel coniglio io sono giunto a questi medesimi risultati. Operando su vescicole dal 7" air 8° giorno , limitando la nostra azione disturbatrice al solo embrione, e cercando il più possibile di non offendere le membrane, si può ottenere che queste continuino nel loro sviluppo mentre il prodotto si arresta e dopo pochi giorni non se ne trova più traccia. Queste esperienze sono poi doppiamente istruttive, essendoché ci dimostrano che vi esiste una stretta affinità tra le forme atro- fiche e nodulari da una parte e la mancanza di ogni rudimento embrionario dall'altra. Poiché mentre in alcune vescicole dello stesso utero era scomparsa ogni traccia di embrione, invece in quelle che precedevano o susseguivano esisteva ancora un rudi- mento embrionario talora appena percettibile e costituito nello stesso modo delle forme atrofiche. Le due osservazioni che siamo andati descrivendo in questa nota, le possiamo quindi considerare come due stadi del mede- simo processo che ha colpito l'embrione umano nelle primissime fasi del suo sviluppo. ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 389 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE FiG. 1. Rudimento embrionarie, grandezza naturale. FiG. 2. Embrione ingrandito 15 volte coll'embrioscopio di His, A e B. Depressioni sulle parti laterali dell'estre- mità cefalica unite fra loro nella parte profonda per mezzo di un prolungamento epiteliare. — M. 1° arco branchiale o mascellare superiore. — L. Depressione corrispondente alla lente cristallina. — F. Disposi- zione del fegato. — Cau Cauda.. — P. Funicolo om- bellicale. FiG. 3. Questa figura rappresenta la sezione 68% ingrandita 40 volte. CM. Canale midollare che si continua fino alla faccia ventrale ; verso il dorso la parete è ancora ben distinta, ma con decorso ondulato; ventralmente è ridotto ad un ammasso di piccoli elementi. L. Cristallino di destra. AB. Cordone epiteliare che sta sotto il prolun- gamento mascellare superiore del 1° arco branchiale. EE. Solchi ectodermici che si trovano ai lati della regione dorsale ; dalla profondità di questi solchi partono prolungamenti epiteliari che si approfondano nel mesoderma. FiG. 4. Sezione 17P. CM. Canale midollare. — Co — Corda dorsale. — A. Sezione di due vasi sanguigni. — Ve. Parte più anteriore della vescicola cerebrale anteriore. M. Estremità interne del 1*^ arco branchiale che stanno fondendosi insieme sulla linea mediana, cir- coscrivendo la depressione buccale. E. Cordone epiteliare che si è reso indipendente dalla lamina cornea. 390 e. GIACOMINI FiG. 5. Sezione 408\ — Corrisponde al punto in cui l'embrione aderisce alle membrane per mezzo del cordone om- bellicale. 1° Amnios, 2" Corion. — Vi. Spazio cir- colare tra le due membrane rivestite d'epitelio e che si continua in un canale (canale vitellino). Cau. Cauda. Qui si trova un prolungamento epi- teliare situato sulla linea mediana e subito sotto il punto in cui termina la corda dorsale ed il canale midollare. P. Funicolo ombellicale. PiG. 6. Sezione 280^. — In questa sezione si osservano da ambo i lati e simmetricamente disposti i prolunga- menti della lamina cornea EE. Nel prolungamento di destra si trova un vacuolo al centro del cor- done epiteliare. Fio. 7. Figura di costruzione rappresentante i prolungamenti epiteliari della lamina cornea di ambo i lati, l'enu- merazione indicata sulla linea mediana corrisponde al numero delle sezioni. FiG. 8. Ovulo dell'osservazione IV disegnato in grandezza naturale. FiG. 9. Sezione di un punto della parete per dimostrare la sua costituzione (Seiber. Ocu. n. 1, obiet. n. Y). 1. Epitelio della vescicola. 2. Strato ialino. 3. Strato di cellule connettive. 4. Strato esterno. L 'Accademico Segretario Giuseppe Basso. foBiHO Tip. Realb-Paratia. riACOMiNI - Anomalie di sviluppo dell'Embrione umano (Tav.lllJ ..„.„ma»^SSirM3i^-^ FigA Co Ficj. r; Flcj.B Ficf.S Fi(j.3 Fu,. 1 ' ^ff- '^ Fn/. 7 20 30 \ to ^rzr^ ^ 1 60 J 70 A 80 90 À 100 " à K r.o r ■^ 120 t K - 130 à A m_ -t B 160 -à y 180_ H 190 —^ . 200 4 210 - É ^^° ■ 230 1 240 •% 250 360 220 1 J Z8t> L ~1 SSO ^ j ,100 ¥ 310 r jM_ 340 B 350 _L 360 370 380 ^ La. Saliissolia .Torin SOMMARIO Classe di Scienze Fìsiclie, Matematiche e Naturali, ADUNANZA del 28 Aprile 1889 Pag, 351 Sacco — Il seno terziario di Moncalvo » 352 GiACOMiNi — Su alcune anomalie di sviluppo dell'embrione umano. Comunicazione seconda » 366 Torino - Tip. Roalo-raravi». ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI VoL. XXIV, Disp. 13% 1888-89 Classe di Scienze Fisielie, Matematiche e Naturali. TORINO ERMANNO LOESOHER Libraio della H. Accudumia duUu Scienze 391 CLASSE JM SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATUKALI Adunanza del 12 Maggio 1889. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ARIODANTE FABRETTI VICErRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, Lessona, Salvadori, Bruno, Basso, D'Ovid]o, Ferraris, Naccari , Mosso, Spezia, Girelli, GiACOMiNi, Camerano, Segre. Si dà lettura dell'atto verbale dell'adunanza precedente che viene approvato. Tra le pubblicazioni presentate in omaggio all'Accademia ven- gono segnalate le seguenti : « Conferenze di meteorologia e di fisica terrestre tenute in Venezia nel settembre 1888 dai Signori M. Del Gaizo, G. Gio- vanozzi ed 0. Zanotti Bianco, con prefazione del P. Francesco Denza. » Il Segretario dà comunicazione: 1" di una lettera circolare del Comitato ordinatore di un Congresso di Elettricità, che si terrà a Parigi in occasione della presente Esposizione universale, ed al quale sono invitati i Soci cultori degli Studi elettrici ; 2*^ di un manoscritto inviato in dono dal Signor E. De- Laurier di Parigi, col titolo: « Tìieories nouvelles des canses des maladies et des fcrmcntations. » Le letture e le comunicazioni si succedono nell'ordine che segue : 1" « Ricerche anatonio-fisiologiche sui tegumenti seminali delle Fapilionaceae »; Nota preventiva dei Dottori Oreste Mat- TiROLO e Luigi BuscALiONi, presentata dal Socio Girelli; .luì della R Accad. - Parie Fisica, ecc. — Voi. XXIV. 29 392 0. MATTIROLO E L. BUSCALIONI 2° « Nuove contribuzioni allo studio degli Arion euro- pei », del Signor Carlo Polloneea, presentate dal Socio Lessona ; 3" « Gontrihuto allo studio dell' accrescimento del tessuto connettivo ed in particolare della cornea e del tendine »; os- servazioni del Dott. Ignazio Salvigli, Assistente al Laboratorio di Patologia generale della R. Università di Torino, presentate dal Socio Mosso a nome del Socio Bizzozero; 4° « Gneis tormalinifero di Villar Focchiardo (Val di Susa) »; Cenni descrittivi del Dott. Giuseppe Piolti, Assistente al Museo di Mineralogia della R. Università di Torino, presentati dal Socio Spezia. LETTURE Ricerche anatomo- fisiologiche sui tegumenti seminali delle Papilionaceae ; Nota preventiva dei Dott. Oreste Mattirolo e Luigi Buscalioni La presente Nota ha per oggetto di esporre per sommi capi alcuni dei risultati principali che abbiamo ottenuti nello studio dei tegumenti seminali delle Papilionaceae, quale comunicazione preventiva di un lavoro che confidiamo poter pubblicare fra poco in disteso. I semi delle Papilionaceae in genere sono, come è noto, re- niformi. Sulla loro superficie concava si osservano tre organi spe- ciali, formanti in complesso un apparato che chiameremo ilare e che rispettivamente, basandoci sulle loro funzioni, indicheremo coi nomi di Micropilo, Chilario o Lamina ilare e Tubercoli gemini. II Micropilo corrisponde alla punta radicale dell'Embrione e rappresenta l'apertura del canale micropilare dell'ovulo. 11 Chilario è formato da due valve o labbra (1) capaci di movimenti, le quali limitano una fessura che conduce ad una cavità ripiena di un tessuto formato da corti elementi tracheidali, che dal Micropilo si estendono sino quasi ai tubercoli gemini. (1) Onde il nome che gli abbiamo dato. TEGUMENTI SEMINALI DELLE PAPILIONACEAE 393 Questi ultimi sono rappresentati da due prominenze accop- piate lungo la linea mediana dell'apparato ilare e diverse assai nel modo di sviluppo e nell'intima struttura a seconda dei generi, come si dirà in seguito. Fra il Chilario ed i TtihercoU entra nel tegumento il Funi- colo indipendente in origine dal Chilario, diversamente a quanto finora era stato creduto. Della residua porzione del tegumento non ci occuperemo per ora, perchè già in gran parte descritta dagli Autori. Il tegumento consta di parecchi strati rivestiti all'esterno da una membrana che può considerarsi analoga alla cuticola. Mentre questa, nel maggior numero dei generi, si presenta molto sottile, cosicché occorrono adatti mezzi microchimici per metterla in evi- denza, in alcuni generi invece {Medicago, Cicey\ ecc.) è rinforzata da uno strato cellulosico continuo ; solo nelle varie specie di Baptisia, caso unico per quanto possiamo sapere finora osservato, questa specie di cuticola è infiltrata da depositi granulari di lignina. 11 rivestimento cuticolare cessa sulle cellule che circondano le aperture, perdendosi gradatamente negli orifizi. L'estrema sottigliezza di questa membrana e la frequente sua interruzione valgono a dimostrare che nelle Papilionaceae la cuticola non può in generale formare un efficace apparato di pro- tezione, il quale è invece dato dalla Linea lucida decorrente nello strato a cellule malpighiane. Le cellule malpighiane, già studiate da uno di noi (1) nelle Papilionaccnc sono molto svilu])pate e presentano un lume cellulare allargato nella parte basale o interna dell'elemento, che si risolve nella porzione esterna in numerosi canalicoli. Nel lume cellulare si notano residui di plasma e di corpi clorofillari, pigmenti tan- niferi varii e costantemente un residuo di nucleo situato a metà circa della cavità. Crediamo utile insistere sulla presenza del residuo nucleare nelle cellule malpighiane , poiché fu questo dal Beck (2) de- scritto come un corpo siliceo. La determinazione della vera (1) 0. Ma.ttirolo, La linea lucida nelle cellule malpighiane degli integu- menti seminali. Memoria della R. Accademia delle Scienze di Torino. Serie II, tom. XXXVII. (2) Beck, Yergleichende Anatomie der Samen von Vida unrf Ervum,pag. 548. Sitzungsb. d. K. K. Akademie der Wissensch. Wien 1878, voi. LXXVII. 394 0. MATTIKOLO E L. BUSCALIONl natura del corpo in parola fa da noi ottenuta tanto per via mi- crochimica (acido fluoridrico, sostanze coloranti nucleari, incene- rimento, ecc.), quanto per via organogenica. La sostanza della membrana cellulare è cellulosica; la linea lucida è lignina modificata (V. loc. cit.). Le cellule malpighiane in corrispondenza del Chilario sono rinforzate sulla superficie esterna da un secondo strato di cellule e da resti del tessuto di separazione entrambi di emanazione funicolare. In corrispondenza dei Tubercoli gemini le malpighiane si allungano enormemente ed arcuandosi verso la linea mediana di contatto circoscrivono una fessura la cui presenza è costante nei diversi generi. I canalicoli in cui si risolve il residuante lume cellulare verso l'esterno, terminano sotto la cuticola attraversando la linea lucida, la quale, come dimostrano gli esperimenti, sostituisce o rinforza l'azione della cuticola nella protezione del seme; la linea lucida si riscontra in tutti i generi. Pare che i canalicoli terminino liberamente al disotto degli strati cuticolari, non avendo le cellule malpighiane una parete propria verso l'esterno. La descrizione della forma e dello sviluppo delle malpighiane verrà fatta nel lavoro generale. Sotto lo strato malpighiano si trovano le così dette cellule a colonna sparse in tutto il tegumento meno che ?,\AV apparato ilare dove sono sostituite da elementi cubici che fanno corpo col tessuto sottostante ; contengono granuli plasmatici e clorofillari, residui nucleari, pigmenti tannici e qualche volta cristalli di os- salato di calce [Phaseoliis). La membrana è cellulosica, ma ricoperta esternamente da un rivestimento [ausici eichmg) qualche volta lignificato che ricopre i grandi spazii interposti fra le colonne. I tessuti profondi variano nella loro struttura a seconda che si esaminano nei diversi punti dell'area ilare o nel restante te- gumento. Sull'area ilare, senza entrare in dettagli, si può affermare che lateralmente al Chilario, al Micropilo ed ai Tubercoli si osservano strati di cellule irregolarmente ramificate e per lo più pigmentate, le quali, mentre verso la superficie del tegumento si addensano in tessuto compatto, profondamente danno origine, as- TEGUMENTI SEMINALI DELLE PAPILIONACEAE 395 sottigliando le pareti, a cellule parenchimatose più o meno schiac- ciate, nello spessore del quale strato decorrono i rami del fascio funicolare. In corrispondenza dei Tubercoli gemini, le cellule ramificate si modificano profondamente per costituire il corpo dell'organo. Le cellule perdono i prolungamenti e si stipano in un tessuto compatto, il più delle volte pigmentato, a pareti cellulari ispes- site. 11 numero degli strati e la forma degli elementi varia a seconda dei generi. Occorre però notare che in alcuni casi i tubercoli si trovano alquanto discosti dall'area ilare, incuneati nel tessuto parenchi- matose che costituisce la rimanente porzione del tegumento. In questo caso essi possono esser rappresentati solamente dalle cellule malpighiane allungantisi a spese dei tessuti sottostanti che re- stano alquanto schiacciati ; oppure ha luogo una contemporanea formazione di un tessuto speciale a cellule più o meno pigmen- tate-tanniche. Particolarità notevolissima degli elementi ramificati dell'area ilare è quella di presentare in ispecie sulle ramificazioni e sulle fronti di contatto fra cellula e cellula, delle prominenze baston- ciniformi, capitate od irregolari, analoghe chimicamente e mor- fologicamente a quelle che finora si conoscono esclusive degli spazi intercellulari delle Marattiacee in genere (1). Il rivestimento degli spazi intercellulari è costantemente for- mato da due strati ; l'esterno, estremamente sottile, tappezza tutta la superficie dello spazio intercellulare passando al di sopra dei processi a bastoncino. La sostanza di cui è composto è affine alle sostanze che compongono la lamella mediana (mittella- melle) ; l'interno, che forma il corpo dei processi e costituisce pure la parete divisoria fra cellula e cellula e l'anello che circonda l'estremità delle braccia cellulari, è dovuto ad una so- stanza che ha pure stretti rapporti colle mucilagini. Si distingue però dall'esterno per alcuni caratteri microchimici. Questi due strati si continuano colla parete degli elementi la quale è di natura cellulosica più o meno rigonfiabile. Solo in alcuni casi trattata con fluoroglucina ed acido cloridrico dà, nel (1) Lo studio di queste curiose formazioni sarà oggetto di una Nota da pubblicarsi quanto prima nella Malpighia. 396 0, MATTIROLO E L. BUSCALIONI tessuto che è interposto fra la punta radicale e il fondo della cavità micropilare, la reazione della lignina. Cade qui in acconcio di notare un fatto che crediamo im- portante (già descritto da uno di noi nel tegumento del genere Tilia (1) che riscontrammo nelle cellule ramificate di alcuni generi. Si tratta di processi irregolari partenti dalle membrane e svi- luppantisi neirinterno della cavità cellulare, i quali colla definitiva evoluzione delle cellule si risolvono in una massa omogenea pigmen- tata di natura suberosa e che abbiamo potuto riconoscere nello stesso tempo tannifera. Il fascio funicolare che in alcuni generi {Vida, Faba, Pha- seoìus, Pisum, ecc.) è sempre nettamente separato dal Chilo.rio, mercè un tessuto di cellule a pareti sottili, in altri generi poggia direttamente contro a quest' organo per cui riesce malagevole il distinguere gli elementi di spettanza funicolare da quelli di per- tinenza chilariale. La disposizione però reticolo-spiralata delle punteggiature vasali del funicolo, la maggior lunghezza dei vasi e la maggior sottigliezza loro, valgono a farli distinguere dai tracheidi del Chi- ìario ; a questi si aggiungano i criteri organogenetici che stabi- liscono la perfetta indipendenza di queste due formazioni, di cui Tuna, il Funicolo, è già presente nell' ovulo prima della feconda- zione, mentre l'altra si sviluppa assai tardi. Nella parte cribrosa del funicolo, orientata verso i tubercoli gemmi, i numerosi tubi cribrosi hanno i cribi coperti da un callo molto sviluppato. Questo fatto, che noi crediamo poter ritenere non ancora osservato, è importante sia per la stagione in cui si sviluppa il callo, sia per le interpretazioni fisiologiche che si pos- sono dare. Tale è in generale la struttura del tegumento sull'area ilare, al quale aderisce l'albume che noi possiamo affermare di aver costantemente riscontrato nelle Papilionaceae o abbondantemente sviluppato, oppure ridotto a residui contenuti nella sacca radicale e nella fessura intercotiledonare. (1) 0. MiTTiROLO, Di un nuovo processo di suherificazione nei tegumenti seminali del gen. TiMa L. Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino, voi. XX — ^ Sullo sviluppo e sulla natura dei tegumenti seminali del gen. Tilia L Nuovo giornale botanico italiano, voi. XVII, ottobre 1885 (con tre tavole) TEGUMENTI SEMINALI DELLE PAPILIONACEAE 397 Ecco ora i risultati ottenuti dallo studio fisiologico. Per quanto ha rapporto all'apparato ilare bisogna distinguere prima di tutto che i vari organi che lo compongono godono di particolari funzioni. Il micropilo stabilisce la via di comunicazione più facile ai gaz e ai liquidi che si portano nell'interno del seme ; quantunque questi possano pure attraversare direttamente le pareti tegumentali, come lo provarono estesi esperimenti con differenti liquidi pre- cipitabili, colorati, iniezioni, ecc. , ecc. Il canale micropilare conduce direttamente alla punta della radice, la quale è sempre rinchiusa in una ripiegatura del te- gumento. Il foro micropilare è suscettibile di movimenti di chiusura e di apertura in relazione alle condizioni igrometriche. Si chiude (mai interamente però) colla secchezza, mentre si allarga coli' umidità. Il movimento succede per rigonfiamento od essiccazione delle malpighiane che ne circoscrivono l'apertura. Il rigonfiamento per imbibizione amplia necessariamente l'a- pertura, come succede in un anello metallico che si allarghi col calore. Il passaggio dei gaz venne constatato coi vapori di iodio e di acido osmico e col seguente apparecchio manometrico. In recipienti a larga base e poco alti venivano impiantati, in uno strato di finissimi granuli di vetro, circa 50 semi di Fagiolo {Phaseolns muìtiflorus. Lam.) tenuti col micropilo in alto e vice- versa in altro identico recipiente, la stessa quantità di semi, nelle identiche condizioni, veniva impiantata col micropilo in basso. Occorre avvertire che tanto il Glulario, quanto i Tubercoli venivano dapprima ermeticamente chiusi con strati di vernice e che le condizioni termometriche venivano in modo rigoroso investigate e confrontate con altro identico apparecchio privo di semi. A queste scatole si adattavano coperchi a chiusura ermetica muniti di tubi manometrici, graduati, orizzontali. In tutti i recipienti si versava acqua, avente identica tem- peratura, sino a metà altezza delle faccie laterali dei semi. Versato il liquido e chiusi i recipienti, nella cassetta conte- nente i semi col micropilo in alto , non avevano luogo sposta- menti notevoli dell'indice manometrico, mentre nell'altra cassetta 398 0. MATTIKOLO E L. BUSCALIONI dove i semi pescavano col micropilo nel liquido, l'indice mano- metrico seguiva la prima legge di JDetmer (1). L'indice di confronto della terza cassetta mostrava solo deboli oscillazioni dovute alle variazioni di temperatura. Viceversa , nei semi con micropilo in alto , ma chiuso con vernice, nei quali perciò non si effettuava l'assorbimento dei gaz, si notavano le stesse variazioni dell' indice che si osservano nei semi coir apparato ilare pescante nel liquido. I particolari dell'esperienza e le curve grafiche ottenute con questi apparecchi verranno consegnate nel nostro lavoro. I semi tenuti sospesi nell'acqua in modo che il micropilo peschi direttamente nel liquido , germinano molto più presto di quelli tenuti col micropilo alto fuori di acqua. II Chilario ha funzione esclusivamente meccanica. Quest'or- gano nuovo e finora considerato come un fascio vascolare è , come abbiamo detto, indipendente invece dal fascio vasaio fu- nicolare. Situato tra il Micropilo ed il Funicolo rappresenta la macchia ilare 0 Yilo degli Autori. L'apertura del Chilario, composto, come si è detto, è formato da due labbra al disopra delle quali si incontrano ancora gli elementi del tessuto di separazione residuo della espansione fu- nicolare. Le labbra constano dello strato a cellule malpighiane e di uno strato di rinforzo dato da cellule simili a queste, aventi però una origine funicolare. La rima lineare, visibilissima in molti generi, conduce ad un tessuto laminare a sezione trasversale piriforme, composto di corti tracheidi a punteggiature areolari. Una guaina di cellule a pareti sottili non punteggiate, lo isola dal tessuto a cellule ramificate che lo attornia. La rima è suscettibile di movimenti di chiusura e di aper- tura che si effettuano però con meccanesimo opposto a quello del Micropilo. Colla umidità si ha la chiusura ermetica ; in quanto che liquidi acquosi colorati o precipitabili non riescono ad oltrepassare la barriera opposta dalla chiusura delle valve, se non dopo una immersione prolungata per molto tempo. Facendo (Ij D' W. Detmer, Das pflamenphysiologische Prakticum. Jena, 1888. TEGUMENTI SEMINALI DELLE PAPILIONACEAE 399 agire invece sopra semi secchi sostanze coloranti sciolte in alcohol assoluto o vapori di iodio od acido osmico , essi l'attraversano con facilità e colorano tutto il sistema dei tracheidi. Sotto al microscopio, a debole ingrandimento sia coli' aiuto del tavolo di Schultze, sia con alcohol assoluto, glicerina, acqua, ecc. usate alternativamente, si osservano movimenti regolari di chiu- sura e di apertura. Adatte incisioni eliminatrici, fatte sotto al microscopio, pro- vano che al movimento concorre potentemente, oltre al rigonfia- mento degli elementi, anche la linea lucida particolarmente inspes- sita sulle labbra chilariane. Quale è il valore fisiologico del Chilario ? Da una parte il fenomeno di apertura e di chiusura e la forma dell'organo fareb- bero pensare ad un organo respiratorio; d'altra parte, i più svariati esperimenti al riguardo provano che nel Chilario non si effettuano né scambi di gas per diffusione o per aspirazione, né assorbimento di liquidi. 11 Chilario é di gran lunga più resistente allallungamento che non i tessuti tegumentali. Questa sua proprietà ne determina la funzione; la quale consiste essenzialmente in ciò, che a mezzo della lamina chilariana, difesa dalla umidità per i movimenti delle labbra e per natura stessa del tessuto di cui si compone , poco suscettibile di deformazioni igroscopiche, si mantengono fissi, du- rante il rigonfiarsi del seme, i rapporti della punta radicale colla sacca tegumentale. Inoltre , a causa deir ineguale estensibilità del tegumento e della lamina, quello viene costretto cosi fatalmente a rompersi, nell'atto dell'uscita della radice, a poca distanza dal Micropilo in un punto determinato da caratteri anatomici. I tiirhercoli gemini hanno, come si é detto, valore anato- mico di ghiandole. La ricchezza del contenuto in tannino, la for- mazione dei processi suberosi tanniferi, la presenza di alcuni corpi foggiati a guisa, diremo noi, di sferiti tanniche, ci lasciano fondato sospetto che si tratti di un vero apparato ghiandolare tannifero. II secreto verrebbe utilizzato a difesa del seme, corrispon ■ dendo molti fatti colle recenti scoperte dell'illustre Professore Stahl (1). La questione é però ancora allo studio. (1; E. Stahl, Pflanzen und Schnecken, ein biologische Sludie. Jena, 1888. 400 0. MATTIROLO E L. BUSPALIONI - TEGUMENTI SEMINALI La funzione generale del tegumento seminale è funzione stret- tamente protettrice sotto tutti gli aspetti ; qui non staremo a ricordare i vari esperimenti fatti da altri e da noi essendo suffi- cente citare i seguenti, i quali aprono adito a considerazione fisio- logiche affatto nuove, che invalidano molti esperimenti fatti sulla influenza dei liquidi settici sulle germinazione. Nei semi di Phaseoìus tenuti in soluzioni di sublimato cor- rosivo all' 1 :1000 e più, col micropilo in basso, la germinazione non ha luogo, perchè il liquido settico penetrando rapidamente nel seme lo uccide. Se invece si tengono i semi nella stessa solu- zione, ma col micropilo fuori del liquido, questo attraversando lentamente il tegumento viene filtrato e i semi germinano. Appena però la punta radicale viene, sotto le influenze vitali, in contatto del liquido, incontanente muore. I liquidi colorati sono filtrati dal tegumento (purché non passino attraverso il micropilo) e l'embrione si imbeve di acqua limpida. Esperienze analoghe che continuiamo con soluzioni di alcaloidi diversi, saggiati poi sugli animali, ci convincono di queste nostre deduzioni. In questa nota preventiva, a scanso di qualunque equivoco, dichiariamo, di aver riportato esclusivamente i dati raccolti dalle nostre osservazioni, non consentendoci ne l'indole, ne la mole del lavoro la discussione delle differenti opinioni raccolte in una im- mensa letteratura , la quale illustra un argomento intimamente legato ai fenomeni ed alle condizioni che hanno influenza sulla germinazione. K. Istituto botanico della Università. Torino, 6 Maggio 1889. 401 Nuove coìitrihmioni allo studio degìi Arion europei: Nota di Carlo Pollonera Due anni or sono pubblicavo negli Atti di questa stessa Accademia il risultato dei miei studi sopra un certo numero di specie del genere Arion (1), particolarmente del Piemonte, della Francia e delPEuropa settentrionale. Descrivevo pure una specie del Portogallo, ma deploravo appunto di non possederne altra di tutta la penisola iberica. Dopo quel tempo invece, in grazia di alcuni cortesissimi corrispondenti potei avere un discreto nu- mero di Arion portogbesi e qualcuno spagnuolo procuratimi dai signori De-Chia di Barcellona , Nobre di Oporto , Henriques e Moller di Coimbra, ai quali sono ben lieto di potere qui espri- mere pubblicamente la mia riconoscenza. Il centro della Spagna è completamente sconosciuto per quel che riguarda i molluschi nudi, che, dalle relazioni dei miei cor- rispondenti spagnuoli , sembrano essere colà scarsissimi. Nella Catalogna, a Barcellona e lungo il litorale si trovano soltanto dei Limacidi , mentre gli Arion non si scostano dalle regioni montuose dipendenti dalla catena dei Pirenei dove ne trovò il sig. Fagot (2) ; ed il sig. De-Chia mi mandò un buon numero di A. rufus L. raccolti ad Olot, della quale località è citato insieme dlVhortensis dal D. Salvanà in un suo recente lavoro (3). Nel Portogallo invece il genere Arion ha uno sviluppo molto maggiore tanto in individui quanto in specie, e dalle regioni più montuose scende fino al litorale oceanico. (1) C. Pollonera, Specie nuove o mal conosciute di Arion europei. Atti Acc. Se. di Torino, voi. XXII, 1887. (2) Contrib. à la faune malac. de Catalogne , in Annales de Malacologie , 1884, p 170. (3) Contrib. a la fauna malac. de los Pirin. catal. , 1888, p. 20. 402 CAKLO POLLONEKA 1. Specie portoghesi del gruppo delFArion nifus. Il sig. A. Morelet (1) cita tre specie di questo gruppo vi- venti in Portogallo, esse sono: A. ater Fer., A. sulcatus Mo- relet n. sp., A. rufus Fer. In quest'ultima specie le due varietà |3 e ^ distinte dalla forma tipica per una fascia scura su ciascun lato del dorso. Queste varietà fasciate furono separate specifica- mente dall'-^. rufus dal sig. Mabille col nome di A. ìusitanicus. In seguito il D"" Siraroth descriveva l'-^. Jiispanicus, che sebbene molto piccolo di statura, pure appartiene indubbiamente a questo gruppo. Infine io nel mio precedente lavoro su questo argomento descrissi VA. da-Silvae che collega per le dimensioni l'-^. /«'- spanicus alle specie grandi sopracitate. Eccettuato VA. hispanwus , che del resto non può venir confuso con nessuna altra specie, io ho potuto esaminare tutte le forme sopracitate e ne sono venuto a queste conclusioni : 1° che VA. ater di Morelet è ben diverso dall'-^. ater L. della Scandinavia e che quindi deve ricevere un altro nome; 2" che VA. rufus del Portogallo è diverso da quello della Francia e dell'Europa settentrionale e centrale; 3" che il passaggio tra il supposto A. rufus e VA. lusitanicus Mabille si produce cosi insensibilmente che non è possibile separare le forme fasciate da quelle unicolori, e che quindi 1'^. ìusitanicus Mah. è per- fettamente sinonimo di A. rufus Morelet. Ciò premesso passo all'esame di queste varie specie. Arion sulcatus Morelet. Arion sulcatus Morelet, Descr. moli, du Portugal, 1845, p. 28, pi. T. A. statura insignis^ valide rugosus. Verrucac dorsales carinatae, elatae, transverse sulcatae, sulcis latis profundisque separatae. Clypeus granulosus et tortuose sulculatus. JDorsum {i) Descript, des moli. terr. et fluv. du Portugal, 1845. CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DEGLI ARION EUROPEI 403 et clypeus castaneo-nigrescentes unicolores ; caput et tentacula nigro-ardesiaci ; jìedis margo nigro-ardesiacus, transverse atro- lineolatus ; solca nigro-ardesiaca unicolor vel medio pallidior. Mucus decolorafus. Long. max. 15-16 cent. Eiporto qui le parole di Morelet riguardo questa specie. « Les rides larges et profondes qui sillonnent ce mollusque le distinguent au premier aspect et ne permettent pas de le confondre, malgré l'analogie d'un certain nombre de caractères, avec le Limax ater de Draparnaud. La cuirasse est chagrinée et les sillons sont ornés eux-mèmes d'une vermiculation très fine, dont l'aspect varie selon la position de l'animai. Dans l'exten- sion, ce sont des rides grenues, rarement anastomosées, qui ac- compagnent les ondulations du corps ; lorsqu'il se contraete, ce sont des sillons profonds brisés à angle aigu, traversés par des rides perpendiculaires et superficielles. La marge du pian loco- moteur est étroite et rayonnée; la cavité branchiale située en avant et fortement dilatée ; la taille , généralement constante , atteint 15 ou 16 centimètres dans la plus grande extension. « Le manteau de ce mollusque est d'un noir brun, quelque- fois bleuàtre, qui s'éclaircit sur la marge du pian locomoteur et prend une couleur marron. La cuirasse offre dans son épais- seur une poussière calcaire qui diffère par son extréme division des concrétions irrégulières de VArion ater. Le mucus est blanc- jaunàtre. » Questa è certamente la più grossa specie di Arion finora conosciuta. Io ne ebbi due soli esemplari; uno di Oporto e l'altro di Coimbra che variavano alquanto per l'intensità della colora- zione. Quello di Coimbra era più scuro che quello figurato da Morelet, ed appariva ancora più scuro dopo immerso nell'alcool, cosicché le lineette nere del margine esterno del piede si vede- vano appena e la suola appariva quasi unicolore. Quello invece di Oporto era leggermente più chiaro che la figura di Morelet, le lineette nere del margine esterno del piede si vedevano be- nissimo e si prolungavano sulle zone laterali della suola che erano più scure che la zona centrale. La figura data dal Morelet non è molto esatta poiché fa- rebbe supporre una stretta zona dorsale mediana più chiara , della quale non v'è traccia né nella descrizione dello stesso Au- tore, né negli animali da me veduti. Inoltre il margine esterno 404 CARLO POLLONERA del piede sembra ornato di sottilissime lineette nere di uguale grossezza, mentre in realtà queste lineette sono assai più marcate ed alternate una più grossa ed una più sottile come nell'-^. ruftis. Il muco, quasi incoloro nell'animale vivo, allorché questo viene immerso nell'alcool si mostra di un bianco gialliccio sporco sul dorso e giallo sul margine esterno del piede. Arion Nobrei Pollonera. Fig. 25-26. Arion atcr var. a Morelet, Descr. moli, du Port., 1845, p. 27 (non L.). Morelet oltre la suddetta var. a di Draparnaud {aterrinius totus) cita una var. £ (nigricans, margine nigro) trovata insieme a quella nella provincia di Tras-os-Montes, e la var. y di Dra- parnaud {nigricans, margine liitescente aut coccineo) dei con- torni di Monchique nel mezzodì del Portogallo. Io ho ricevuto ripetutamente da Coirabra e contorni, da Bussaco e da Oporto soltanto la prima di queste tre forme , e 1' esame degli organi sessuali, me la fanno considerare come specie perfettamente di- stinta daH'J.. ater L. di Svezia. Dovendo dare un nuovo nome a questa specie, son lieto di poterla dedicare al distinto mala- cologo portoghese sig. Augusto Nobre. A. niagnus, rugosus. Verrucae dorsales crebrae, carinatae, subundiilatae, sulcis profundis et angustis separatae. Clypeus minute granuJosits , postice rotundato-suhtruncatus , apertura pulmonea perantica. Omnino aterrimus, quandoque tamcn pedis margo pallidior lineoìis transversis aterrimis notatus. Solea atra unicolor, vel zona mediana ardesiaca leviter paUidiore. Mucus decoloratus. Long. max. 12 cent. Nella massima parte degli individui il colore è tutto neris- simo, cosicché sul margine esterno del piede non si possono scor- gere lineette trasversali, soltanto spesso il cappuccio è di un nero più caldo mentre il dorso e la . testa sono di un nero un po' azzurrino. Qualche rara volta il margine del piede è di un nero meno iatenso o grigio-scuro, ed allora si possono scorgere distinta- mente le lineette nere trasversali. In questo la suola è pure meno nera nella sua zona mediana che prende una tinta ardesiaca. CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DEGLI ARION EUROPEI 405 Il muco è incoloro nell'animale vivo; immerso questo nel- l'alcool emette dal dorso un muco bianco e dal margine del piede giallo chiaro. Dall'A (iter L. , benissimo figurato da Malm (1) , si di- stingue VA. Nohrei per la suola interamente nera, o per la tinta sempre molto scura della zona mediana, mentre in quella specie la zona mediana della suola è sempre pallida mentre le due zone laterali sono nerissime. Inoltre, conservato in alcool, VA, Nohrei prende una tinta di nero-azzurro, mentre 1"^. ater è di un nero schietto intensissimo. UÀ. Nohrei si distingue poi dall' -4. sulcatus per le sue dimensioni minori, per le rugosità del dorso piìi serrate, per la sua colorazione più scura , e per la zona centrale della suola sempre molto scura. La varietà s di Morelet credo appartenga a questa stessa specie; ma dubito assai che la var. y citata dallo stesso Autore sia invece diversa, ciò mi fa sospettare il margine del suo piede vivamente colorato {lutescente aut coccineo) e la grande lonta- nanza delle regioni abitate dalle due varietà in questione. Arion lusitanicus Mabille. Fig. 1 a 6. Arion rufus Morelet, Descr. moli. Port., 1845, p. 29 (non L.). » rufus et lusitanicus Mabille, Kev. Zool., 1868, p. 134. Morelet parlando di questa specie, paragonandola alla forma francese dell'ai, rufus, dice quanto segue: « La forme plus allongée de cet Arion, la disposition particulière du tissu ca- tane, dont les rides plus profondes et plus courtes enveloppent le manteau d'un réseau de papilles anguleuses très saillantes dans la contraction, les fascies dont la variété la plus abon- dante est ornée, quand VA. rufus en est toujours prive, m'out engagé long-temps à l'envisager comme une espèce distincte. » Il passaggio tra le varietà fasciate e quelle unicolori si fa, come neir^. suhfuscus, per mezzo di tante gradazioni che non è possibile separare queste varietà aggruppandole in due specie (1) Malm, Skandinav. Land-Sniglar, 1870, pi. 1, fig. 1. 406 CARLO rOLLONERA distinte come propose il Mabille. Siccome però i caratteri clel- Tapparato sessuale dimostrano che il supposto A. rufus del Portogallo non è identico a quello dell'Europa centrale, così io stimo si debba adottare il nome di A. hisitanicus per le forme portoghesi ritenendo come tipo la forma fasciata. Le varietà unicolori sono esternamente molto somiglianti al- l'J.. rufus, poiché oltre la forma più snella dell'animale nella massima distensione, e le verrucosità del dorso più brevi (carat- teri sempre ben difficili da apprezzarsi) , io non ci vedo altra diversità che la colorazione meno viva del margine esterno del piede che nell'^. liisitanicus trovai sempre di un grigio poco colorato (anche nelle varietà meno scure) mentre nell'J.. rufus è per lo più la parte più vivacemente colorata di tutto il corpo. Il colore di questa specie varia dal rosso mattone, all'oli- vaceo- giallastro, olivaceo-ardesiaco, bruno e castagno più o meno scuro. Le fascio sono talora ben visibìli, ma non mai nettamente limitate, talora appena sensibili ; esse mancano sempre sul cap- puccio negli individui adulti. Il muco è incoloro nell' animale vivo , ma immerso questo nell'alcool si vede che è bianco sporco appena giallognolo sul dorso, e d'un bel giallo vivo sul margine del piede. La suola è più chiara che nelle due specie precedenti , è cinereo-olivacea , più scura verso il margine, e sulle sue zone laterali vengono a perdersi le lineette scure dal margine esterno del piede. Ho ricevuto questa specie da Oporto, da Coimbra, da Pereira presso Montemor-o-Velho. In alcuni individui giovanissimi, le fascio scure sono nettis- sime e si ripetono sul cappuccio, mentre negli adulti il cappuccio ne è privo, almeno negli individui da me esaminati. Inoltre negli individui giovani il muco del dorso (immergendo l'animale nel- l'alcool) è più giallo che iu quelli adulti. Anche conservata in alcool questa specie si distinguerà dal- VA. Nobrei per la sua colorazione meno scura, non nera, tal- volta ornata di fascio dorsali scure , e sopratutto per la zona mediana della suola assai più chiara che le laterali. CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DEGLI ARION EUROPEI 407 Arion Da-Silvae Pollonera. Arion Da-Silvae Pollonera, Specie nuove, ecc. di Arion europ., in Atti Acc. Se, Torino 1887, fig. 8, 9, 10. Anzitutto debbo far notare che la sopracitata mia figura 8 fu nell'esecuzione croraolitografica completamente travisata per quanto riguarda il colore, il quale in realtà è di un nero in- tenso come neir^. Nohrei e non di un cinereo-nerastro come è nella suddetta figura. li' A. Ba-Siìvae si distingue dall'^. Nohrei per le dimen- sioni minori , infatti mentre quest' ultimo (ucciso e conservato nell'alcool) misura 6 centimetri, quello ne misura appena 4, cioè Vg di meno. Inoltre nell'J.. Da Siìvae la suola è meno scura nelle zone laterali e la zona mediana più chiara ancora si distingue bene tra le altre due , infine il cappuccio è (nel- l'unico esemplare che conosco) assai più troncato posteriormente. Non conosco la località esatta in cui fu trovato questo Arion e finora non l'ho più ricevuto nei numerosi invìi fattimi dalle Provincie nordiche del Portogallo. Arion hispanicus Simroth. Arion hisiianicus Simroth, Weitere Mittheil. u. palaearkt. nacktschn., in Jahrbuch, etc, 1886, p. 21. Piccola specie che si distingue dalle precedenti per le sue dimensioni minori (29 raill. in alcool), tozza, interamente nera anche la zona mediana della suola. Per quest' ultimo carattere si distingue, oltre che per la più piccola statura, dall'^. Da- Silvae. Sierra Estrella in Portogallo. Io non ho veduto questa specie , ma i caratteri notati qui sopra sono più che sufficienti a farla riconoscere ed a distin- guerla da tutte le altre forme europee di questo gruppo. Messi cosi in evidenza i caratteri esterni distintivi di queste 5 specie passo all'esame dei loro apparati sessuali. Atti della R Accad. - Parte Fisica, ecc. — Voi. XXIV. 30 408 CARLO POLLONERA Per rendere più comprensibili le differenze tra le forme por- toghesi e quelle delle altre parti di Europa darò pure le figure dell'yl. ruf'us e dell'J. atcr ; limitandomi alle parti terminali dei loro apparati sessuali , poiché in esse soltanto si trovano caratteri sufficientemente apprezzabili. Neil '^4. rufus (fig. 27) l'atrio o vestibolo inferiore rivestito esternamente di ghiandole gialle , è breve , largo e di forma schiacciata, ad esso fa seguito un grande e rigonfio atrio supe- riore nel quale sboccano l'ovidotto, la guaina della verga ed il collo della borsa copulatrice. La borsa copulatrice è grande, ovale allungata, a collo un pò" più lungo del maggior diametro di essa e relativamente sottile; il collo di essa è strettamente saldato alla parte infra prostatica dell' ovidotto da un largo e fortissimo retrattore. La guaina della verga , più grossa ed al- quanto più lunga che il collo della borsa copulatrice, va assot- tigliandosi verso la sua estremità superiore, nella quale si im- mette ben distinto il canale deferente che va invece ingrossando verso la sua origine dalla prostata, ed è di Yg più lungo che la guaina della verga. La parte infraprostatica dell'ovidotto è cilindrica ed un po' meno lunga e gi'ossa che la guaina della verga. Tutte queste parti sono di un bianchiccio sporco quasi uniforme. La preparazione figurata è fatta sopra un individuo di Vegesack presso Brema, ma tale disposizione è uguale a quella che osservai in individui francesi, svizzeri ed italiani della stessa specie. Identica disposizione pure rinvenni nella varietà nera della stessa specie , pure di Vegesack , che forse taluno considererà come A. ater. Nel vero A. ater L. di Svezia (fig. 28) l'atrio inferiore è grosso e rigonfio e limitato superiormente da un forte restrin- gimento. L'atrio superiore si può dire che non esista più, perchè è diviso in due, per tal modo che una parte diventa una specie di rigonfiamento terminale (oppure di atrio speciale) dell'ovidotto, e nell'altra parte (che è la minore delle due) sboccano la guaina della verga ed il collo della borsa copulatrice, le quali avreb- bero in certo modo un atrio superiore per loro due distinto da quello dell'ovidotto. Questi due atrii superiori si uniscono soltanto per sboccare nell'atrio inferiore. La guaina della verga è più lunga che nell'^. rufus mentre il canale deferente è più breve e sottile. La parte infraprostatica dell'ovidotto è più breve e più grossa. La colorazione di questi organi è ugualmente pallida che CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DEGLI ARION EUROPEI 409 nelle varietà chiare dell'^. rufus. Dal confronto di queste figure intanto mi sembra si possa stabilire che VA. ater L. di Svezia è specie distinta dall'^. rufus L. di Europa, malgrado la colo- razione nera di talune varietà di quest'ultima specie. Neir^. Nohrci (fig. 2G) l'atrio inferiore è ben distinto seb- bene limitato superiormente da un ristringimento meno forte che neir^l. ater. L'atrio superiore si può dire scomparso affato, poiché la guaina della verga ed il collo della borsa copulatrice si riuniscono a brevissima distanza dall'atrio inferiore, e d'altra parte quello che nella specie precedente ho chiamato atrio spe- ciale dell'ovidotto, si fonde qui talmente con esso che non si può più veramente considerarlo che quale un suo ingrossamento ter- minale. La borsa copulatrice rozzamente ovale-allungata, a collo più breve e più grosso che nell'-^. ater. La guaina della verga, munita alla sua estremità inferiore di un cercine rilevato , più grossa che nell'^. ater, va man mano restringendosi superior- mente e passa nel canale deferente senza che nessun subitaneo restringimento (neanche leggerissimo) segni il limite di questi due organi. 11 canale deferente (più lungo che nell'^. ater) va ingrossando lentamente fino alla sua origine dalla prostata. La guaina della verga, l'ingrossamento terminale dell'ovidotto ed il tratto inferiore al collo della borsa copulatrice sono di una tinta nera che non ho mai trovata negli A. ater e rufus, mentre la sì ritrova in tutte le specie portoghesi di questo gruppo, cioè negli A. suìcatus, lusitamcus, Da-Siìvae ed hispanicus. Né questa tinteggiatura può considerarsi come carattere regionale di tutto il genere Arion, poiché nella nuova specie portoghese che descriverò più oltre non v'è traccia di essa. Io penso quindi che questo carattere della colorazione nera delle vie terminali degli organi sessuali di queste specie portoghesi debba essere annove- rato tra quelli in appoggio alla separazione specifica di queste forme degli Arion ater e rufus. Deir^. suìcatus non do la figura degli organi sessuali perchè questi sono come nell'^. Nohrei, e non presentano altra differenza fuorché nel passaggio dalla guaina della verga al canale deferente che non é così insensibile come nell'-^. Nohrei , ma, sebbene pochissimo marcato , si vede tuttavia abbastanza distintamente. L'^. ìusitanicus (fig. C) differisce dall'^. Nohrei per l'atriQ inferiore quasi sferico e distinto dagli altri organi per uu restrin- gimento molto più forte ; la guaina della verga, munita alla sua 410 CAELO POLLONERA base di un cercine rilevato assai più sporgente e completo , è assai più lunga e ben distinta dal canale deferente ; l' ingrossa- mento terminale dell' ovidotto è più allungato e più fuso nel- r insieme di quest'organo. Inoltre la guaina della verga, l'ovidotto ed il collo della borsa copulatrice si conservano indipendenti tra loro sin quasi allo sbocco comune nell'atrio inferiore, cosicché questa specie è completamente monatriide. NeH'J.. Ba-Silvae (Poli. Sp. n. Arion europ. fig. 29) la guaina della verga è conica, molto lunga, attenuata superior- mente e pochissimo distinta dal canale deferente. La borsa co- pulatrice ha il collo corto e brevissimo. L' ingrossamento terminale dell'ovidotto è più distinto che nelle specie portoghesi precedenti, ovoide allungato. La tinta nerastra si vede sul suddetto ingrossa- mento , sul collo della borsa copulatrice , sulla parte inferiore della guaina della verga, e traspare sotto lo strato di glandolo gialle anche sull'atrio inferiore che è poco distinto. li' A. hispanicus (Simroth, 1. e. Tav. I fig. 2-3) ha l'in- grossamento terminale dell' ovidotto molto allungato ma poco distinto ; la guaina della verga conica, allungata, attenuata su- periormente, abbastanza distinta dal canale deferente, molto in- grossata inferiormente e presso il suo sbocco abruptamente strozzata; la borsa copulatrice rozzamente ovoide e poco distinta dal suo collo piuttosto allungato. Dunque nessuno degli Arion portoghesi del gruppo dell' A. rufus è schiettamente diatrnde mentre alcuni sono senza alcun dubbio monatriidi , e questi fatti mi confermano vieppiù nella mia opinione, già espressa nel mio precedente lavoro su qu a. '^ T, ^ Ctì > S. s. lO o t^ -ri 5. 5. S- S. 5. 3. s. :«. 1 lO lO o lO Ci O -^ -Jf -* f^ CO co a. 3. C5 s ^ a. s. «e *. S- 3. s. o w ■^ CV* <>) co CV) co lO 'T' --< w -* lO e o C^J o t^ s. a. 3, 8 a. S 2 4 ^ 03 lO o co ■r-l -^ 00 = c8 00 -T^ O) 00 f^ co O o CO o IO o lO Oì -* •jf lO co 00 OS ì.-~ o 3 o e o o o ',_^ fl y 2 ^ ■^ .^ "- l'i ^ co oj a> .-> lO lO a> .■» o c>> o in o co ^ t^ ■rH -* lO o t^ 00 o 00 o o o o o o o ■^ o -^ -^ e £ = „ _ _ . . . _ , s S o CD w \Ci co 00 oo o lO -sf c^ o in O) co lO co co -* lO' 00 o o •^ — ' '- •>r< S . , _ ., ^ . , ^ S o a o a .2 P es o , a _ a a <£> 2 " a o tic §8 S 5=^ G -^ ^ CO f^ O r^ 00 w ■) lO "^ o e£ 9 o ,0 » OS O O eoa S ■« -2 aj - — C 08 08 ,~ .: " s a tL •7- C8 430 IGNAZIO SALVIGLI TENDINE. Quanto risultò dall'esame della cornea, può con poche varianti essere applicato anche al tessuto tendineo. Ciò non deve per nulla meravigliarci, perchè noi sappiamo quanto questi due tessuti sieno affini : infatti la loro costituzione istologica presenta variazioni di poco momento , essendo sì l'uno che l'altro formati di sostanza connettiva fondamentale, in mezzo a cui stanno delle cellule fisse. La sola differenza sta nell'essere la sostanza fondamentale del tendine, non disposta a lamine come nella cornea, ma bensì fog- giata a fasci di fibrille paralleli fra loro e disposti nella stessa direzione della lunghezza del tendine. Ora, verificandosi tale rassomiglianza anche nel loro processo d' accrescimento , credo conveniente non dilungarmi molto nel trattare questo argomento, giacche molte cose che ho già esposto nel capitolo antecedente possono essere applicate anche qui. Beltzow (1) nel suo lavoro sullo sviluppo e sulla riproduzione del tessuto tendineo dedica solo un capitolo molto breve allo sviluppo di esso, e si limita a dire che nell'embrione di coniglio di porco e di bue si trovano delle forme di cariocinesi nelle cellule tendinee, ma però non costantemente, e non nello stesso grado, e che tali forme si possono trovare tanto nei tendini che hanno cellule rotonde e strettamente avvicinate le une alle altre, come in quelli che sono costituiti da cellule allungate, ed in cui si è formata di già sostanza fibrillare. Tali osservazioni sono a mio parere un po' troppo superficiali, giacche così non si può sapere con precisione ne il punto in cui questa attività prolife- rante comincia né quello in cui essa termina. Per ciò ho creduto bene di ripetere tali osservazioni, onde tentare di colmare questa lacuna e poter quindi stabilire con certezza, quale importanza si debba dare alla moltiplicazione delle cellule fisse nell' accre- scimento del tendine. Siccome il numero dei tendini del corpo animale è stragrande, come pure è molto varia la forma di essi, così per facilitare un po' le mie ricerche, mi sono limitato all'esame di 3 soli esem- plari : come tipo ho scelto il tendine del gastrocnemio e come (1) Jrchiv f. mikroscop. /anatomìe. Bd, 22. ACCRESCIMENTO PEL TESSUTO CONNETTIVO 431 tendini di controllo ho esaminato specialmente il tendine del flessore superficiale e profondo delle dita della zampa posteriore, ed in ultimo il centro frenico; questo specialmente per farne delle dilacerazioni. I tendini furono induriti o in alcool o in liquido di Flem- ming ; l'esame di essi fu fatto sia su tagli longitudinali o trasversi, sia su pezzetti dilacerati ; le colorazioni infine riescirono bene con qualsiasi sostanza colorante nucleare. Già dal momento, in cui il tessuto del mesoderma si è dif- ferenziato, onde formare il fascio tendineo, e nel nostro caso spe- ciale il tendine d'Achille, noi riscontriamo essere assai grande il numero delle sue cellule fisse in via di scissione cariocinetica, come lo dimostrano molto evidentemente le dilacerazioni fatte con pezzi induriti col liquido del Flemming. Tale frequenza di mitosi vediamo persistere per tutte la vita embrionale, ed in tale periodo le mitosi sono distribuite indiffe- rentemente, qualunque sia il tendine, in tutte le porzioni della sua sostanza. II numero maggiore delle forme filamentose in tale tessuto lo si riscontra nel coniglio neonato , ed in quelli di pochi giorni di vita extrauterina. La loro distribuzione, però, in tali fasi di sviluppo non è più così uniforme come si avvera nell'embrione, poiché esse predominano in alcune parti più che in altre Infatti, se noi esaminiamo delle sezioni, sia trasversali che longitudinali di tendine gastrocnemio di coniglio neonato , specialmente se ii pezzo è stato trattato col liquido di Flemming, e colorato col colori d'anilina, noi vediamo che esso presenta delle parti oscure, e delle parti chiare ; le prime, che hanno un'apparenza più em- brionale perchè fornite di molti nuclei vescicolari e rotondi, pre- sentano numerosissime le cariocinesi , tanto che se ne possono riscontrare fino a 6 in un solo campo microscopico, ottenuto col- l'obbiettivo 8 e l'oculare 3 Koristka, mentre le seconde cioè le parti chiare, nelle quali predomina la sostanza fondamentale, ne sono di molto più povere. Queste diverse parti non sono però poste a caso; nelle sezioni trasverse fatte a metà del tendine si vede che le parti oscure stanno alla periferia, le chiare al centro, e siccome il tendine è costituito da 3 fasci ben distinti, e di origine diversa, ne viene che la parte oscura occupa la metà di ciascun fascio che guarda all' esterno , la chiara invece la metà che si trova nell'interno a reciproco contatto cogli altri fasci. Tale appa- 432 IGNAZIO SALVIGLI renza la si osserva però solo nella parte mediana del tendine, giacche tanto nell' inserzione muscolare che in quella ossea la struttura di esso è uniforme, benché pure tra queste due parti debba farsi una differenza, essendo le mitosi più numerose vicino all' inserzione ossea , che all' inserzione muscolare. Tale fatto si verifica anche in altri tendini, come nei flessori delle dita: questi nel punto in cui si attaccano alle ossa presentano una parte oscura che si confonde col periostio, e molto ricca di cellule in mitosi, una esterna invece chiara e con poche cellule in via di scissione. Le altre parti di tali tendini presentano un aspetto più uniforme ; le mitosi però si trovano più frequentemente nella parte periferica del fascio. Arrivati all'esame dei tendini di coniglio di 11 e di 17 giorni dopo la nascita, si vede che il numero delle loro cellule fisse in via di proliferazione è molto esiguo , giacché in una sezione trasversa completa se ne notano al massimo due. Invece il co- niglio di 20 giorni presenta le sue cellule tendineee in attività proliferante assai marcata. Questo fatto deve indurre ad ammet- tere, che l'accrescimento del tendine non si faccia in un modo regolare ed uniforme, ma che presenti delle soste, che si mani- festano colla deficienza di figure cariocinetiche nei suoi elementi cellulari. Da questo punto nelle cellule tendinee va man mano dimi- nuendo la attività di scissione per mezzo della cariocinesi. Tale periodo di decrescenza è però molto lento, giacché nel coniglio di 57 giorni noi possiamo ancora, benché rare, trovare delle forme filamentose. La descrizione data sopra non vale per tutti i tendini ; infatti ho potuto constatare come il tempo in cui perdura l'at- tività cellulare sia vario a seconda della qualità di essi: ad es. nel tendine del diaframma le mitosi già sono rare all'undecimo giorno dopo la nascita e mancano completamente nel coniglio di trenta. Il fatto del diverso scomparire delle mitosi nei varii tendini come pure della diversa frequenza di esse, deve stare molto pro- babilmente in rapporto col vario sviluppo che assumono le di- verse parti del corpo dell'animale. A tale causa deve attribuirsi pure il fatto di riscontrare, in uno stesso animale, dei tendini più ricchi in mitosi che altri, come succede appunto negli animali molto giovani, dove ad es il flessore delle dita contiene maggior numero di cariocinesi che il tendine del gastrocnemio. Ed infatti ACCRESCIMENTO PEL TESSUTO CONNETTIVO 433 tenendo dietro allo accrescimento dell'arto posteriore, noi vediamo come la zampa, cioè le ossa del tarso e del metatarso e falangi, sorpassino in pochi giorni di quasi '^ la lunghezza della tibia e del perone. Non tutte le mitosi che si riscontrano in una regione di tendine si trovano nelle sue cellule fisse : molte , specialmente nei primi periodi, sono proprie delle cellule fisse del connettivo che circonda il fascio , e di quello che penetra fra i diversi fa- scetti. Da quanto ho finora esposto resta dimostrato, che nel tessuto del tendine dal suo primo inizio fino ad un punto assai varia- bile, che può però protrarsi fino al 60" giorno dopo la nascita, noi possiamo trovare sempre delle forme di scissione indiretta nei suoi elementi cellulari , e perciò dobbiamo ammettere come inesatta l'asserzione di Beltzow, che cioè questo fatto non si veri- fichi costantemente. Diamo ora un rapido sguardo al modo con cui si comporta la vera sostanza fibrillare. Spina (1) nel suo lavoro sulla struttura del tendine, dice che nel coniglio neonato o in quello di una o due settimane, i fascetti di connettivo si differenziano da quelli dell'embrione solo per la loro grossezza; così pure avviene pei fasci del tendine di animale adulto. A queste cognizioni, io aggiungerò che l'au- mento dei fasci è graduale, ed è anche qui come nella cornea in rapporto diretto coli 'aumento di grossezza del tendine che costi- tuiscono. Basta paragonare la figura III colla figura IV, o meglio la Y colla VI, per convincersi della forte ipertrofia che subi- scono i fasci tendinei, nel loro invecchiare. I fascetti che nel coniglio di 13 giorni (fig. VI) sono sottili 12xl6|a, rotondeggianti, e separati fra di loro da grosse e ben visibili lamine protoplasmatiche , diventano nel coniglio di 175 giorni (fig. V) più grossi 21 x 2 7 ^y. , mal discernibili , perchè le lamine protoplasmatiche sono sottilissime, ed assumono una forma allungata o poliedrica. Che esista poi realmente un rapporto fra Taccrescimento dei fasci e quello del tendine, ognuno potrà convincersene esaminando la tabella dei valori riguardanti questi organi. (1) Veber den Bau der Sehnen. Medis, Jahrbùcher. 1873. 434 iPtNazio salvigli Anche questo modo di accresciaiento presenta delle modifi- cazioni assai apprezzabili. Infatti noi vediamo che le fibre prime ad apparire onde costituire veri fasci, sono quelle che si trovano nelle parti chiare già descritte nel tendine di coniglio neonato ; quindi il punto della formazione della sostanza fondamentale non è contemporaneo in tutta l'estensione del tendine. Questo pure si verifica per quello che riguarda il diverso ingrossamento, giacche non sempre nello stesso tendine i fascetti hanno gli stessi dia- metri, ma bensì vediamo che o sono frammisti senza alcun ordine fascetti grossi e fascetti sottili, oppure vi sono delle aree com- poste di fascetti grossi e delle altre formate quasi completamente di fascetti sottili. Alle periferie del tendine predominano per lo più fasci grossi , forse pel fatto che in queste parti essi hanno maggior libertà d'espandersi. È chiaro, quindi, che per poter avere un'idea esatta dell'in- grossamento dei fasci tendinei abbisogna fare una media di mol- tissime misurazioni. Nei tendini adulti questo fatto è molto meno accentuato. Altre modificazioni e non meno importanti possono riscontrarsi neir accrescimento del tessuto tendineo. Così, come è già ben noto , le cellule man mano che invec- chiano, oltre a perdere la loro facoltà proliferante, mutano anche la loro forma, ed i loro rapporti. Così all'esame del tendine em- brionale, noi vediamo che esso è costituito in gran parte di cellule grosse, protoplasmatiche, con un bel nucleo vescicolare, fornito di abbondante reticolo e molti nucleoli ; nelle fasi più avanzate, invece, pel fatto dell'ispessimento dei fasci, esse si fanno più al- lungate, il protoplasma si foggia a laminette sottili, ed il nucleo, che si è esso pure allungato, presenta la sua cromatina disposta irregolarmente , e si colora intensamente ed uniformemente. Nei tendini adulti tale aspetto è ancora maggiormente spic- cato, ed il nucleo è ridotto ad un sottile bastoncino. Col cre- scere del tendine le cellule che prima erano fortemente stipate, le une contro le altre, si allontanano gradatamente ; veramente non sono le cellule che si allontanano, ma bensì i loro nuclei, giacche le lamine protoplasmatiche sono sempre a reciproco contatto. L'aspetto caratteristico delle cellule accoppiate si manifesta solo verso il 57" giorno, e dura per un tempo molto lungo. Questa apparenza sta probabilmente a dimostrare una pregressa scissione cellulare non completamente svoltasi. ACCRESCIMENTO DEL TESSUTO CONNETTIVO 435 Anche nei fasci di fibrille avvengono delle modificazioni , giacché essi, da prima molli e di aspetto gelatinoso, diventano in breve tempo duri, resistenti al taglio, e splendenti. All'ingrossamento del tendine concorre anche, ed in misura non piccola, l'aumento del connettivo peritendineo ed intrafa- scicolare. — Da questa breve esposizione di fatti possiamo dedurre il se- guente corollario: che durante l'allungamento del tendine noi riscontriamo una forte proliferazione cellulare, e che l'ingrossa- mento di esso deve essere legato all' ingrossamento dei singoli fascetti che lo costituiscono. Con ciò io intendo di esporre solamente dei fatti, senza voler per nulla entrare nell'argomento, tanto discusso, dell'origine della sostanza fondamentale. Quello che è certo si è , che la formazione continua di nuove cellule sta in strettissimo rapporto coll'allungamento del tendine, 1° perchè un esame accurato ci fa vedere che, a somiglianza di quanto succede nella cornea, le cellule neoformate contribuiscono solamente all'allungamento delle serie di cui fanno parte, come lo dimostra la disposizione dei loro filamenti; cioè esse hanno sempre i due poli nella direzione della lunghezza dei fasci. 2" perchè lo studio comparativo dei diversi tendini ci insegna, che là dove v'è maggior necessità di allungamento, là pure v'è mag- gior numero di mitosi. Con ciò però non si spiega il fatto se cioè tale proliferazione cellulare sia la causa oppure l'effetto del- l'allungamento del tendine. Le ipotesi fatte finora sulla formazione delle fibrille per tra- sformazione del protoplasma cellulare, se possono servire a spie- gare la prima origine di quelle, non ci convincono molto quando il tessuto tendineo è già bene costituito. Nei tendini d'em- brione ho potuto constatare la presenza di cellule il cui proto- plasma aveva una struttura fibrillare come ammettevano Schvann e recentemente Boll, ma più tardi questo aspetto non si osserva più ; eppure le cellule temlinee continuano a scindersi. Così pure dicasi della teoria che fa derivare la sostanza fibrillare da un substrainm amorfo, o dai prolungamenti delle cellule. Mi sembra più probabile ammettere, che una volta che la sostanza connettiva è formata, qualunque sia il suo modo di origine, possa da sola aumentare sia in lunghezza che in larghezza, e che quindi le cel- lule non abbiano che una parte secondaria, cioè quella di allungare 436 IGNAZIO SALVIGLI le loro serie, onde poter coprire con uno strato continuo proto- plasmatico i fasci su cui stanno applicate. Altrimenti non si saprebbe spiegare il perchè dell'allungamento del tendine quando le cellule sono vecchie, quando cioè esse non si moltiplicano più, ed il perchè dell'allungamento graduale delle loro lamine proto- plasmatiche. Concludendo diremo, che tanto nell'accrescimento della cornea che del tendine noi rileviamo costantemente due fatti, un au- mento di numero delle cellule fisse che contribuisce esclusiva- mente all'allungamento della serie cellulare, ed un ingrossamento tanto delle lamelle che dei fascetti di fibrille. Il primo sta in stretto rapporto rispettivamente coll'allarga- mento della cornea e coll'allungamento del tendine, senza però voler dire con ciò che ne sia la causa. Al secondo è dovuto in massima parte l'ingrossamento sia della cornea che del tendine. ACCRESCIMENTO DEL TESSUTO CONNETTIVO 437 ai 2 a ■r? cS -e a o 3i 2 42 s3 o O a x> Oì < '>i oi a. co 01 a «. 1 IO ■s o a 'S.5 IO CO ,^ fl 3 O (33 .^ a 3 s. sr^i L. TT lO O l^l c tS r> C^( , o ^• e a =*- 3 eco :r: pUJ * J:; a; 03 4= o a) O e f) e c« 3 OS .^ a « -T3 o cS ai ■-CS s. ai lO IV àio) 'O , a, IO ?3 3 a. S- a. a. iO co « lO lO' X X o o) t- t- -tH ■^ O 2 .ii 03 tiO ^1 2 S C3 "^ g 3 u 03 • ai .03 .„ O '-'•' ■— ^- 2 o cS 00 .— T3 > (U m ^O r- n. - o 3 O CJ o O- lO ii o (>) co X oo r- « . ^r-< go> 3 n o a 03 3 ^ :: 3 Q. !» ® 2 -O 03 ^ 3 a. O^ (U •;:-a So S •- =- fl o Y 3 i. A aj S;^ 2 3 -T3 .rH Ì3 3 'S ® — co 2 i » -o o "S a OS rrt ■T3 § i* d >o ert t, lO -] o *J 2*-' fi m M m 1- CD Ss *- OS '->)co 'v-f -r-H — H 00 co Ci CO ^ -H -rH -rH -^ 2 2 S 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 ^ Oi Ci m +.9 oj a u. 01 co O CO'cvJ 1 2 g 2 2| M m OS iO05_ CC^W 2 2 2 2 CO o *^ ■^ ■'tH ^ a S 2 2 56' e C-"- -c i« = o 1 * o e a> 2 5c u o -o o 1) 3 "5 o ® S c c 0) a) ?'C 'O iU O fl o •-. M ^ i. 2 'lI "S c^ 2 aj 3;:2 3=5:2 .9^2 S! o s- « i- « fl 'J .5 2 2 ^ .2 — . 1^-^o 2^^ ai-T3 ^ Q.-r" 1^ > iU r. OJ 3 rt _, c« •3'^ a -< > o 'ir aS co « S-i fl o ^ O fl O 3 = a 0) o. „ .- ti ■^ TS wl ■r, « 3 *»*«« ^'^«([^S'*^' ..^j**-r- %• ^- -V^SS»^ — V3wR(». >m^3a.m^. ■.-«ff^B»,.-,^, -riaBSSCe-Wt.i...^ "■-'«Saw-^-- — ••"«tJvi. Fiq. ò. ;>-/ V-v^ ,/- ^^C^MJ^^Ar .'^■ V 439 Gneiss tormalinifero di Villar Focchiardo (Val di Susa); Cenni descrittivi del Dott. Giuseppe Piolti La roccia di cui sto per discorrere fa parte di quell'ampia elissoide gneissica chiamata dal Gastaldi col nome di elissoidc Bora Varaita ( 1 ) , la quale alla sua volta non è che una parte di quell'estesa zona di « gneiss detto centrai e , sovente talcoso « e passante anche al granito, che forma i grandi massicci cri- « stallini , disposti in due cerchie quasi parallele, cioè l'esterna « col Monte Bianco, Belledonne e Grand-Pelvoux , e l'interna « col Grand-Paradis e il Mercantour , oltre qualche minore « massa intermedia presso Pinerolo » (2). La roccia di Villar Focchiardo devesi quindi considerare come un'enorme inclusione nel circostante gneiss normale; in com- mercio è conosciuta sotto il nome di granito bianco e viene usufruita come pietra da lavoro, per lastroni, colonne, balaustre, ecc. Per quanto mi consta, il primo autore che abbia accennato alla presenza della roccia suddetta in Val di Susa fu Angelo Sismonda nel 1834. Il De Saussure, nel suo celebre Voyage dans Ics Aìpes (Tomo III, p. 91), parla bensì del gneiss che s'osserva presso Sant'Antonino, notando che « ces rochers parois- « sent des granits en masse , gris , à grains médiocrement gres « de l'espèce la plus commune des Alpes; mais quand on les « observe avec soin , on voit que ce sont des granits veinés » , ma non fa cenno della roccia speciale di Villar Focchiardo, pro- (1) Spaccato geologico lungo le valli superiori del Po e della Varaita , Lettera del Prof. B. Gastaldi all'Ingegnere Pietro Zezi. Bollettino del Comi- tato Geologico Italiano, 1876, p. 104. (2) Nella prefazione, firmata dalla Direzione del Bollettino del Comitato Geologico Italiano, al lavoro dell'Ingegnere Zaccagna Sulla Geologia delle Alpi occidentali, pubblicato nel detto Bollettino, anno 1887, p. 341. Alti della R. Accad. - Parte F'isica, ecc. — Voi. XXIV, 32 440 GIUSEPPE PIOLTI babilraente perchè la cava del gneiss tormalinifero nel 1796 non era forse ancora in attività. « La cava aperta all'O. N. 0. « del piccolo villaggio di Villarfocchiardo ha somministrato le ;oio ripieno di materie fecali. 451 Ricerche intorno alla struttura della colonna vertebrale del Genere Bombinator (*) ; Nota del Dott. Alberto Sassernò I. Le singolari anomalie di sviluppo osservate dal Dott. L. Ca- merano (1) nelle apofisi trasverse della vertebra sacrale e del coccige dei Bombinator, mi spinsero a trar profitto del copioso materiale esistente nelle raccolte del R" Museo di Zoologia di Torino, onde ricercare fino a qual grado di importanza e di fre- quenza si riscontravano le dette anomalie, in quelle parti cbe per la loro variabilità furono oggetto di non poche discussioni. Infatti oltre al Dott. Camerano anche il Dott. I. V. Be- driaga (2), Leydig (3) e Gótte (4) avevano rivolto la loro atten- zione alle anomalie del sacro e del coccige del Bombinator, sia in occasione della tanto dibattuta questione sull'esistenza in Eu- ropa di due specie di Bombinator, sia in occasione della figura data da Gene di un rachide di B. igneus. Era perciò interessante di investigare se esisteva qualche fatto, che, collegato alle anomalie, ne potesse spiegare la loro frequenza, (*) Non intendo qui parlate delle questioni relative alle denominazioni da darsi alle due specie di Bombinator europee. — Le denominazioni adopen.te in questo lavoro sono conformi a quelle stabilite da Boulanger (Proc. zool. Soc. di Londra, 1886, pag. 499). Ho seguito una tale nota poiché le conclu- sioni alle quali è giunto il Boulanger nella sua ultima pubblicazione a questo riguardo {Bull. Soc zool. de France, 1888, p. 173) non mi paiono accettabili senza discussione. (1) Nota intorno allo scheletro del Bombinator igneus (Laur.), di Lorenzo Camerano Atti della R. Acc. Scienze di Torino, voi. XV, 8 febbraio 1880), (2) Bedriag.'\, Zoolog. Anzeiger , di V. Carus, n. 45, pag. 664, dicembre 1879. (3) Leydìg , Die Anuren Batrachien der deutschen Fauna, 1877. v4) Gotte, Entwickeìungsgeschichte der Unke. Leipzig 1875. 452 ALBERTO SASSE RNÒ e ricercare inoltre se anche altre parti dello scheletro del Bom- binator presentavano delle anormalità. Però a quest'ultimo riguardo le mie ricerche furono comple- tamente negative, avendo anzi trovato in una quarantina di esem- plari da me accuratamente esaminati una notevole costanza di forme nelle singole parti dello scheletro. Debbo tuttavia accen- nare di aver trovato un B. igncus coli' atlante provvisto di apofisi trasverse, per essersi saldate la prima colla seconda ver- tebra del rachide ; ma tale anomalia deve essere classificata fra quelle mostruosità accidentali che si riscontrano ovunque e non può essere certo paragonata alle frequenti anormalità di strut- tura che presentano la 8% O'' e 10'' verlebra della colonna ver- tebrale del Bomhinator. Prima di passare a descrivere le principali anomalie da me trovate, non sarà inutile che io accenni alla forma che abitual- mente presenta la colonna vertebrale, ed ai limiti entro i quali possono variare quelle parti che vanno soggette a frequenti irre- golarità di forma. All'atlante bene sviluppato, ed i cui due condili sono talora cosi divaricati dal corpo della vertebra da sembrare dei processi trasversi, succedono tre vertebre, alle diapofisi delle quali si arti- colano delle brevissime coste. Quelle del primo paio hanno una direzione prima leggermente in avanti e poscia si incurvano ancor più leggermente all' indietro: quelle del secondo e terzo paio invece si incurvano subito all' indietro però con direzione poco accentuata. La quinta vertebra contando anche l'atlante, non ha più che delle apofisi trasverse piuttosto esili e dirette all' infuori ed in avanti lievemente ; qualche volta invece con direzione normale all'asse della colonna vertebrale. La sesta e la settima vertebra hanno eziandio solo delle apo- fisi trasverse dirette molto airinnanzi, talvolta fino ad appressarsi così al corpo della vertebra precedente da essere poco visibili. Un po' meno appressi, ma sempre diretti all'innanzi, sono i processi trasversi della 8* vertebra che, come la nona ed il coc- cige, sono le parti che variano notevolmente. I processi trasversi della vertebra sacrale, come è conosciuto, sono fortemente dilatati e sempre muniti nel loro contorno esterno di un orlo cartilaginoso , mentre il corpo della vertebra è presso a poco uguale a quello delle altre. Giova notare che, malgrado STRUTTURA DELLA COLONNA VERTEBRALE 453 la loro estensione, si scorge tuttavia nelFandamento generale del contorno che i processi trasversi hanno sempre una direzione al- l'indietro. Infine i prolungamenti laterali del coccige , o , come io li chiamerei, i processi trasversi del coccige hanno pure sempre una direzione incurvantesi all'indietro, cioè una direzione concordante sempre con quella dei processi trasversi della vertebra sacrale. 11 coccige presenta generalmente molta regolarità nella sua lunghezza e diametro. La sua lunghezza varia nei maschi del Bomhinator hornhinus da 10 a 12 mm. e da mm. 13 a mm. 15 nelle femmine: nei maschi del B. igneus da 12 a 14/^> t^li differenze essendo in relazione colla lunghezza del corpo. 11 diametro varia poi da 5 a 7 decimillimetri, mantenendo sensibilmente una forma cilindroide, salvo l'estremità, ove si articola il condilo della vertebra sacrale , che assume una forma conica, ingrossandosi alquanto. Si è dalla parte ingrossata che partono i processi trasversi del coccige ed a cominciare dal loro punto d'inserzione si sviluppano pure delle creste sottili, che con- tinuano lungo ambo i lati del coccige stesso per un tratto più 0 meno lungo e che sono talora molto sviluppate e talora appena visibili. Passo ora brevemente in rassegna tutte le principali anomalie da me scoperte, alle quali, aggiungendo quella trovata da Gotte (1) e quella trovata dal Dott. Camerano (2), ho tutti i casi possibili di anomalia che possono presentare la vertebra antisacrale, la sacrale ed il coccige. Avverto che, dicendo lunghezza delle apofisi sacrali, intendo la lunghezza del loro margine esterno massimo che varia da un minimum di 6 mm. ad un maximum di 9 mm. e per lunghezza delle apofisi trasverse del coccige intendo la distanza intercedente tra la loro origine sul coccige stesso e la loro estremità , lun- ghezza che varia al punto da essere talora rudimentale e talora da arrivare fino a 4 mm. di lunghezza. 1° Cado. — La vertebra antisacrale è regolarmente confor- mata: le apofisi della vertebra sacrale sono corte, pi:esentando il (1) GoTtE, opera citata, tav. XIX, fig. 346. (2) Camerano, nota citata, pag. 6, fig. 3*. 454 ALBERTO SASSERNÒ minimum di 6 mm.; le apofisi del coccige sono invece lunghe molto, cioè 22 decimillimetri. Vedasi la fig. 1^ raffigurante 1' ultima parte della colonna vertebrale di un individuo maschio il cui corpo (dalla punta del muso all'estremità posteriore del coccige) misurava ra. 0,0388. 2° Caso. — La vertebra antisacrale è regolarmente confor- mata. Le apofisi della vertebra sacrale sono lunghe e quelle del coccige sono rudimentali. La fig. 2* e la 3* rappresentano le dette parti di due indi- vidui maschi il cui corpo misurava in amendue m. 0,0383. Nel primo le apofisi sacrali sono lunghe 7 mm. e quelle del coccige sono ridotte a delle creste dentellate ; nel secondo le apofisi sa- crali sono lunghe 7,5 mm. mentre quelle del coccige sono affatto rudimentali. 3° Caso. — La forma della vertebra antisacrale è sempre regolare ; ma le apofisi tanto della vertebra sacrale, quanto quelle del coccige sono asimmetriche ed allora si possono verificare i tre seguenti sottocasi corrispondenti a tre distinti modi di con- formazione : a) L' apofisi sacrale sinistra è più lunga di quella di destra , mentre invece l'apofisi sinistra del coccige è più corta della destra. La fig. 4' rappresenta le tre ultime vertebre di un maschio il cui corpo misurava m. 0,0385. L'apofisi di sinistra del sacro è lunga 6 mm. e quella corrispondente del coccige si allarga alquanto; ma non arriva ad 1 mm. di lunghezza; l'apofisi di destra del sacro è lunga invece 5,5 mm. e quella del coccige arriva fino a 3,8 mm. b) Caso inverso del precedente. Nella figura 5' è rap- presentata l'ultima parte della colonna vertebrale di un maschio che misurava m. 0,0385. In essa l'apofisi sinistra della vertebra sacrale è invece più corta della destra, misurando esse rispetti- vamente mm. 6,5 e 7, mentre l'apofisi sinistra del coccige è di mm. 1,2 e quella destra è allargata , ma appena di 0,5 mm. di lunghezza. c) Tanto l'apofisi sacrale sinistra quanto la corrispondente del coccige , sono più lunghe rispettivamente deir apofisi della vertebra sacrale e del coccige di destra. STRUTTURA DELLA COLONNA VERTEBRALE 455 Ne abbiamo un esempio nella fig. 6^ ove 1" apofisi sacrale sinistra è lunga 7 mm. e la destra ram. 6,5 ed ove 1' apofisi sinistra del coccige è di mm. 2,4 e quella di destra solo 1,5 ram. Tali vertebre appartenevano ad un maschio il cui corpo misu- rava m. 0,0398. È importante notare che sia nella fig. 4**, sia nella fig. 6* le apofisi della vertebra sacrale oltre air essere inegualmente lunghe, sono anche dissimmetricamente situate rispetto alla linea che congiunge i punti di mezzo dei loro margini esterni , linea che nel caso presente è obbliqua mentre dovrebbe essere normale all'asse della colonna vertebrale. 4° Caso. — La vertebra antisacrale ha una conforma- zione anormale; mentre una sua apofisi è regolare, l'altra, più 0 meno espansa, tende ad unirsi colla corrispondente apofisi della vertebra sacrale per concorrere con essa a formare quelle parti del sacro che servono di appoggio alle ossa iliache. In tal caso r apofisi sacrale omologa a quella antisacrale più sviluppata è più corta dell'apofisi sacrale dell'altra parte e così dicasi delle apofisi del coccige , in cui la più corta è sempre dalla parte ove si è sviluppata maggiormente l 'apofisi della vertebra anti- sacrale. Secondo che, ciò che si è detto, avviene dalla parte destra 0 dalla sinistra, abbiamo due modi diversi di conformazione e quindi altri due sottocasi : a) Nella fig. 7" abbiamo dalla parte sinistra il caso su- esposto appena accennato. Essa rappresenta l'ultima parte della co- lonna vertebrale di un maschio il cui corpo misurava m. 0,0390: l'apofisi antisacrale di sinistra è alquanto più sviluppata della destra; l'apofisi sacrale sinistra è lunga mm. 6,2 e la destra mm. 7: ed infine l'apofisi sinistra del coccige è lunga 1 mm. mentre la destra è di mm. 1,5. b) Nella fig. 8' abbiamo dalla parte destra il medesimo fatto più accentuato. Infatti Tapofisi sinistra della vertebra anti- sacrale è regolare, mentre la destra è espansa arrivando ad 1 mm. di larghezza ed 1,8 di lunghezza. La sua corrispond'i'nte apofisi sacrale è lunga solo mm. 4,2 e quella del coccige è rudimen- tale, mentre invece l'apofisi sacrale di sinistra è lunga mm. 6 e la corrispondente del coccige mm. 1,6. In queste partì ap- 456 ALBERTO SASSERNÒ partenenti ad un maschio, il cui corpo misurava m. 0,0392 si riscontra pure Tassimmetria di posizione delle apofisi sacrali già accennate nella fig, 4" e 6\ 5° Caso. — Una delle apofisi della vertebra antisacrale è regolare: l'altra è invece più sviluppata come nel caso prece- dente, ma è inoltre unita alla omologa apofisi sacrale per mezzo dell'orlo cartilaginoso, che forma così un margine esterno continuo per amendue. 11 resto è come nel caso precedente, e qui pure abbiamo ancora due sotto casi secondochè tale conformazione si riscontra dalla parte destra o dalla sinistra. a) La fig. 9' rappresenta le tre ultime vertebre in que- stione, di un maschio che aveva il corpo lungo m. 0,0382. L' apofisi destra della vertebra antisacrale è regolarmente con- formata ; la sinistra invece , leggermente espansa , misura lungo il margine esterno della sua estremità mm. 1,8 e tocca l'apofisi della vertebra sacrale corrispondente lunga mm. G: un orlo car- tilaginoso poi le congiiinge amendue facendone come una sola apofisi. L'apofisi destra della vertebra sacrale è invece regolare ed è lunga mm. 7 , come pure sono quasi regolari le apofisi del coccige accennando però ad un maggior sviluppo quella di destra. b) La suddetta anomalia colle parti invertite l'abbiamo nella fig. 10* rappresentante 1' ultima parte della colonna ver- tebrale di un maschio non ancora adulto. L'apofisi sinistra della vertebra antisacrale è regolare : quella di destra è invece alquanto espansa e forma un tutto coli' apofisi sacrale destra per mezzo di un orlo cartilaginoso che a quella la unisce. Questo comune orlo cartilaginoso è lungo mm. 6 , due dei quali spettano al- l 'apofisi antisacrale e 4 alla sacrale. L'apofisi sacrale sinistra è invece piti lunga della destra misurando 5 mm. , e sono eziandio diseguali in lunghezza le apofisi del coccige ; la più lunga di esse, di mm. 1,4 è dalla parte sinistra, ove cioè si trova la sa- crale più lunga, e quella più corta misura ram. 0,5. 6° Caso. — Nella seguente anomalia stata trovata dal prof. Camerano è irregolare non solo una, ma amendue le apo- fisi della vertebra antisacrale ed amendue le apofisi sviluppan- dosi fortemente concorrono colla vertebra sacrale a formare il sacro. In tal caso le apofisi del coccige sono rudimentali. STRUTTURA DELLA COLONNA VERTEBRALR 457 La fìg. 11% copiata dal vero, rappresenta tale anomalia in un maschio il cui corpo misurava mm. 0,040. Le apofisi della vertebra antisacrale dilatate ed ossificate si sovrappongono a quelle pure espanse della vertebra sacrale: epperciò, mentre le apofisi corrispondenti di sinistra sono lunghe rispettivamente mm. 2,4 e 5 e quelle di destra sono lunghe pure rispettivamente mm. 3 e 4,1 , pur tuttavia, in causa della loro sovrapposizione formano come un'unica apofisi lunga mm. 6,5, tanto da una parte come dall'altra. Il coccige ha apofisi rudimentali. 7° Caso. — La vertebra antisacrale è regolare : le apofisi della vertebra sacrale sono inegualmente lunghe ; la più corta di esse è unita per mezzo di un orlo cartilaginoso alla corri- spondente apofisi del coccige che è anormalmente dilatata e concorre quindi colla vertebra sacrale a formare il sacro. Amendue formano come una sola apofisi lunga quanto Y apofisi opposta della vertebra sacrale , che è regolarmente conformata. A que- st'ultima corrisponde l'altra apofisi del coccige che è regolare e poco sviluppata. Un tale stato di cose è rappresentato dalla fig. 12 , tolta dall'opera del Gotte (1) e quindi non posso dare le misure pre- cise che non esistono nel suddetto disegno. 8" Caso. — La vertebra antisacrale è regolare : invece le apofisi tanto del coccige, quanto della vertebra sacrale, sono as- simmetriche ed assai irregolarmente sviluppate, in modo che da una parte Tapofisi sacrale e quella del coccige presentano una regolare conformazione, mentre dall'altra l'apofisi coccigea tende a sostituirsi a quella sacrale, sviluppandosi pochissimo questa ultima e moltissimo la prima. Un tale caso è rappresentato dalla fig. 1 3' : le tre vertebre provengono da una femmina, il cui corpo misurava m, 0,0437. Infatti si scorge che l'apofisi sacrale destra misura 7 mm. di lunghezza, mentre quella di sinistra è lunga solo 4 mm. : questa si sovrappone in parte all'apofisi sinistra del coccige che è svi- luppatissima e supera anzi in ampiezza quella sacrale, misurando (1) Gotte, Entwickelungsgeschichte ecc., opera citata, tav, XIX, fig. 346. 458 ALBERTO SASSERNÒ il SUO margine esterno mm. 4, 5. La forma di questa apofisi del coccige è simile a quella che assumono normalmente le apofisi sacrali e la sostituisce in parte nelle sue funzioni formando cosi le due apofisi sacrale e cocclgea quasi una sola apofisi, lunga 7 mm. come quella regolare di destra. L'apofisi sinistra del coccige non è poi espansa, ma piuttosto lunga, misurando mm. 2,7: noto ancora clie nel punto dove essa si inserisce sul coccige, questo ha una piccola cresta che manca dalla parte opposta. 9° Caso. — Anche qui la vertebra antisacrale è regolare, e questo caso si potrebbe ricondurre al precedente, non essendo che l'esagerazione dell'anomalia descritta or ora; ma credo con- veniente descriverlo a parte, perchè molto interessante. Invero l'apofisi destra della vertebra sacrale è regolarmente conformata, mentre invece la sinistra si riduce al punto da assumere l'aspetto delle apofisi normali della 6% 7* ed 8^ vertebra. A sostituire poi l'apofisi sinistra della vertebra sacrale nel suo ufficio, si svi- luppa straordinariamente l'apofisi sinistra del coccige, in modo da assumere perfettamente l' aspetto delle normali apofisi sa- crali, mentre invece la coccigea apofisi di destra è regolare ed assai ridotta Una cos'i notevole anomalia è rappresentata nella fig. 14% ove è raffigurata l'ultima parte della colonna vertebrale di un individuo femmina il cui corpo misurava m. 0,0406. L'apofisi destra della vertebra sacrale è espansa ed il suo margine esterno misura mm. 5, mentre quella di sinistra è ridotta ad un esile prolungamento cilindriforme. In suo luogo l'apofisi sinistra del coccige è dilatata al punto da superare in ampiezza la stessa apofisi sacrale di destra, misurando il suo margine esterno mm. G,5; mentre l'apofisi coccigea di destra è regolare, ed ha appena la lunghezza di mm. 0, 8. Le anomalie rappresentate dalle fig. 12% 13' e 14^ si pos- sono ancora verificare dalla parte opposta a quella che nelle fi- gure stesse sono disegnate ; ma evidentemente sarebbero della medesima natura di quelle considerate nei casi 7% 8" e 9", dei quali si dovrebbero ritenere come sottocasi, epperciò credo inu- tile di ripeterne qui la descrizione. Come dissi più sopra, ho con ciò descritto tutti i casi ti- pici possibili di anomalia, che possono presentare nel loro irre- golare sviluppo le apofisi trasverse delle tre vertebre antisacrale, STRUTTURA DELLA COLONNA VERTEBRALE 459 sacrale e coccigea tra loro combinate. Mi si potrebbe però ob- biettare che non ho considerato il caso, ove amendue le apofisi del coccige si sostituiscono in tutto od in parte alle apofisi della vertebra sacrale, eppprciò del)bo dichiarare che una anomalia di siffatto genere non mi fu dato di trovarla, né credo sia molto probabile che essa esista, a meno che si voglia considerare come tale l'anomalia descritta nel 1° caso, ove le apofisi sacrali sono più corte della media e quelle del coccige sono invece più lunghe della media. Dalla considerazione delle interessanti anomalie or ora de- scritte, e riflettendo al numero veramente notevole di esse in rapporto al numero degli esemplari stati esaminati, credo si possa trarne le seguenti conclusioni : I. Il genere Bomhinator presenta il fatto singolare di una grande variabilità di forma nelle tre ultime vertebre della co- lonna vertebrale. II. Tale variabilità non permette assolutamente che dalle dette parti si desumano dei caratteri specifici atti a differen- ziare le due specie di Bombinof or come si erada molti creduto. III. L'instabilità di forma, varia però entro limiti tali, da non potersi confondere le parti in questione del genere Bomhinator colle parti medesime, sia degli altri generi della famiglia dei Discoglossidi, sia di quei generi delle famiglie dei Bufonidi, Pelobatidi ed Hylidi che presentano una consimile con- formazione. IV. La conformazione normale che tendono ad assumere le apofisi trasverse delle tre ultime vertebre è : per le apofisi della vertebra antisacrale la conformazione della 6* e 7^ vertebra ; per le apofisi della vertebra sacrale una conformazione perfettamente simmetrica, molto espansa più alFindietro che in avanti ed in modo che la punta posteriore del margine delle stesse arriva ad un terzo circa della lunghezza del coccige ; per le apofisi del coccige le quali, contrariamente a quanto dice il Leydig (1), non sono il più spesso rudimentali, si veri- fica come conformazione più frequente, un andamento curvilineo (1) Letoio, Dia Aniir-in B Urachiin d^r D-.ixlsc'uui Fauna, 1877. pag.63. 460 ALBERTO SASSERNÒ aU'infuori e marcatamente ali 'indietro con una lunghezza va- riante più comunemente da 1 a 2 mm. V. Alla grande variabilità di sviluppo delle apofisi tras- verse del coccige e delle creste che le accompagnano, corrisponde una notevole costanza nel diametro e lunghezza del coccige stesso. VI. Le tre ultime vertebre colle loro apofisi trasverse ta- lora concorrono e talora tendono a sostituirsi l'una all'altra nell'ufficio di formare il sacro e sostenere le ossa iliache. VII. Le anomalie descritte verificano la seguente legge: ad un accrescimento anormale di una o di amendue le apofisi trasverse di una delle tre vertebre considerate, corrisponde una riduzione dei processi trasversi delle altre due vertebre, in modo che esiste sempre un costante equilibrio nello sviluppo com- plessivo delle apofisi delle tre vertebre stesse. Vili Finalmente la grande frequenza delle anomalie nella colonna vertebrale del genere Bomhinator fa pensare che esso possa essere una forma di passaggio tra gli Anfibi anuri e gli Urodeli, ai quali si avvicina per avere delle piccole coste ar- ticolate ai processi trasversi della 2*, 2>^ e 4^ vertebra, e per avere le vertebre opistocele. Questi due caratteri sono veramente comuni a tutta la famiglia dei Discoglossidi ; ma il genere Bomhinator offre ancora la particolarità che il coccige è unito al sacro per mezzo di un solo condilo, mentre gli altri l'hanno unito con due, presentando così il coccige del Bomhi- nator un minor grado di diiferenzazione STEUTTUKA DELLA COLONNA VERTEBRALE 461 II. Ho stimato conveniente il descrivere separatamente altre due anomalie da me trovate in due S. igncus , sia perchè esse sono di natura diffej-ente da quelle or ora prese in esame, sia perchè ho voluto metterle a confronto con forme di Batraci fossili. Le dette anomalie riguardano solamente il coccige e descri- verò brevemente in che consistano: P In un individuo maschio il cui corpo misurava m. 0,0390 osservo essere regolare tanto la vertebra antisacrale quanto la sacrale. Le apofisi trasverse di quest'ultima sono lunghe mra. 8,5 ed il coccige misura mm. 11,5; esso offre T interessante fatto che in luogo di un paio di apofisi trasverse ne possiede due paia. Il primo paio è situato normalmente, cioè le apofisi bau no origine in quella parte del coccige ingrossata, posta immediata- mente sotto alla cavità articolare che deve ricevere il condilo del sacro: queste apofisi aventi forma cilindrica si incurvano fortemente all'infuori ed all' indietro dando all'osso coccigeo la forma di un'ancora; l' apofisi destra è lunga mm. 2,(3 e la si- nistra solo mm, 1,5. Esse sono piuttosto grosse e robuste rela- tivamente al secondo paio , ed alla loro radice sono più grosse ancora, in modo da essere solidamente attaccate al coccige. Questo poi contrariamente al modo normale di presentarsi , in luogo di restringersi sotto all'inserzione delle apofisi, continua a rimanere alquanto ingrossato per un terzo circa della sua lun- ghezza e quasi immediatamente sotto al primo paio di apofisi se ne origina un altro paio , più corte , più piccole e più esili delle prime, aventi una eguale direzione e sviluppantesi nello spazio lasciato tra il coccige ed il primo paio di apofisi. Veramente come si scorge dalla fig. 15', mancherebbe l'apofisi destra del 2'^ paio ; ma ne è evidente l'origine, per cui credo che essa sia andata perduta in causa della sua estrema fragilità, nel preparare lo scheletro, come pure si è forse rotta parte del- l'apofisi sinistra del primo paio, L'apofisi sinistra del 2" paio è lunga mm. 1,8 e la sua 462 ALBERTO SASSERNÒ curvatura all' indietro è talmente accentuata da assumere quasi una direzione parallela al coccige. Ad un terzo della sua lun- ghezza questo si restringe ed il suo diametro misura appena m. 0,0005, quindi si ingrossa nuovamente ■ conservando per un certo tratto il diametro di m. 0,0008 e termina con due lievi ingrossamenti da ricordare quasi i nodi vertebrali. IP In un altro maschio di B. igneus, il cui corpo misurava ra. 0,042 , ho trovato la medesima anomalia della precedente. Anche qui la vertebra antisacrale e quella sacrale sono regolari, ed anche qui il coccige presenta lo strano fatto di avere due paia di apofisi trasverse (Vedi fig. 16'). Le apofisi del primo paio sono pure più robuste, più grosse che quelle del secondo paio ed hanno pure una forma cilindroide. L'apofìsi destra è lunga mm. 3,4 e quella sinistra solo nim. 1,6 presentando così il fatto come nel caso precedente di una note- vole sproporzione di lunghezza fra quella destra e quella sinistra. Messo suir avviso dalla scoperta della precedente anomalia, ho qui potuto osservare amendue le apofisi trasverse del se- condo paio che sono esilissime in ispecie quella di destra. Questa è lunga mm. 1,6 e presenta la particolarità che a metà della sua lunghezza cambia la primitiva direzione decisamente alFin- dietro , incurvandosi ali 'infuori, quasi per appressarsi a toccare l'apofisi di destra del primo paio. L' apofisi sinistra del secondo paio è lunga mm. 1,9, ed assume una direzione accentuatamente all' indietro in modo da diventare quasi parallela alla direzione del coccige , come ab- biamo già visto nel caso precedente , ove però il parallelismo era meno evidente. Il coccige è qui lungo m. 0,0135 e partendo dal punto ove si attacca al sacro, fino ad un quarto della sua lunghezza, è ancora ingrossato come quello della fig. 15'; ma qui l'ingros- samento ha una forma elissoide appiattita, in modo che sui mar- gini laterali e specialmente su quello di destra termina con una cresta. Il suo diametro fra l'inserzione delle due paia di apofisi misura mm. 0,8, diametro che si riduce ad un minimum di mm. 0,5 ad un quarto della sua lunghezza. Da questo punto fin verso la metà mantiene un tal minimum, poscia si ingrossa nuovamente e verso la fine presenta anche due ingrossamenti e restringimenti da ricordare in modo molto più evidente che nel caso già considerato , dei nodi vertebrali. STRUTTURA DELLA COLONNA VERTEBRALE 463 Le due suesposte anomalie sono a mio parere assai impor- tanti. Le doppie apofisi del coccige e la sua conformazione mi fanno persuaso che ho in presenza un coccige divertebrale , in modo che i primi processi trasversi mi rappresenterebbero una vertebra postsacrale che si è saldata al vero stilo cocclgeo al quale apparterrebbero le altre due apofisi trasverse. Né sembri troppo avventata una tale supposizione , poiché è già stato più volte osservato il fatto di vertebre saldantesi col loro corpo e rimanenti invece libere coi loro processi trasversi. Ora non si può far a meno che dare molta importanza ad una novità anatomica, quale é quella di un coccige divertebrale, se si riflette che una tale anormalità non ha riscontro assolu- tamente in alcuno dei Batraci viventi , nei quali , contando il coccige , non abbiamo mai più di 1 0 vertebre a comporre la colonna vertebrale, mentre qui invece se ne avrebbero undici. Quest'ultimo caso si presenta invece nei Batraci fossili, ove i numerosi esemplari che si conoscono del genere « Palaeobatra- chus » hanno costantemente undici vertebre, il coccige compreso. In questo genere però la 7% 8'^, 9^ e IO"" vertebra concor- rono tutte e quattro coi loro processi trasversi dilatati a for- mare il sacro, e quindi malgrado che il numero delle vertebre sia superiore a quello dei Batraci viventi , tuttavia il coccige è monovertebrale e senza apofisi trasverse , e perciò si allontana notevolmente dai coccigi che qui io co